LIBRI
“Ragazzi che sparano”. Il libro di Di Gennaro e Iavarone sulle devianze giovanili
In distribuzione dal 31 maggio “Ragazzi che sparano. Viaggio nella devianza grave minorile”, di Giacomo Di Gennaro e Maria Luisa Iavarone. Il volume rappresenta un itinerario di ricerca multidisciplinare che indaga il magmatico fenomeno della devianza grave minorile attraverso dati, storie di ragazzi reclusi e voci di testimoni privilegiati, a partire dall’analisi dei processi di espulsione generati da povertà educative, working poor, Neet e, naturalmente, presenza radicata di organizzazioni criminali e mercati illegali che attraggono i giovani nei vortici del crimine.
Il lavoro restituisce, inoltre, anche spunti utili all’adozione di strumenti formativi e di policy per intervenire nell’area della rieducazione carceraria e post-carceraria, al fine di costruire interventi più razionali, competenti e di follow-up. D’altra parte, il ministero della Giustizia ha recentemente emanato un bando per reclutare professionisti da destinare al Dipartimento per la giustizia minorile, riconoscendo l’esigenza di aggiornare competenze per interventi in contesti ad alta complessità. Il volume, nel suo insieme, si rivolge utilmente a studiosi e operatori nel campo della devianza e del crimine e a quanti hanno a cuore il destino di ragazzi troppo spesso attori inconsapevoli di vicende gravissime.
“Ciò di cui ci occupiamo in questo libro – spiega Valentini in Introduzione – non sono le diverse manifestazioni di devianza occasionale, di violenze occasionali o di reati limitati agiti da adolescenti, minori o giovani (Moffitt,1993). Bensì, parliamo delle forme di devianza grave (serious crime) che rende conto di comportamenti reiterati di delinquenza, di carriere criminali già presenti nel proscenio della biografia soggettiva del minore, di reati consumati che delineano un fatto grave come aver usato un’arma da sparo. Su questi elementi sistemici, dunque, si concentra la ricerca.
“Gli interrogativi che hanno accompagnato la ricerca, pertanto, sintetizzano un’ampia riflessione che investe non poche istituzioni locali, ma anche centrali: perché il mercato delle armi è così facilmente accessibile da parte dei minori? Come si sovrappone tale mercato con i clan di camorra? Dove si trovano i covi o gli interramenti, ove si nascondono le armi? Chi rifornisce i clan? Abbiamo collaboratori e/o pentiti che hanno fornito informazioni più precise?”
Punti di vista inediti nella collana “Campi e controcampi”
Il volume inaugura la Collana “Campi e controcampi. Studi, ricerche e strumenti per le scienze criminologiche, educative e sociali”. In cinematografia il controcampo è una tecnica in cui lo stesso oggetto viene messo a fuoco da due diversi punti di vista, in un gioco di inquadrature speculari. Scopo della collana è dunque superare la visione monoprospettica per affrontare
problemi e questioni che per loro stessa complessità impongono una inquadratura multifocale e interdisciplinare.
Alcuni fenomeni cruciali nel nostro tempo come la violenza e il disagio, la devianza e il crimine, le categorie di reati, i mutamenti sociali ed educativi, il cyber-risk e il digital wellness attendono che un approccio di studio multidisciplinare mixed methods ponga in primo piano la dimensione della prevenzione, ancorché del contrasto degli aspetti critici e negativi. La criminologia contemporanea, d’altra parte, è attraversata da un nuovo fermento che prova a rielaborare e intrecciare le vecchie teorie con le nuove evidenze emergenti da fenomeni un tempo inesistenti e da nuovi campi di ricerca.
Basti pensare al terrorismo, alla criminalità femminile, alle indagini di vittimizzazione, ai cyber crimes, agli interessi per i movies based on True Crimes e a tutte le forme di devianza collegate all’uso delle tecnologie digitali. Quest’opera di “ristrutturazione interna” è attraversata sia da un tentativo di costruire una metateoria capace di assimilare, unificare e rendere coerenti i principi che sostanziano le specifiche teorie prodotte nel tempo, sia dalla necessità di utilizzare, sempre di più, apparati concettuali e punti focali provenienti da discipline “esterne” non solo appartenenti alle scienze umane e sociali, ma anche alle neuroscienze cognitive, alla biologia, alla psicologia, alla pedagogia.
La proposta di attivare una collana, dunque, ove convergano discipline proprie della sociologia della devianza, delle scienze criminologiche, pedagogiche e di quel campo dell’economia che studia gli effetti delle illiceità sull’economia legale, nasce dalla consapevolezza che ogni contrasto alle diverse forme di crimine non produrrà alcun risultato se non s’investe nei diversi campi ove la prevenzione può produrre i suoi effetti positivi: educativo e culturale, speciale e situazionale, economico-patrimoniale.
La collana dissoda gli aspetti indicati e offre una occasione di riflessione rivolgendosi a un pubblico di ricercatori, studiosi, formatori e operatori del settore, ospitando studi teorici e ricerche empiriche, contributi e riflessioni, traduzione di opere che si distinguano per innovazione e originalità nel metodo e nei contenuti. Il fine ultimo è svolgere una funzione prospettica di controcampo, appunto, divulgando opere e progetti per rimodulare categorie, concetti e teorie utili ad adeguare la comprensione della realtà sociale entro la quale prendono forma la devianza, gli agiti criminali e le questioni connesse alla criminalità.
Il Comitato Scientifico della Collana
Giacomo Di Gennaro e Maria Luisa Iavarone (direzione); Francesco Calderoni, Mario Caligiuri, Fedele Cuculo, Sabina Curti, Andrea Di Nicola, Riccardo Marselli, Rossella Marzullo, Roberta Piazza, Michele Riccardi, Ernesto Ugo Savona, Marco Valentini, Barbara Vettori, Susanna Vezzadini.
Comitato Editoriale:
Ferdinando Ivano Ambra, Luigi Aruta, Roberta Aurilia, Debora Amelia Elce, Francesco Girardi, Alessandra Passaretti, Andrea Procaccini, Chiara Scuotto.
Corrispondenti internazionali:
Stefano Caneppele (Lausanne University), Riccardo Campa (Università di Cracovia), Tracy L. Tamborra (University New Haven).
INCHIESTE
Viaggio nell’inferno della criminalità giovanile
“La mia maggiore aspettativa è sposare un camorrista”. “Eravamo tutti insieme. Un mio amico portò una borsa piena di armi e tutti prendemmo una pistola”. Io vedevo loro sparare e così ho iniziato anch’io”. E’ un viaggio denso e a tratti agghiacciante quello che Giacomo Di Gennaro – ordinario di Sociologia giuridica, della devianza e del mutamento sociale – e Maria Luisa Iavarone – ordinario di Pedagogia – compiono nel saggio “Ragazzi che sparano”, edito dalla casa editrice Franco Angeli.
Oltre duecento pagine in cui si scandaglia – dati alla mano – il tema della devianza giovanile grave, con le sue motivazioni, gli inneschi, la subcultura e tutto l’humus che l’ha fatta e la fa germogliare. Una ricerca, avvertono gli autori, che non è fine a sé stessa, ma che rappresenta il punto di partenza per trovare soluzioni al problema e per interloquire con i soggetti coinvolti: dalle Forze dell’Ordine alla Magistratura, da chi è deputato all’educazione e alla rieducazione a chi ha potere decisionale. Perché l’approccio consolidato, discontinuo e soppressivo, continua a mostrare limiti e debolezze, mentre a dover essere modificati – dicono i ricercatori – sono tutti quei fattori che portano i giovani a scegliere di essere criminali per poter, a conti fatti, permettere di avere uno status. Fosse anche quello di malvivente.
Ma perché si diventa criminali e perché in alcune zone e così facile che si inizi così presto? Iavarone e Di Gennaro rispondono alla domanda evidenziando le costanti dell’agire al di fuori della legalità. Due in particolare, che ricorrono nelle storie degli intervistati dell’IPM di Nisida: la condizione di indigenza e l’evasione scolastica. E’ su questa tabula di azzeramento sociale e intellettivo che le consorterie costruiscono il personaggio tipo utile al perseguimento di comportamenti criminosi che spaziano dai vari traffici all’uso di armi da fuoco, dalle cosiddette “stese” per far sfoggio della propria supremazia sul territorio agli annidamenti nella burocrazia. E’ pur vero che non tutti i poveri e non tutti quelli che non hanno studiato sposano determinati contesti: i due autori spiegano i motivi di questa dicotomia individuando e sondando altri fattori che nel giro di un quarantennio hanno portato al consolidamento della criminalità giovanile e finanche minorile.
Il volume di focalizza sul territorio napoletano raccontato dagli anni ’80 a oggi evidenziando due dati che forse possono stupire: l’ultimo sessennio ha visto un decremento di reati e non è la città partenopea ad avere il primato degli episodi attribuibili alla criminalità radicata tra le fasce di età più giovani, scalzata com’è da Bologna, Milano, Torino e Roma. Colpa del clima omertoso che impedisce di denunciare o merito di alcuni – rari e isolati – pm coraggiosi che distruggono altarini e demoliscono i miti cari ai clan, anche se la Camorra e le altre mafie alla lunga rimangono tutte lì. Perché cambia tutto ma non cambiano le condizioni che permettono al crimine di proliferare, anche se in maniera sempre più endemica, e di trasformarsi diventando quasi invisibile, normale, istituzionalizzato.
Certo, non ci sono bacchette magiche che permettono dall’oggi al domani di resettare tutto. Ma nel Paese che ha 5 milioni di poveri e un milione di minorenni che non hanno possibilità di studiare in maniera adeguata la prevenzione – osservano Di Gennaro e Iavarone – è l’arma che può permettere ai giovani di cambiare idea finché sono ancora in tempo e di capire che perseguire obiettivi leciti e costruirsi da soli, fosse anche con fatica, può permettere di vivere una vita più dignitosa. Lontana, a conti fatti, dai modelli distorti che si decantano in alcune fiction citate nel volume.
COME FARE PER
Diventare “creatori di business in 7 shot”
Nasce dalla penna di un “imprenditore seriale” la guida che contiene molte dritte per destreggiarsi in un periodo di crisi atipico come questo
Nasce dalla penna di un “imprenditore seriale” il libro “7 shot per creatori di business”. Enrico Pisani – già libero professionista del mondo delle Tlc che gravita nel mondo delle startup digitali – lo ha scritto pensando “alle paure e ai blocchi che si hanno all’inizio di una carriera”. Il risultato è una guida, un manuale scorrevole dove si trovano molte dritte per destreggiarsi in un periodo di crisi atipico come questo. Il segreto secondo Pisani è abbandonare l’idea del “monobusiness”, reinventandosi di continuo e tentando di capire le dinamiche del mercato.
“Per l’imprenditore che non è abituato a rischiare o che non ha mai iniziato a creare il proprio business – avverte l’autore – sarà dura mandare giù questi problemi. Il libro è per tutti quelli che almeno una volta nella vita hanno detto o si sono sentiti dire queste frasi: Mi mancano i capitali, Non ho tempo, Non voglio correre rischi, Non conosco le persone giuste, Non so concretamente che fare, Non ho le competenze, È troppo tardi, non so se è il momento adatto“.
Il pensiero corre, nelle pagine del testo, a tutti quei titolari di impresa e liberi professionisti che “vedevano i loro sogni arenati in una SRL o una Partita Iva in fase di stallo. Anche io – racconta Pisani – sono stato giovane, impaurito, senza soldi da investire e con tante idee, ma credo che se avessi avuto questo libro nelle mani, avrei iniziato a fare business molto prima e senza troppe preoccupazioni. Vorrei davvero poter vedere meno persone disilluse, e più persone animate dai loro sogni. Magari questo libro riuscirà a “risvegliare” qualcuno, sarebbe bellissimo.”
COVID
Il grande “equivoco”. Il volume che spiega come si è arrivati (sbagliando) a chiudere il Paese
“La sovranità del diritto tiranno – L’illusione del lockdown” è il volume dell’avvocato edito da Albatros
E’ un saggio ricco di spunti di riflessione e di riferimenti precisi quello che Angelo Di Lorenzo – avvocato penalista – ha pubblicato per Albatros. “La sovranità del diritto tiranno – L’illusione del lockdown” inizia con una originale metafora calcistica – che è un po’ la summa dell’azione di governo di “Mister Conte” – per approdare a “quel sabato notte di coprifuoco del 14 novembre”, quando l’autore ha avvertito “l’urgenza di dar sfogo al dubbio maturato dopo mesi di isolamento”. “A cosa è servito tutto questo? E soprattutto, ha funzionato?”
Di Lorenzo se lo domandava negli scorsi mesi mettendo in guardia dal pericolo di “staccare la spina alla Repubblica” a causa delle misure illogiche e soprattutto incostituzionali che hanno caratterizzato la gestione della fantomatica emergenza, e oggi non smette di farsi domande, di tentare di mettere insieme i pezzi e di ricordare i mesi in cui “sono spariti dal piatto della bilancia i diritti primari e fondamentali della persona umana attraverso i quali esprimere e realizzare, sia individualmente sia in seno alle formazioni sociali cui appartiene, la sua personalità”.
Non c’è – spiega Di Lorenzo passando in rassegna i capisaldi della giurisprudenza – un diritto che può annullare tutti gli altri, neppure se questo diritto è quello alla salute. Con questi presupposti il lockdown non poteva che fondarsi su un “equivoco”, trattandosi di “un istituto sconosciuto (…) che non trova alcuna definizione nel nostro ordinamento” e che pure ha congelato la produttività, le attività, la vita sociale, la cultura e le possibilità di svago di un’intera nazione. Serviva? Era davvero necessario? L’avvocato cerca la risposta attraverso cenni storici, dati e grafici, considerando le misure assunte dal governo e dal Comitato tecnico scientifico.
Lapidarie e definitive le risultanze che riguardano i “decessi per covid”: “L’incertezza sull’acquisizione dei tassi di mortalità – ricorda l’autore del saggio – è ben lontana dall’essere precisa. Esso non distingue, almeno in Italia e almeno nella rilevazione della prima ondata, tra le vittime della malattia e quelle legate a fattori paralleli alla pandemia, come ad esempio le difficoltà di accesso alla normale assistenza sanitaria od alle condizioni preesistenti di comorbidità: si comprendono così le profonde incertezze rispetto ai numeri indicati come “decessi per Covid”, rendendo di fatto impossibile capire se i numeri si riferiscono a persone decedute per coronavirus o per altre cause ad esso indirettamente collegate”. “Speriamo – è l’auspicio che Di Lorenzo affida alla conclusione del volume agile e scorrevole – che questa volta almeno conteremo un numero di morti di gran lunga inferiore grazie alle cure e alle terapie che i nostri eroici medici hanno imparato a somministrare”.
LIBRI
L’Ufficio Guardiani, la “curva” e il coprifuoco, cosa si è già avverato di “Noi” di Zamjatin
A volte la realtà supera l’immaginazione. E’ il caso del capolavoro distopico russo che ha preceduto 1984 di 26 anni
“Sì: integrare la la grandiosa equazione universale. Sì: raddrizzare la selvaggia curva, raddrizzarla secondo la tangente – asintote – seguendo la linea retta. Perché la linea dello Stato Unico è quella retta”. Sembra di essere ai giorni nostri e alla curva del virus o a quella del clima, quando tutto è incentrato alla ricerca dello “zero”: lo zero economico, il contagio zero, le emissioni zero. Sembra di sentire parlare un funzionario di un comitato scientifico dei giorni nostri, e invece no.
Siamo nel 1922, idealmente, ma in realtà molto più avanti. Negli anni ’20 Evgenij Zamjatin immagina una società distopica quanto mai – oggi – attuale, fondata sul culto dell’Integrale, una macchina avvenieristica che assorbe i pensieri di chiunque. Non persone, ma lettere assegnate in base ai difetti fisici (“O” è grassa”, “I” troppo magra e via discorrendo). Icone svampite che si muovono in uno scenario in cui i sentimenti sono dimenticati, e dove sono le decisioni che piovono dall’alto a decidere di ogni aspetto della quotidianità di quello che una volta era l’individuo.
“Sì: integrare la la grandiosa equazione universale. Sì: raddrizzare la selvaggia curva, raddrizzarla secondo la tangente – asintote – seguendo la linea retta. Perché la linea dello Stato Unico”
“Mi raffreddai. Sapevo cosa significasse mostrarsi sulla strada dopo le 22.30”. A leggere queste frasi e a soffermarsi sull’Ufficio dei Guardiani, non si pensa solo ai lockdown e ai coprifuoco confezionati dai politici europei, ma viene anche in mente una considerazione ovvia: che, cioè, la realtà ha già superato la finzione. Zamjatin, l’ingegnere navale russo prestato alla letteratura, ci è arrivato prima di tutti, e anche prima di quell’Orwell che solo 26 anni dopo pubblicherà il più celebre 1984, che della narrativa distopica presente in “Noi” ha risentito eccome.