“The Report” e l’altra faccia dell’11 settembre
“The Report” è un docufilm diretto da Scott Z. Burns che racconta senza troppi fronzoli le manipolazioni piscologiche e le torture moderne utilizzate dalla CIA contro i prigionieri di guerra rinchiusi nei cosiddetti Black sites dopo i fatti dell’11 settembre. Senza fronzoli perché a guidare la narrazione è l’adesione scrupolosa ai fatti e ai documenti della storia recente
“The Report” è un docufilm diretto da Scott Z. Burns che racconta senza troppi fronzoli le manipolazioni piscologiche e le torture moderne utilizzate dalla CIA contro i prigionieri di guerra rinchiusi nei cosiddetti Black sites dopo i fatti dell’11 settembre. Senza fronzoli perché a guidare la narrazione è l’adesione scrupolosa ai fatti e ai documenti della storia recente. Tra piloni di scartoffie, in una stanza sotterranea con una squadra ridotta all’osso, si muove Daniel J. Jones, investigatore del Senato degli Stati Uniti presentato con il suo vero nome e la sua vera qualifica.
Il film ne racconta le vicende che lo hanno portato a confrontarsi con una realtà fino a quel momento sommersa. Dopo una rapida scalata all’interno dell’FBI e di altri organismi di Intelligence, diventa assistente della senatrice Dianne Feinstein, democratica a suo agio nel suo ruolo di potere, oggi 89enne. Negli anni riesce a scalfirne riserve e il clima di protezione di agenti colpevoli di crimini atroci, di torture e di manipolazioni che Jones porterà allo scoperto grazie a un lavoro certosino lungo anni. Svelerà, alla fine, in cosa consistevano i fantomatici “interrogatori avanzati”.
Rec News dir. Zaira Bartucca – recnews.it
ARTE & CULTURA
Riferimenti e segreti de “L’esorcista del Papa”
L’Esorcista del Papa non è quello che si definirebbe un horror in senso lato. Non mancano, certo, le scene con un po’ di tensione e tutto il corollario caro al genere, anche se l’effetto di alcune trovate è più comico che spaventoso. Rimane comunque una pellicola permeata di simbolismi, mistero, segreti e riferimenti a quelli che sembrano fatti di cronaca realmente accaduti, ma rivisitati in chiave romanzata.
La storia di padre Gabriele Amorth – impersonato da un inedito Russell Crowe – si apre a Tropea, in Calabria, negli anni ’70. È li che il prete si misura con il caso di possessione di un ragazzo, che risolve suscitando, però, le ire del Vaticano. Ben presto si trova infatti a dover relazionare sull’accaduto davanti a una Commissione risoluta a demansionarlo.
Non si ferma, tuttavia, la sua attività, che prosegue fino al caso più difficile. Sarà la storia di una famiglia ad allontanarlo provvisoriamente dall’Italia per catapultarlo in Castiglia, dove svelerà un segreto sepolto da secoli e si districherà in uno dei 200 luoghi sparsi per il mondo governati dal maligno.
Il film è attraversato dalla storia spesso evocata da Padre Amorth di Rosaria, una giovane cittadina del Vaticano che chiede aiuto al prete. Qualcuno ci ha visto un riferimento al caso di Manuela Orlandi, a cominciare dall’anno della scomparsa citato nel film, il 1983. Nell’Esorcista del Papa, comunque, non si segue alcuna pista ma ci si limita alle suggestioni visionarie del protagonista.
FILM
In “Memory” la piaga del traffico umano di minorenni negli USA
La storia ha come protagonista Alex Lewis (Liam Neeson) e come eminenza grigia Davana Sealman, una Monica Bellucci senza scrupoli convinta dell’utilità della manipolazione genetica: “Il DNA è un algoritmo”, dice mentre si fa curare dal medico che oltre alla situazione salutare ne custodisce i segreti peggiori. E’ lei il caposaldo della tratta minorile in cui Alex, sicario con un suo codice etico, si ritrova immischiato suo malgrado
Il 2022 è stato l’anno della ripresa cinematografica post-covid, complici il ritorno del pubblico nelle sale e alcune iniziative culturali. Se si getta l’occhio sulle produzioni nel loro complesso, si nota che ci sono sempre più film realistici o con riferimenti precisi all’attualità. Il 15 settembre per esempio è uscito nelle sale “Memory” che non è, come si può pensare al primo impatto giudicando dal titolo, un thriller psicologico.
La storia ha come protagonista Alex Lewis (Liam Neeson) e come eminenza grigia Davana Sealman, una Monica Bellucci senza scrupoli convinta dell’utilità della manipolazione genetica: “Il DNA è un algoritmo”, dice mentre si fa curare dal medico che oltre alla situazione salutare ne custodisce i segreti peggiori. E’ lei il caposaldo della tratta minorile in cui Alex, sicario con un suo codice etico, si ritrova immischiato suo malgrado per una serie di regolamenti dei conti.
Il suo è un cammino irrequieto che attraversa tutto il Texas e il Nuovo Messico, alla ricerca di magnati disumani e di fili da riagganciare al meglio delle sue possibilità: non deve combattere solo con i trafficanti, ma con una memoria che si fa sempre più fievole a causa dell’avanzare dell’alzheimer. Nella lotta non è solo come crede: anche l’agente Serra (Guy Pearce) con due sottoposti cerca di mettere insieme i pezzi, contravvenendo agli ordini dei vertici dell’FBI che vorrebbero insabbiare tutto.
Abituato a uccidere per lavoro, Alex Lewis cambierà pelle e si dimostrerà più umano dei criminali quando capirà che a essere immischiati nei loro giri ci sono malcapitati minorenni. Risoluto, a quel punto, a fare giustizia a suo modo, si trasformerà in una sorta di eroe-punitore che salva e fa soccombere allo stesso tempo.
Rec News dir. Zaira Bartucca – recnews.it
FILM
Virus e biolab militari nella pellicola svedese “Granchio nero”
Opera prima per lo scrittore Adam Berg, che dopo alcune esperienze con i cortometraggi ha confezionato un film di azione denso di tensione, drammatico e a tratti inquietante, che però lascia spazio a una speranza finale
Un futuro catastrofico caratterizzato dalla guerra, civili ridotti in cattività e un team di militari selezionati costretti ad attraversare il mare ghiacciato per portare a compimento una missione riservata. Sono i tratti salienti di “Granchio nero”, pellicola svedese del 2022 di Adam Berg. E’ l’opera prima per lo scrittore, che dopo alcune esperienze con i cortometraggi ha confezionato un film di azione denso di tensione, drammatico e a tratti inquietante.
Non è dato sapere con precisione in che periodo storico e in quale contesto geografico agiscano i personaggi: quel che è certo è che si tratta di un Paese nordico e che socialmente ed economicamente non va tutto alla grande. Berg tesse una trama fitta che incrocia la storia di Caroline Edh e di sua figlia con l’evolversi del viaggio suicida che solo alcuni riusciranno a portare a termine, anche se a caro prezzo. La cosa surreale: i militari si lanciano sul mare ghiacciato a bordo di semplici pattini, perché le lastre di ghiaccio sottile a stento reggono il peso di una persona e del equipaggiamento che pesa venti chili.
Li spinge a fare la traversata il trasporto eccezionale di due capsule di cui non conoscono il contenuto, che devono proteggere a costo della vita. Iniziano a titubare quando comprendono che stanno rischiando tutto per proteggere un virus che, scoprono, i loro superiori vogliono venga usato per decimare gli internati nei campi di smistamento. Lì c’è (forse) la figlia di Caroline, e lì è finita la protagonista quando è stata strappata dalla sua routine familiare ed è stata costretta ad arruolarsi. Il finale è realmente degno di un action, e forse è l’unica cosa che poteva essere pensata in maniera più originale. Si svolge in un bio-laboratorio ad alto livello di sicurezza e nonostante le atmosfere cupe e le scene a volte cruente consegna una speranza allo spettatore.
Edh, di nuovo decisiva, ormai stravolta nel suo essere e nella sua umanità dopo l’esperienza bellica e dopo il viaggio che travalica i limiti del sopportabile, non ha più nulla da perdere e si concede l’ultimo gesto eroico che salverà la vita di migliaia di persone.
Rec News dir. Zaira Bartucca – recnews.it
FILM
La Grande Depressione, il Cinema e gli outsider che diventano eroi
La figura di Braddock – l’outsider che ha conquistato le vette del pugilato ma che è rimasto sempre lo stesso – è stata raccontata e immortalata dal film “Cinderella Man – Una ragione per lottare”, con Renée Zellweger e Russell Crowe. Nella pellicola Ron Haward racconta il pugile ma soprattutto l’uomo, che verrà ricordato per una tenacia e per un coraggio che andavano ben oltre il ring
La figura di J.J.Braddock sarà sconosciuta ai più, perfino a chi apprezza il pugilato. Nasce nel 1905 nei sobborghi di Manhattan da una famiglia di origini irlandesi, umile e cattolica. A poca distanza da casa ha il Madison Square Garden, l’arena dove si trova ad assistere ai combattimenti di boxe e dove inizia a sognare di indossare i guantoni. Un desiderio che diventerà ben presto realtà con gli incontri (prima sporadici e poi via via più frequenti) ritagliati dal suo impresario: a 21 anni, nel 1926, diventa professionista dei pesi mediomassimi. Nel 1928 ha già alle spalle 35 vittorie, nel ’29 combatte (e perde) per il titolo mondiale.
E’ l’anno della Grande Depressione, e non crolla solo la borsa di Wall Street: anche le esistenze sue e della sua famiglia (la moglie Mae e tre figli) sono schiacciate sotto il peso della crisi statunitense. J.J. abbandona i contesti rinomati a cui si stava quasi abituando, le limousine e il ben vestire e si proietta di nuovo, come da piccolo, verso una vita fatta di ristrettezze. Il crollo è completo, totale: perde un match, e di conseguenza tutto il resto. Il suo ring diventa il porto dove, da scaricatore precario, oltre al lavoro faticoso è costretto a sopportare gli effetti degli infortuni che si è procurato combattendo.
Gli anni fino al 1933 sono duri e contraddistinti da rinunce amare e insostenibili. Altrove, nel mondo, è l’anno dell’Holodomor. Gli eventi collaterali sembrano segnare anche la fine della carriera di Braddock, che nel corso di un incontro atteso e necessario ma finito in un flop, perde perfino la borsa da pugile. Sembra che l’astro del Bulldog di Bergen, com’era stato nominato, si stia per spegnere, ma un nuovo capitolo è alle porte.
Il 14 giugno del 1934 Braddock viene di nuovo dato in pasto al ring e alle scorrettezze di Corn Griffin nel sottoclou del match mondiale Carnera-Louis. J.J. viene dato per sconfitto e quasi per morto, ma al contrario di ogni previsione, pur ammaccato strappa una vittoria dopo tre riprese. Si impone nuovamente e riesuma una carriera che sembrava sotterrata e sulla scia dei commenti del cronista Damon Runyon diventa Cinderella Man.
Braddock e il cinema
La figura di Braddock – l’outsider che ha conquistato le vette del pugilato ma che è rimasto sempre lo stesso – è stata raccontata e immortalata dal film “Cinderella Man – Una ragione per lottare”, con Renée Zellweger (Mae) e Russell Crowe (James). Nella pellicola il regista Ron Haward (Richie di Happy Days) racconta il pugile ma soprattutto l’uomo che verrà ricordato per una tenacia e per un coraggio che andavano ben oltre il ring. Il Bulldog ringhia per difendere la famiglia e gli amici fraterni dalla crisi esasperante e da un mondo della boxe che tenta di fagocitare tutto intorno.
Con determinazione e fatica tiene in piedi tutto, finché non diventa il campione e in qualche modo l’eroe dei tantissimi che lo seguono per la sua semplicità, per il suo essere un non-divo ma una persona come tutti che conosce il sudore della fronte e le difficoltà della vita. La “ragione per lottare” che tanta forza diede a Braddock la svela lo stesso Haward in Cinderella Man, ed è commovente: Non sei riuscito a vincere per chi voleva fossi un campione, ora per chi ti batti? Gli chiede un giornalista in conferenza stampa. “Ora so per cosa combatto”, dice Braddock: “Combatto per il latte”. Ovvio riferimento ai tre figli piccoli, che ha potuto crescere serenamente e dignitosamente dopo la risalita meritata della sua carriera.
Braddock ha combattuto nel corso della Seconda Guerra Mondiale e ai soldati ha insegnato le tecniche di difesa e di lotta corpo a corpo. Ha potuto comprare una casa e ha vissuto con la sua famiglia e con Mae, la moglie affezionata, i tempi migliori che la fine della crisi ha potuto garantire loro. Una figura positiva che non viene citata quasi mai, forse perché in una società in completo declino che si basa sulla crisi della famiglia e dei valori non rappresenta più un modello.