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Le peggiori zozzure avverranno con la scusa del clima, del contrasto dell’odio, dell’uguaglianza. Cibo, medicine, vaccini: non saranno la panacea contro tutti i mali, ma i mali li causeranno. La distopica e inquietante Agenda 2030 dell’Onu è chiara: povertà e differenze vanno “cancellate”. Non risolte, ma cencellate, e per cancellare completamente qualcosa – si sa – bisogna solo eliminarla.

“Se pensi che l’Agenda 2021 sia stata negativa, non hai ancora visto nulla”.

C’è, insomma, davvero poco per cui essere allegri: mentre da alcuni media indipendenti giunge la notizia shock che molti vaccini sarebbero serviti a provocare tumori nei bambini iniettati, il tempo comincia a stringere. Falliti i piani per il 2021, ai governanti chiamati a mettere in pratica il piano per eccellenza degli illuminati, comincia a pizzicare un po’ il deretano. Se perdono loro, vinciamo noi persone, induvidui, cervelli pensanti e poco manipolabili. Se vincono loro, semplicemente è la nostra fine. Si parla di vivere o morire o al limite vivere malissimo, quindi la politica, destra e sinistra, questo o quel partito, non c’entrano un bel niente.

Se qualche criceto fiorentino vi sussurra all’orecchio la parola “shock“, vuol dire proprio questo: un grande evento distruttivo di massa che ci farà piombare in un periodo oscuro alla fine del quale saremo disposti ad accettare tutto. Potrà essere una grande catastrofe ambientale come quelle calcolate che stanno affliggendo l’Italia per cederne al migliore offerente quel che resta di beni culturali inestimabili, un grande black-out o un evento tragico che sia in grado di scuotere per anni l’opinione pubblica. L’11 settembre, del resto, insegna, e Naomi Klein ci ha capito più di qualcosa. Da lì, e solo da lì, arriverebbero miliardoni a bordo della solita corriera: quella dell’emergenza.

Così i “fascisti del clima” tentano di farci accettare la povertà cui verseremo. L’educazione imposta ai “bambini sostenibili” e l’ipocrisia di Agenda 2030: costerà tra i 3 e i 5 trilioni di dollari l’anno. Sarà il prezzo che pagheremo per essere controllati e per perdere ogni libertà individuale

La manovalanza dell’Onu c’è anche in Italia. Si esprime sempre e solo per macro-concetti, e scherma tutto dietro la “sostenibilità” (cioè il predominio del vecchio Terzo mondo e dunque dell’Africa e della relativa Agenda 2063). Tra le facce più note e diligenti, la viceministra agli Affari esteri Emanuela Del Re, la collega Marina Sereni che preme insistentemente assieme a gente come Ivan Scalfarotto per l’entrata dell’Albania in Europa (e albanese è lo stesso marito della Del Re) e l’onnipresente ovunque tranne che in Parlamento Manlio Di Stefano. Non a caso, sono stati collocati tutti e tre nella superpotenziata Farnesina.

L’Onu può contare anche nella vecchia guardia incarnata da Elisabetta Alberti Casellati (in questi giorni impegnata in un inspiegabile tour tra le aziende Ferrari, Lamborghini e Ducati: forse stiamo per svendere anche loro) e in uno stuolo di genderisti il cui compito è gridare all’odio, istituire commissioni che tacitano la libertà di espressione e finanche di pensiero e normalizzare pedofilia e omosessualità.

Per inciso: ieri un intero servizio del Tg1, mandato in prima serata, ha associato nella stessa frase la diceria che la patria del turismo sessuale, la Thailandia, sia “la terra del sorriso” con il fatto che “vi si prostituiscono 35mila minori”. A corollario di tutto, un prete ha detto – testuale – che “in Thailandia molti adulti fanno sesso con i bambini”, senza mai usare i termini dramma, pedofilia, sfruttamento e simili.

Questa del resto è la melma in cui a molti suini piace sguazzare. Qualcuno pensa di stare dentro la macchina dell’Agenda luccicante fuori e putrida dentro e di tirare il freno a mano un attimo prima? I danni al veicolo (e dentro ci sono gli Stati sovrani, l’economia, la disoccupazione e dunque la povertà e la salute di milioni di individui che non potranno difendersi), saranno irrimediabili e incalcolabili. Proviamo a essere più chiari: per giungere all’obiettivo del 2030 del mondo apparentemente perfetto ma in realtà solo anestetizzato, bisognerà sacrificare tanto. In termini di vite, di innocenza del minori, di benessere fisico, economico, mentale e sociale. Chi deciderà chi dovrà essere immolato? E con quali risultati?

Davvero c’è chi è così fesso da credere che le questioni che diversi Stati si trascinano da decenni (è il caso del Medio Oriente, di Israele e Palestina, delle due Coree), finiranno da un giorno all’altro solo perché l’Onu ha deciso così? Non è più verosimile che si tratti di scuse per farci digerire i tagli drammatici che dovremo patire, per farci inghiottire aborti e mancate nascite, in ultima analisi per sacrificare tutta la nostra libertà a favore di un usurpatore governo mondialista?

Davvero i potenti crederanno di stare al riparo da tutto questo nel loro mondo ovattato? Chiuderanno figli e nipoti in una campana di vetro impedendo loro di girare in un mondo che li vuole per forza omosessuali, accompagnati ad africani (genereranno insieme il “meticciato dominabile” teorizzato da Kalergi), carne da macello esposta all’orco di turno, se bambini? Davvero i politici sapranno accontentarsi di soldi e potere e accetteranno di distruggere bellamente ciò che ci (li) circonda? Certo che si, ma nessuno è al riparo dal volere di Dio. E per quanto ci si sforzi a manipolare gli eventi a sfavore della gente comune, quel che rimane è il vecchio adagio del “chi semina vento raccoglie tempesta“.

Nell’immediato raccoglieranno di sicuro il malcontento delle masse: non quello ordinato e pilotato, ma quello più pericoloso: spontaneo e mosso dalla rabbia. Perché anziché pensare alla crisi che sta piegando in due l’Europa occidentale, alla disoccupazione, alle varie economie al collasso, alla povertà estrema in cui versano milioni di occidentali nel silenzio generale, a Nagoya (Giappone), da oggi si discute di Africa e, guarda un po’, dell’Agenda 2030.

La riunione di Nagoya si è aperta oggi con una cena sociale per i Capi Delegazione. Nella mattinata di domani si svolgeranno due sessioni di lavoro: la prima sarà dedicata alla promozione del libero commercio e della governance globale (con particolare riferimento alla riforma dell’Organizzazione Mondiale del Commercio e delle Nazioni Unite); la seconda sarà incentrata sugli obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030. A seguire, la riunione si chiuderà con un pranzo di lavoro dedicato all’Africa.
Ministero degli Esteri, 22/11/19

Tutto molto eloquente. Ma il peggio – a meno che qualcuno non decide per un cambio di rotta, deve ancora venire. E con un’opposizione come questa non c’è da ben sperare. Per quello che riguarda l’Italia, ognuno sta vendendo il suo pezzetto, persino gli sbandieratori che parlano incessantemente del bene della Nazione. Ma la gente è sveglia: reagirà riprendendosi il proprio destino?

OPINIONI

Alluvione in Emilia, l’ipocrita circo mediatico per nascondere la verità

E’ un bilancio da guerra quello dell’ultima alluvione in Emilia Romagna. Un copione destinato a ripetersi ancora e ancora, una volta in questo pezzo d’Italia e una volta in quell’altro

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Alluvione in Emilia, l'ipocrita circo mediatico per nascondere la verità | Rec News dir. Zaira Bartucca

Quattordici morti e 36mila sfollati. Abitazioni, strutture, aziende, fabbriche e campi da coltivazione distrutti, con il fango che inghiotte tutto e porta con sé devastazione e precarietà. E’ un bilancio da guerra quello dell’ultima alluvione in Emilia Romagna. Un copione destinato a ripetersi ancora e ancora, una volta in questo pezzo d’Italia e una volta in quell’altro, perché i miliardi stanziati dai vari governi per mitigare gli effetti del dissesto idrogeologico – sia esso frutto di comportamenti umani irrispettosi o di eventi naturali – non vengono mai impiegati dove servono.

Costruzione di dighe di contenimento, pulizia degli argini di fiumi e torrenti, prevenzione dell’abusivismo e suoi rimedi: nonostante le iniezioni continue di denaro (tanto), è ormai abitudine consolidata trascurare tutto, perché tanto poi a danni fatti si mette in moto la solita macchina dell’emergenza. Dopo l’acqua iniziano a piovere i miliardi, inizia il “magna magna” di chi controlla il business della solidarietà e si fa a gara a chi è più bravo a dire la frase a effetto per sostenere le popolazioni colpite, a chi fa la donazione più cospicua o a chi si intesta il gesto più eclatante.

Tutto doveroso, sia chiaro, ma non saranno certo 900 euro a testa o la premier in stivali a riportare in vita quattordici persone, oppure a restituire ai romagnoli le attività andate distrutte, forse per sempre. Senza contare che il circo mediatico che si è attivato fin da subito è tuttora teso a nascondere quello che conta davvero: le responsabilità. Quelle che negli ultimi anni – stando ai dati pubblicati da Legambiente – hanno fatto registrare dal 2010 a oggi 510 eventi alluvionali (per contare solo quelli censiti), con i relativi danni a cose e persone.

Si poteva evitare tutto questo? Di chi è la colpa? Cosa è mancato e continua a mancare? Cosa non hanno fatto e cosa hanno sbagliato gli enti che negli anni hanno amministrato i territori colpiti? E ancora: come evitare che catastrofi del genere si verifichino di nuovo? Perché se le alluvioni in Italia sono diventate la “nuova normalità” – per rubare un’espressione usata in epoca covid – si deve pensare che esista una certa volontà o quantomeno una qualche tolleranza verso questi fenomeni assolutamente prevedibili ed evitabili. Si sa che prima o poi pioverà, e oggettivamente esistono modi anche sofisticati per verificare se il territorio è pronto a gestire eventi piovosi di una certa portata. Se non lo è, basta intervenire, senza aspettare nuovi danni.

Scomodare il cambiamento climatico o “la siccità che rende i terreni impermeabili” non basta più, sono scuse che non possono reggere a lungo e soprattutto non possono bastare a chi ha perso tutto, tanto più che se le alluvioni in Europa sono un costume nazionale prettamente italiano un motivo ci deve essere.

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OPINIONI

Non convince il presidenzialismo, né il premierato

“In una democrazia l’importante non è la governabilità, ma la rappresentanza” – di Vincenzo Musacchio

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Né presidenzialismo, né premierato. In una democrazia l'importante non è la governabilità ma la rappresentanza | Rec News dir. Zaira Bartucca

L’Italia è una Repubblica parlamentare con una forma di governo dove gli elettori votano i rappresentanti del Parlamento, i quali poi nomineranno il Presidente della Repubblica. Quest’ultimo nomina il Presidente del Consiglio dei Ministri, che presiede il Governo. Nella Repubblica presidenziale gli elettori (cioè il Popolo) eleggono direttamente il Presidente della Repubblica, il quale diventa sia Capo dello Stato, che del Governo. Un tipico esempio di questa forma di governo è in vigore negli Stati Uniti. Il Premierato è una “pseudo-forma di governo” non ben definita basata sulla legittimazione popolare del Capo di Governo (Premier).

Quale che sia il metodo di designazione di quest’ultimo e la qualificazione costituzionale del ruolo, ciò che determina la natura della sua leadership (e degli assetti di regime politico che ne conseguono) è il tipo di rapporti di potere che lo legano al Governo, da una parte, e al Parlamento, dall’altra: per cui si parla di premierato “forte” o “debole”, a seconda del modo e del grado di autonomia e di supremazia nel rapporto Governo-Parlamento. In Italia una forma di premierato forte l’abbiamo vissuta già più volte.

Quale delle tre forme di governo, presidenziale, parlamentare o premierato, sia più idonea ad avvicinare l’Italia ai Paesi in cui la democrazia funziona da secoli? La mia scelta cade sulla forma parlamentare. È l’opzione più democratica e più italiana anche se non ha espresso mai a pieno le sue potenzialità per le degenerazioni dei partiti che da centro di interessi pluralistici sono divenuti poi partitocratici originando una precaria governabilità e crisi politiche frequenti.

Una democrazia rappresentativa, per funzionare, potrebbe anche essere bipartitica. Del tema, del resto, ne discussero anche i nostri Padri Costituenti con l’obiettivo di semplificare il quadro politico frammentario. Mi appello a tal proposito a Piero Calamandrei che in sede Costituente così disse: «Come si fa a far funzionare una democrazia che non possa contare sul sistema dei due partiti, ma che deve funzionare sfruttando o attenuando gli inconvenienti di quella pluralità di partiti la quale non può governare altro che attraverso un governo di coalizione?».

Ora il centrodestra, forte di un ampio consenso popolare, ci riprova con l’opzione presidenzialista, ma senza porre pregiudizi o preclusioni su altri modelli di riforma che mettano comunque i cittadini al centro delle scelte. Io sono per il legame diretto tra elettore ed eletto con le preferenze e con un bipartitismo alla inglese per superare definitivamente la stagione degli esecutivi che sovrastano il potere legislativo. Se riforma ci sarà spero sia con una maggioranza dei due terzi del Parlamento, evitando il rischio della demolizione con i referendum confermativi. La vera forza di una democrazia a mio parere non si gioca sulla governabilità ma sulla rappresentanza.

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OPINIONI

La storia recente ci insegna che i poteri del premier vanno limitati, non ampliati

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La storia recente ci insegna che i poteri del premier vanno limitati, non ampliati | Rec News dir. Zaira Bartucca

I condizionatori di Draghi (da posporre alla Pace), gli inseguimenti di chi fa jogging promossi da Conte e i nostalgici vicini alla Meloni avrebbero dovuto quantomeno insegnarci una cosa: non bisogna ampliare i poteri del premier ma, semmai, limitarli. Invece l’azione dei governi che si succedono è tutta tesa a limitare le prerogative del Parlamento, di fatto annullando la rappresentanza politica. Dimenticando, spesso, che la divisione dei poteri è condizione necessaria in democrazia, come racconta lo scacchiere internazionale messo a ferro e fuoco in Paesi che hanno un uomo solo al comando.

Aspetti che non sembrano sfiorare il governo, che ha annunciato che sul premierato andrà avanti comunque, opposizione o non opposizione. Ma allora a che servono i tavoli che si apriranno domani? E perché consegnare la parola ai cittadini solo alla fine di tutto l’iter, per giunta per mezzo dell’ennesimo Referendum farsa?

Si tenta di concentrare nelle mani di un unico soggetto un potere sempre crescente, e per fare cosa? Non per emanciparsi dall’Unione europea, tantomeno per ridare al Paese la sua sovranità – concetto che Fratelli d’Italia ha dimenticato una volta giunto al governo – o la crescita economica che merita. La preoccupazione è che il semipresidenzialismo, il premierato o il sindaco d’Italia – comunque si chiami il tentativo di mettere da parte la Repubblica parlamentare – possano essere solo l’occasione per calcare la mano su tutta una serie di cose che non si riescono ad attuare per una serie di (ovvie) resistenze da parte della società civile.

Fa pensare – e discutere – che a volere più poteri sia un governo che ha un ministro dell’Interno che crede ciecamente nei presunti pregi del riconoscimento facciale, e che ha un sottosegretario all’Innovazione che lavora alacremente per portare a termine quanto avviato dai governi Conte e Draghi. Che, per di più, ha finanziato la corsa agli armamenti di uno Stato estero, violando quel “L’Italia ripudia la guerra” di costituzionale memoria. Cosa succederebbe in un ipotetico futuro in cui la Camera e i parlamentari saranno acqua passata, in cui gli enti come Regioni e Comuni saranno simulacri svuotati di significato e basterà una firma del super-premier (magari con la contro-firma del super-presidente della pseudo-Repubblica) per prendere le decisioni che contano davvero? Come sarebbero gestiti eventuali periodi di emergenza, che già di per sé consegnano nelle mani del premier prerogative ampliate? Domande che ancora non sono entrate nel dibattito ma da cui si dovrebbe partire – a modesto parere di chi scrive – prima di giungere a decisioni drastiche e affrettate.

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OPINIONI

Un altro atto di vandalismo compiuto dai cosiddetti attivisti per l’ambiente

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Un altro atto di vandalismo compiuto dai cosiddetti attivisti per l'ambiente | Rec News dir. Zaira Bartucca

Palazzo Vecchio, simbolo dell’architettura civile trecentesca fiorentina, imbrattato di arancione e la Fontana della Barcaccia di Roma inquinata con del liquido nero. Si difenderebbe così l’ambiente secondo gli “attivisti” di un collettivo che da settimane compie atti di vandalismo in giro per l’Italia. Attacchi ai beni culturali nazionali che con la protezione delle risorse non c’entrano nulla, come dimostra lo spreco di acqua e solventi che segue questo tipo di azioni dimostrative e che serve a ripristinare – per quanto possibile – i monumenti oggetto di deturpazione.

“Difendere l’ambiente”, dunque, inquinando le fontane, proteggere il paesaggio rovinando i palazzi storici, magari per fare in modo che le nuove generazioni (quelle che si scomodano tanto spesso) non ne possano fruire affatto. Una schizofrenia generalizzata che fa il paio con un ambientalismo fanatico e pericoloso che sta provocando danni tangibili e presto quantificabili, pensando sul bilancio di Comuni già in rosso. Dopo i danni provocati alla Fontana della Barcaccia, i cosiddetti attivisti rischiano ora una denuncia per danneggiamento.

Sulla vicenda si è espresso il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano: “L’ennesimo, gravissimo, episodio di questa mattina che ha colpito uno dei monumenti simbolo di Roma, la Fontana della Barcaccia di Piazza di Spagna, è la goccia che fa traboccare il vaso. È ora di dire basta: siamo davanti ad una sistematica azione di vandalismo del nostro patrimonio artistico e culturale che non c’entra assolutamente nulla con la tutela dell’ambiente. Chi danneggia i nostri beni culturali non può passarla liscia e va punito severamente. Anche per questo stiamo studiando una norma che faccia pagare ai responsabili di questi danni gli interventi necessari per il ripristino dei luoghi, spesso costosi perché richiedono specialisti e attrezzature adeguate”. Dello stesso tenore quanto affermato dal sindaco di Roma Roberto Gualtieri: “Queste persone dovranno rispondere di quanto hanno fatto. Un atto illegale, dannoso e sbagliatissimo. E’ giusto che rispondano sulla base della legge e bisogna essere severi”.

Le reazioni della politica, comunque, rimangono piuttosto timide, e nessuno che si domandi com’è possibile che si riesca a compiere gesti simili eludendo la sorveglianza di chi è preposto al controllo dell’integrità dei monumenti storici.

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