A volte la realtà supera l’immaginazione. E’ il caso del capolavoro distopico russo che ha preceduto 1984 di 26 anni
“Sì: integrare la la grandiosa equazione universale. Sì: raddrizzare la selvaggia curva, raddrizzarla secondo la tangente – asintote – seguendo la linea retta. Perché la linea dello Stato Unico è quella retta”. Sembra di essere ai giorni nostri e alla curva del virus o a quella del clima, quando tutto è incentrato alla ricerca dello “zero”: lo zero economico, il contagio zero, le emissioni zero. Sembra di sentire parlare un funzionario di un comitato scientifico dei giorni nostri, e invece no.
Siamo nel 1922, idealmente, ma in realtà molto più avanti. Negli anni ’20 Evgenij Zamjatin immagina una società distopica quanto mai – oggi – attuale, fondata sul culto dell’Integrale, una macchina avvenieristica che assorbe i pensieri di chiunque. Non persone, ma lettere assegnate in base ai difetti fisici (“O” è grassa”, “I” troppo magra e via discorrendo). Icone svampite che si muovono in uno scenario in cui i sentimenti sono dimenticati, e dove sono le decisioni che piovono dall’alto a decidere di ogni aspetto della quotidianità di quello che una volta era l’individuo.
“Sì: integrare la la grandiosa equazione universale. Sì: raddrizzare la selvaggia curva, raddrizzarla secondo la tangente – asintote – seguendo la linea retta. Perché la linea dello Stato Unico”
“Mi raffreddai. Sapevo cosa significasse mostrarsi sulla strada dopo le 22.30”. A leggere queste frasi e a soffermarsi sull’Ufficio dei Guardiani, non si pensa solo ai lockdown e ai coprifuoco confezionati dai politici europei, ma viene anche in mente una considerazione ovvia: che, cioè, la realtà ha già superato la finzione. Zamjatin, l’ingegnere navale russo prestato alla letteratura, ci è arrivato prima di tutti, e anche prima di quell’Orwell che solo 26 anni dopo pubblicherà il più celebre 1984, che della narrativa distopica presente in “Noi” ha risentito eccome.
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