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Idiomi e Cancel culture, Belpoliti: "Ricorda il fascismo, bisogna lasciare libertà di espressione" | Rec News dir. Zaira Bartucca Idiomi e Cancel culture, Belpoliti: "Ricorda il fascismo, bisogna lasciare libertà di espressione" | Rec News dir. Zaira Bartucca

ARTE & CULTURA

Bandire i forestierismi. “Ricorda il fascismo, lasciare libertà di espressione”

“Sono rimasto sorpreso dalla scelta di questo tema nell’era del simultaneo”, ha affermato durante il programma radiofonico “Base Luna chiama Terra” su Radio Cusano Campus il professor Marco Belpoliti, autore della traccia selezionata per la prima prova scritta della Maturità 2023, scrittore, italianista e docente di Critica Letteraria e Letterature Comparate all’Università di Bergamo.

“C’è stata la pandemia che ci ha messo in attesa, come nelle telefonate: ‘La preghiamo di attendere’. Tutto ora è ricominciato accelerando, ma l’attesa è ancora lì e resta in attesa”. L’attesa, secondo Belpoliti, è ancora “una questione rilevante nelle nostre vite nonostante la velocità che ci circonda” ha sostenuto durante l’intervista.

Parlando dell’influenza della tecnologia sulla comunicazione, Belpoliti ha poi sottolineato che il senso dominante è diventato quello visivo. “C’è sempre stata più gente che guardava piuttosto che gente che leggeva. Parlare, parlano tutti, c’è il costante desiderio di parlare. Una volta un uomo nel corso della sua vita vedeva un centinaio di immagini. Ora ne vediamo migliaia ogni giorno, anche solo sui social”, ha proseguito Belpoliti.

Riguardo alla trasformazione delle modalità espressive, il professore ha poi evidenziato “il ritorno a un regime del flusso nella scrittura, simile alle scritture pubbliche dell’epoca romana che non conoscevano la punteggiatura. Ora usiamo i puntini sospensivi” ha ribadito. “L’emoticon crea l’elemento espressivo, disegnando le emozioni che non possono essere contenute nella scrittura, che dal canto suo non ha dei modi per dichiarare il tono con cui viene pronunciata una frase. C’è qualcosa di antico e contemporaneo allo stesso tempo. Qualcosa che è in evoluzione. Questa comunicazione non cancella l’altra. Una si sovrappone all’altra. Una predomina, l’altra regredisce” .

E sull’uso dei forestierismi nella lingua italiana, Belpoliti ha concluso l’intervista dicendo “Non sono spaventato dalla presenza di parole inglesi. Cancellare le parole inglesi, ricorda il fascismo. La pulizia linguistica mi ricorda un altro tipo di pulizia meno nobile. Bisogna lasciare anche una libertà all’espressione”.

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ARTE & CULTURA

Cast stellare per il Premio Gianni Ravera 2025

Cast stellare per il Premio Gianni Ravera 2025

Domenica 22 giugno alle ore 21, torna il prestigioso e attesissimo Premio Ravera, Una canzone è per sempre, giunto alla decima edizione per celebrare e ricordare l’indimenticabile figura di Gianni Ravera artefice di successi e innovazioni che hanno segnato la storia della musica e della televisione del nostro Paese.

A guidare la serata, ancora una volta Carlo Conti che, reduce dal successo del 75° Festival di Sanremo si conferma figura di spicco e riferimento nel mondo dello spettacolo, contribuendo con la sua inconfondibile eleganza e simpatia a riconoscere alla Musica Italiana il suo valore.

La serata sarà trasmessa in diretta da Radio Subasio, radio partner dell’evento, una partnership che consolida il legame tra la manifestazione e la grande radiofonia nazionale, contribuendo a dare voce all’evento e ai suoi protagonisti. Subasio accoglierà gli ospiti del palco nella sua postazione dal backstage raccontando di tante emozioni sia degli artisti che degli ascoltatori stessi… “Suoni Emozioni e Sogni dal Premio Ravera in diretta solo su Radio Subasio”.

A firmare la colonna sonora della serata per uno show che darà anima e ritmo alle grandi voci in programma, sarà l’Orchestra Mediterranea, diretta dal maestro Michele Pecora, ideatore del Premio, che proprio a Ravera deve il suo fortunato incontro con la grande discografia che dichiara: “In questi anni abbiamo cercato di mantenerne vivo lo spirito, portando avanti un lavoro che unisce rispetto per la memoria e attenzione al presente”.

La direzione artistica è di Pasquale Mammaro, già protagonista al fianco di numerosi artisti al Festival di Sanremo(accompagnando il successo de Il Volo, Diodato, Orietta Berti, Rettore, Cugini di Campagna, Maninni e Marcella Bella),che firma anche quest’anno con Michele Pecora un’edizione ricca di contenuti e ospiti di primo piano, superandosi con un lavoro incredibile e qualche “magia” con un cast davvero stellare. Afferma Pasquale Mammaro: “Questa serata è per tutti noi che crediamo nello spettacolo e nella forza della musica, un motivo per celebrarla e per me, un modo di ricordare Gianni Ravera con gratitudine ed affetto. Ogni anno è una nuova sfida, ma anche una rinnovata emozione”.

Il Premio Ravera è anche creatività e futuro: la serata infatti si aprirà alle ore 20.00 con Melissa Di Matteo e Dario Salvatori, che introdurranno sul palco artisti emergenti, giunti da ogni parte d’Italia. Un’anteprima carica di energia, di canzoni senza tempo, che accenderà l’atmosfera e darà il via a una serata straordinaria, impreziosita da un parterre d’eccezione e artisti di grande richiamo. Nei giorni precedenti all’evento, Castelraimondo infatti ospita le residenze creative per talenti provenienti da tutta Italia, in un percorso tra audizioni, incontri e formazione, con tanti ospiti illustri, guidati da Melissa Di Matteo, co-fondatrice della manifestazione.

Michele Pecora, promotore dell’iniziativa, che ha sempre considerato Gianni Ravera come il punto di svolta nella sua crescita artistica, afferma: “Il Premio nasce da un pensiero che ho custodito a lungo nel cuore: un omaggio sentito a Ravera, figura a cui devo la possibilità di aver intrapreso la mia carriera musicale e di aver vissuto pienamente la mia passione. Credere nei giovani significa costruire il futuro della nostra musica. Questo Premio è anche il loro spazio, un luogo dove possono esprimersi, crescere e trovare ascolto”.

Conclude Pasquale Mammaro: “Gianni Ravera ha lanciato grandi nomi partendo da giovani sconosciuti. Portare avanti questa visione è un atto di gratitudine verso la nostra cultura musicale”.

Il premio è un’opera realizzata dal Maestro Orafo Michele Affidato che firma anche i premi speciali del Festival di Sanremo, nonché orafo dei Papi, conferendo al Premio Ravera un simbolo artistico di grande valore e significato.

Un Premio Speciale Gianni Ravera, andrà a Beppe Carletti alla presenza del paroliere e scrittore Marco Rettani, che insieme a lui ha raccontato nel libro Soldi in tasca non ne ho, ma lassù mi è rimasto Dio i primi sessant’anni dei Nomadi: “Sono onorato di consegnare a Beppe questo Premio – dichiara Marco Rettani – che non è non solo l’artista immenso che ha scritto pagine importanti di storia, ma un uomo, un amico. La nostra amicizia fonda le sue radici nella notte dei tempi, quella notte che trasforma gli uomini, in fratelli”.

In concomitanza con il Premio Ravera, il pubblico potrà godere anche dello spettacolo dell’attesissima Infiorata di Castelraimondo, uno degli appuntamenti più affascinanti della tradizione locale. Fino a domenica 22 giugno, il centro storico sarà animato da tappeti floreali, colori, arte e spiritualità, offrendo un’esperienza unica che unisce cultura, bellezza e partecipazione popolare. Un motivo in più per vivere la città in un’atmosfera di festa e meraviglia. Un appuntamento che conferma il ruolo crescente di Castelraimondo quale vetrina culturale e luogo di riferimento per le grandi manifestazioni che valorizzano il territorio locale e regionale.

A rendere ancora più suggestive le esibizioni, le coreografie coinvolgenti a cura della Joy Dance, che accompagneranno le performance con eleganza e dinamismo.

Gianni Ravera, nato nelle Marche, ha scritto numerose e straordinarie pagine della storia della musica e della televisione italiana. Noto organizzatore di manifestazioni musicali, in particolare del Festival di Sanremo, di cui aveva curato ben 24 edizioni dal lontano 1962. Il Festival era la sua creatura, la sua opera prediletta, così come Castrocaro (che inventò lui stesso) che pure aveva portato agli onori della cronaca musicale. Ravera curò anche il Disco per l’estate e collaborò a trasmissioni televisive come Fantastico e Serata d’Onore. Nel mondo della canzone Gianni Ravera era diventato una specie di istituzione. A lui devono il loro successo artisti come Iva Zanicchi, Bobby Solo, Gigliola Cinquetti, lo stesso Michele Pecora, Eros Ramazzotti e Zucchero.

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ARTE & CULTURA

Munch a Milano dopo 40 anni. Con una retrospettiva

Munch torna a Milano dopo 40 anni con una retrospettiva
Comunicato stampa

Dal 14 Settembre 2024 al 26 gennaio 2025 Palazzo Reale renderà omaggio a uno dei più grandi artisti del Novecento, con un percorso di 100 opere eccezionalmente prestate dal Munch Museum di Oslo. L’ampia retrospettiva racconterà l’intero percorso umano e artistico di Munch, esponendo opere tra le più note e iconiche della storia dell’arte.

Dopo 40 anni dall’ultima mostra a Milano, Edvard Munch (Norvegia, 1863 -1944) viene celebrato con una grande retrospettiva promossa da Comune di Milano – Cultura con il patrocinio del Ministero della Cultura e della Reale Ambasciata di Norvegia a Roma, e prodotta da Palazzo Reale e Arthemisia in collaborazione con il Museo MUNCH di Oslo.

Tra i protagonisti della storia dell’arte moderna, Munch è stato uno dei principali artisti simbolisti del XIX secolo ed è considerato un precursore dell’Espressionismo, oltre a essere un maestro nell’interpretare le ansie dell’animo umano.

La mostra – curata da Patricia G. Berman in collaborazione con Costantino D’Orazio per il supporto nella redazione dei testi di approfondimento in mostra – racconta tutto l’universo dell’artista, il suo percorso umano e la sua produzione grazie a un percorso di 100 opere, tra cui una delle versioni litografiche de L’Urlo (1895) custodite a Oslo, La morte di Marat (1907), Notte stellata (1922–1924), Le ragazze sul ponte (1927), Malinconia (1900–1901) e Danza sulla spiaggia (1904).

Ad arricchire la mostra milanese, è previsto un ricco palinsesto di eventi che coinvolgerà diverse realtà culturali della città e che andrà ad approfondire la figura dell’artista e ad espandere i temi delle sue opere.

L’ARTISTA
Munch è uno degli artisti che ha saputo meglio interpretare le inquietudini dell’anima, comunicandoli in maniera potente e diretta. Plasmato inizialmente dal naturalista norvegese Christian Krohg, che ne incoraggiò la carriera pittorica, negli anni Ottanta del Novecento si recò a Parigi dove assorbì le influenze impressioniste e postimpressioniste che gli suggerirono un uso del colore più intimo, drammatico ma soprattutto un approccio psicologico.
A Berlino contribuì alla formazione della Secessione Berlinese e nel 1892 si tenne la sua prima personale in Germania, che non fu compresa: da quel momento in poi Munch viene percepito come l’artista eversivo, alienato dalla società, un’identità in parte promossa dai suoi amici letterati.

A metà degli anni Novanta del XIX secolo si dedicò alla produzione di stampe e, grazie alla sua sperimentazione, divenne uno degli artisti più influenti in questo campo. La sua produttività e il ritmo serrato delle esposizioni lo porteranno a ricoverarsi volontariamente nei sanatori a partire dalla fine degli anni Novanta del XIX secolo.

Dopo aver vissuto gran parte della sua vita all’estero, l’artista quarantacinquenne tornò in Norvegia, stabilendosi al mare, dipingendo paesaggi e dove iniziò a lavorare ai giganteschi dipinti murali che oggi decorano la Sala dei Festival dell’Università di Oslo. Queste tele, le più grandi dell’Espressionismo in Europa, riflettono il suo sempre vivo interesse per le forze invisibili e la natura dell’universo.

Nel 1914 acquistò una proprietà a Ekely, Oslo, dove, da celebre artista internazionale, continuò il suo lavoro sperimentale fino alla morte, avvenuta nel 1944, appena un mese dopo il suo ottantesimo compleanno.

LA MOSTRA
Nel corso della sua lunga vita Edvard Munch realizzò migliaia di stampe e dipinti. Essendo tanto un uomo d’immagini quanto di parole, riempì fogli su fogli di annotazioni, aneddoti, lettere e persino una sceneggiatura per il teatro. L’esigenza di comunicare le proprie percezioni, il proprio “grido interiore”, lo accompagnò per tutta la vita, e proprio questa attitudine è stato il motore della sua pratica come artista, che ha toccato tanto temi universali – come la nascita, la morte, l’amore e il mistero della vita – quanto i disagi connessi all’esistenza umana e le sue instabilità.

Questa mostra ruota attorno al ‘grido interiore’ di Munch, al suo saper costruire, attraverso blocchi di colore uniformi e prospettive discordanti, lo scenario per condividere le sue esperienze emotive e sensoriali: un processo creativo che sintetizza ciò che l’artista ha osservato, quello che ricorda e quanto ha caricato di emozioni.

Altre opere, invece, cercano di immortalare le forze invisibili che animano e tengono insieme l’universo. L’inizio della sua carriera coincide infatti con cambiamenti radicali nello studio della percezione: alla fine dell’Ottocento è in corso un dibattito tra scienziati, psicologi, filosofi e artisti sulla relazione tra quello che l’occhio vede direttamente e come i contenuti della mente influiscono sulla nostra vista. Il suo interesse per le forze invisibili che danno forma all’esperienza, condizionerà le opere che lo rendono uno degli artisti più significativi della sua epoca.

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Perché il cubismo

di Paolo Battaglia La Terra Borgese*

Perché il cubismo | di Paolo Battaglia La Terra Borgese

Quando Braque espose alcuni paesaggi al Salon d’Automne del 1908, rifacendosi in parte a Cézanne, qualcuno osservò che dipingeva con “piccoli cubi”. Era Matisse

“To’, guarda i cubi”, disse esattamente Matisse fermandosi ad osservare i paesaggi di Braque in cui le case somigliavano a dadi. La frase fece il giro di Parigi, fu ripresa dai giornali e dalla battuta spiritosa nacque il termine di Cubismo, che stava a indicare un’estetica nuova: l’artista guarda un oggetto reale, lo decompone nei suoi elementi e lo riorganizza secondo un ordine intellettuale, che non ha più nulla a che vedere con la realtà.

Quando Braque espose alcuni paesaggi al Salon d’Automne del 1908, rifacendosi in parte a Cézanne, qualcuno osservò che dipingeva con “piccoli cubi”.

Dalla battuta spiritosa nacque il termine di Cubismo, che stava ad indicare un’estetica nuova: l’artista guarda un oggetto reale, lo decompone nei suoi elementi e lo riorganizza secondo un ordine intellettuale, che non ha più nulla a che vedere con la realtà.

La Natura morta che riproduciamo (in alto, nella foto, un dettaglio) è del 1912, appartiene cioè al periodo del cubismo “analitico”.

Poiché gli si rimproverava un certo ermetismo, Braque introdusse a quel tempo nelle sue composizioni un elemento nuovo, che doveva riallacciare il quadro al mondo reale: le lettere tipografiche, come in questa scritta incompleta, Journal (procedimento introdotto per la prima volta da lui nell’opera Il Portoghese del 1911, e utilizzato poi largamente da tutti i Cubisti).

Questa Natura morta, una delle numerose “esercitazioni” su tale tema, non ha più alcun riferimento con la realtà. Gli oggetti che la compongono non sono riconoscibili, ma sono proiettati e scomposti sulla superficie del quadro attraverso una serie di grandi piani.

È riconoscibile invece la loro materia: superfici in falso legno, frammenti in falso marmo si richiamano a una realtà esistente, a un mondo concreto. (Braque utilizzò spesso queste “imitazioni”, rifacendosi all’esperienza compiuta da ragazzo nella bottega paterna come decoratore.

Più tardi arriverà al “collage”, all’applicazione cioè sulla tela di ritagli di giornale, pezzi di stoffa, carte da gioco, riallacciati alla superficie del quadro da una pennellata, da un tocco di gouache).

Osserviamo ancora, finendo, che già in questa Natura morta Braque cerca gli accordi preziosi di colore, avvalendosi di pochi toni: una grandissima maestria.

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I segreti del Gotico

di Paolo Battaglia La Terra Borgese*

I segreti del Gotico | Rec News dir. Zaira Bartucca

Visitare una cattedrale o un edificio ed essere in grado di distinguerne l’epoca richiede almeno una sommaria conoscenza dei caratteri architettonici delle varie epoche e, principalmente per l’inesperto, il sapere dove posare l’occhio per individuare tali caratteristiche.

Allora, se visitiamo una chiesa, gettiamo anzitutto un’occhiata alla parte esterna, osservandone la facciata, le finestre, i portali e i contrafforti, gli archi rampanti, i campanili, fissando la nostra attenzione alle loro caratteristiche; entreremo poi nell’interno, dove osserveremo la pianta della costruzione, le colonne, i capitelli, le volte, gli archi, cercando di captarne i principali particolari costruttivi; diciamo i principali particolari costruttivi poiché, va detto subito ed è importante, non dobbiamo pretendere di voler determinare l’epoca esatta di un’opera d’architettura basandoci esclusivamente sui caratteri stilistici che abbiamo sotto gli occhi.

Le chiese, specialmente, non sono state di solito costruite in “una sola stagione” e di frequente vi si trovano mescolati e gli stili di varie epoche e i vari sistemi costruttivi. Quanti soffitti e quante facciate, per esempio, sono stati rifatti per cause diverse ed eseguiti in epoche posteriori senza preoccuparsi di rispettare la struttura originaria!

Dopo aver cercato di individuare l’epoca del monumento che visitiamo cominceremo a meglio comprenderne la possanza dell’insieme e la bellezza dei particolari e, nella nostra pochezza, saremo più preparati e meno intimiditi di fronte alla creazione d’arte che ci dà tanta emozione.

Contrariamente alla credenza popolare che lo vuole tipica espressione dell’arte tedesca (anche il Vasari la chiama, impropriamente, “tedesca”), questo stile nacque in Francia e di là si diffuse in tutta l’Europa.

Si potrebbe dire che le nuove aspirazioni ed il raffinarsi della civiltà artistica, il senso religioso ancor più legato alle cerimonie del culto ed il desiderio, forse, di esprimere il misticismo in una sinfonia di linee lanciate verso l’alto con l’arco a sesto acuto che sembra voler ripetere il gesto delle mani congiunte nell’atto di pregare, siano stati il lievito che ha contribuito allo sviluppo del passaggio dalle forme romaniche al Gotico. Inoltre, rispetto al Romanico pesante e massiccio, perché rispondente a regole costruttive empiriche, il gotico si basa sul calcolo matematico, adottando le prime regole della statica; regole che saranno poi approfondite nel Rinascimento, dominato dal sommo Michelangelo, che all’austerità ed alla forza unirà forme leggiadre ed eleganti.

Caratteristico del Gotico è l’uso diffusissimo dell’arco a doppio centro, a sesto acuto, e lo slanciarsi verso l’alto delle strutture del fabbricato.

I contrafforti che prima erano quasi dissimulati poiché inderogabile necessità costruttiva, diventano, nel Gotico, parte integrante della decorazione, legano l’edificio come in una armatura che pare voglia fare individuare i punti dove è concentrato il gioco tra il peso e il sostegno.

L’arco a sesto acuto, lanciandosi verso l’alto, richiede che i piedritti sui quali appoggia siano ravvicinati e perciò le colonne si moltiplicano. Le finestre aumentano di numero e illuminano maggiormente gli interni.

I pilastri sono dei veri fasci di colonne verso le quali vanno a terminare i costoloni e i sottoarchi.

I capitelli finiscono per essere delle specie di nicchie dove sono solitamente posate delle statue.

La decorazione è ricca, esuberante di statue e di fregi di ogni dimensione con soggetti estremamente vari. La pianta, nell’architettura chiesastica, è quella basilicale dove però le campate crescendo di numero – per una necessità di una più fitta serie di pilastri – diventano spesso rettangolari con il lato più lungo volto verso la larghezza della navata centrale. L’abside è sostenuta dal coro poligonale circondato da cappelle e la cripta quasi sempre è sparita.

La tipica copertura è formata dalla volta a crociera. I campanili hanno una base quadrata, ma spesso più in alto sono ottagoni.

L’Arte Gotica è originaria della fine del XII secolo ed ha avuto il suo massimo splendore nel secolo XIV. Le varie forme di Gotico si raggruppano normalmente in gotico francese, tedesco, italiano, inglese e spagnolo. Ma mentre il Gotico francese e tedesco hanno tra loro una affinità dovuta alla priorità di adozione di questo stile, il Gotico italiano rifiuta, si può dire, gli elementi decorativi stranieri e finisce col diventare un gotico a sé, con caratteristiche rispecchianti il gusto latino (S. Maria del Fiore ne è un tipico esempio). In Italia solo il Duomo di Milano si può dire rispettoso delle più pure regole costruttive e decorative del Gotico francese e tedesco. Altra caratteristica del Gotico italiano è la pittura murale che Giotto introdusse abolendo in parte le superfici a grandi vetrate che avevano tolto lo spazio necessario alla pittura.

È necessario citare fra gli esempi tipici di arte gotica in Italia, veri incomparabili gioielli (oltre alla già citata S. Maria in Fiore ed il Duomo di Milano), la Cattedrale di Orvieto, la Chiesa di S. Francesco in Assisi, S. Petronio di Bologna, il Duomo di Siena, per tacere di numerose altre chiese.

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