
Vogliono spezzare Assange. Sconta il carcere, ma non è stato mai condannato
L’Onu si appella al “giusto processo”, ma intanto al giornalista sono precluse perfino le cure mediche. Isolato, non viene neppure rispettato il suo diritto di vedere gli avvocati. La madre Christine: “Moreno gli ha vietato perfino i suoi effetti personali”
La prima esperienza in carcere (per uno che non è un criminale) è a Wandsworth, in Gran Bretagna, nel 2010. Poi, dal 2012, sette anni di confino presso l’ambasciata dell’Ecuador. Le vicende legate al giornalista investigativo Julian Assange si fanno sempre più amare e appena una decina di giorni fa sono culminate con il prelievo forzato da parte di Scotland Yard e con la reclusione nel carcere di massima sicurezza di Belmarsh. Attualmente, denuncia la madre Christine, non ha accesso a cure mediche, è “completamente isolato”, anche dagli avvocati che avrebbe diritto di vedere, e non gli è stato consentito portare con se nessun tipo di oggetto oltre al discusso libro che teneva in mano di Gore Vidal sulla National Security Agency, dove ha lavorato Edward Snowden.
Le “accuse”. Il fondatore di Wikileaks rischia inoltre di essere estradato negli Stati Uniti e secondo alcuni analisti qualora gli USA si appellassero allo Espionage Act del 1917 potrebbe rischiare addirittura la pena di morte. A suo favore rimane il fatto che formalmente non si sia concretizzata nessuna accusa oltre alle ipotesi avanzate dal presidente dell’Ecuador Lenin Moreno (quello della compravendita da 4,2 miliardi con il FMI che gli ha attribuito la fuga INA Papers, disconosciuta da Wikileaks) e dai democratici finiti nel vortice dopo le rivelazioni sulla Clinton. Assange è stato travolto negli scorsi anni anche da due scandali sessuali: entrambi i casi erano stati accantonati, senza contare che le accuse sono state ritirate dalle stesse interessate. Rispolverarli, tuttavia, permetterebbe l’estradizione in Svezia al posto dei ben più temibili Stati Uniti.
Il ruolo di Chelsea Manning. A rimanere in piedi è l’impianto che riguarda il reperimento e la pubblicazione di documenti scomodi, in particolare quelli ottenuti grazie al militare e analista della Cia Chelsea Manning, al secolo Bradley. Un processo che non si discosta di molto da quello che milioni di (veri) giornalisti compiono ogni giorno per poter scrivere con solide basi di appoggio. Eppure, in attesa che le accuse vengano rigettate o appurate, ad Assange non viene concessa la libertà.
Il “giusto processo”. Nei fatti, il creatore di Wikileaks (piattaforma libera che negli anni ha messo gratuitamente a disposizione di tutti e in ogni parte del mondo milioni di documenti su governi, corruzione, guerre, lobby) sconta il carcere pur non essendo stato formalmente condannato. Tanto che l’Onu si è di recente appellata al “giusto processo”, che comporterebbe la possibilità di difendersi e di riprendere parte al dibattito pubblico: ad Assange, che non ha accesso dal 2018 a nessun dispositivo elettronico, è precluso perfino questo.
L’isolamento e la mancanza di cure mediche. Ma, tolti gli aspetti di natura legale, il dramma reale è quello umano. Assange ha visto un medico l’ultima volta nel 2016, quando già gli sono stati riconosciuti i segni fisici e psicologici della detenzione e della mancanza continuata di sole che, riferiva il medico Sean Love, espone a carenze croniche di vitamina D e a malattie altamente debilitanti. A questo vanno aggiunti i problemi dentali e palatali causati da pezzi di metallo masticati nel corso della prima esperienza in carcere, nel 2010 e il “dolore cronico a una spalla”, sempre stando a quanto divulgato dal dottor Love.
@AssangeMrs: “2 settimane dall’arresto/detenzione di Julian nella prigione di Belmarsh. Non gli è ancora permesso avere visitatori, compresi i suoi avvocati! Questo equivale a più isolamento e stress! I suoi dottori che lo avevano esaminato hanno già dichiarato che ha bisogno di cure ospedaliere immediate! Risolvi questo @Theresa_May!”
Le ingiuste penitenze, tuttavia, non sono finite. A riportarne di nuove è la madre Christine, che tra i tantissimi tweets in difesa del figlio ne ha postati due rivolti a Lenin Moreno e a Theresa May, lamentando il mancato accesso alle necessarie cure mediche e le privazioni cui lo sta sottoponendo il presidente dell’Ecuador, impegnando in varie campagne di repressione che non riguardano solo Assange. (Qui la protesta pacifica di Quito e la reazione spropositata della Polizia e qui la “fine” di Ricardo Patino).
IMF dopo un anno di torture. Non c’è fine alla tua sottomissione e crudeltà?”
FREE SPEECH
Guerra in Medio Oriente, vandalizzato il murales dedicato alla giornalista Shireen Abu Akleh uccisa a Jenin

Vandalizzato il murales dedicato a Shireen Abu Akleh e della libertà di stampa a via di Valco San Paolo, nel cuore di Roma Sud. Nelle scorse ore il volto stilizzato della giornalista palestinese di Al Jazeera, colpita a morte dall’esercito israeliano l’11 maggio 2022 durante uno dei suoi tanti servizi nei campi profughi di Jenin, in Cisgiordania, è stato imbrattato da una macchia di vernice rosso sangue mentre accanto alla figura della donna si legge la scritta “assassini”.
Il murales, opera dell’artista Erica Silvestri, nelle scorse settimane era stato realizzato per celebrare il sacrificio di una reporter che, come tanti inviati di guerra ogni anno, è morta mentre svolgeva la professione di raccontare gli orrori della guerra e, in questo caso, anche cosa succede nei campi profughi palestinesi: a promuovere l’iniziativa, che ha ottenuto il sostegno della Federazione Nazionale della Stampa, è stato l’VIII municipio della Capitale, l’associazione dei Giovani Palestinesi di Roma e “Join The Resistance” in collaborazione con Radio Roma che da sempre segue con particolare attenzione le vicende estere ma anche le dinamiche delle comunità straniere che vivono in città. Proprio per dare visibilità al messaggio, si era scelto di creare il murales in un punto di via di Valco San Paolo particolarmente trafficato e l’opera era diventata ben presto meta di molti cittadini incuriositi.
L’episodio di vandalismo, scoperto nelle scorse ore, viene facilmente messo in relazione con quanto sta accadendo in Medio Oriente e con la guerra di Israele contro i terroristi di Hamas: “I drammi degli ultimi giorni tra Israele e Palestina stanno esacerbando tutto ciò che ruota intorno alla questione israelo-palestinese” – spiega Andrea Candelaresi, giornalista di Radio Roma e promotore del murales: “Questo clima di tensione arriva fin qui, a Roma, dove l’odio non fa altro che creare inutili confusioni. Shireen Abu Akleh non c’entrava nulla con Hamas, né con la scia di morte e distruzione di questi giorni. Vandalizzare quel murales ha significato, per noi, infangare la memoria di un’abile giornalista morta per una nobile causa: raccontare la verità per formare coscienze. Ma è anche la spia, rossa, sul motore della qualità della stampa perché se il popolo è informato male si creano le tifoserie ed essere ultras porta alla radicalizzazione, la quale genera confusione e odio. Confusione e odio che hanno colpito un murales, ma anche una donna morta per il suo lavoro; hanno colpito chi ci portava la realtà dei fatti in casa e questo non possiamo né dobbiamo dimenticarlo”.
Dopo la segnalazione del vandalismo, il murales è stato restaurato la scorsa notte dalla sua autrice, Erica Silvestri, che ha deciso di “rispondere con l’arte all’odio”.
ARTE & CULTURA
Bandire i forestierismi. “Ricorda il fascismo, lasciare libertà di espressione”

“Sono rimasto sorpreso dalla scelta di questo tema nell’era del simultaneo”, ha affermato durante il programma radiofonico “Base Luna chiama Terra” su Radio Cusano Campus il professor Marco Belpoliti, autore della traccia selezionata per la prima prova scritta della Maturità 2023, scrittore, italianista e docente di Critica Letteraria e Letterature Comparate all’Università di Bergamo.
“C’è stata la pandemia che ci ha messo in attesa, come nelle telefonate: ‘La preghiamo di attendere’. Tutto ora è ricominciato accelerando, ma l’attesa è ancora lì e resta in attesa”. L’attesa, secondo Belpoliti, è ancora “una questione rilevante nelle nostre vite nonostante la velocità che ci circonda” ha sostenuto durante l’intervista.
Parlando dell’influenza della tecnologia sulla comunicazione, Belpoliti ha poi sottolineato che il senso dominante è diventato quello visivo. “C’è sempre stata più gente che guardava piuttosto che gente che leggeva. Parlare, parlano tutti, c’è il costante desiderio di parlare. Una volta un uomo nel corso della sua vita vedeva un centinaio di immagini. Ora ne vediamo migliaia ogni giorno, anche solo sui social”, ha proseguito Belpoliti.
Riguardo alla trasformazione delle modalità espressive, il professore ha poi evidenziato “il ritorno a un regime del flusso nella scrittura, simile alle scritture pubbliche dell’epoca romana che non conoscevano la punteggiatura. Ora usiamo i puntini sospensivi” ha ribadito. “L’emoticon crea l’elemento espressivo, disegnando le emozioni che non possono essere contenute nella scrittura, che dal canto suo non ha dei modi per dichiarare il tono con cui viene pronunciata una frase. C’è qualcosa di antico e contemporaneo allo stesso tempo. Qualcosa che è in evoluzione. Questa comunicazione non cancella l’altra. Una si sovrappone all’altra. Una predomina, l’altra regredisce” .
E sull’uso dei forestierismi nella lingua italiana, Belpoliti ha concluso l’intervista dicendo “Non sono spaventato dalla presenza di parole inglesi. Cancellare le parole inglesi, ricorda il fascismo. La pulizia linguistica mi ricorda un altro tipo di pulizia meno nobile. Bisogna lasciare anche una libertà all’espressione”.
FREE SPEECH
La paghetta per i giornalisti che daranno “priorità alle questioni legate al clima”

Dopo i colpi inferti dal governo e dalla riforma Nordio alla Libertà di Espressione, un altro mal costume continua a minacciare l’autonomia di giornalisti e comunicatori. C’è chi tenta di silenziare quelli che fanno il loro lavoro a suon di querele temerarie e di campagne diffamatorie e chi, invece, vorrebbe ridurre i più manipolabili a meri burattini che ripetono a pappagallo gli slogan del politicamente corrotto in fatto di Sanità, di migranti, di Europa, di rapporti sociali. E di clima, ovviamente.
Su quest’ultimo terreno – squisitamente agendista – si concentrano ora le ansie del Centro europeo di Giornalismo, che periodicamente eroga delle paghette, sotto forma di premi, ai giornalisti che “si distinguono” in un determinato settore. Abbiamo già scritto dei finanziamenti da 7500 dollari da parte dello stesso ECJ e della fondazione Bill & Melinda Gates destinati a quei comunicatori che influenzano l’opinione pubblica in tema di Sanità.
Questa volta, invece, il premio – da 2000 euro ed erogato sempre dal Centro europeo di Giornalismo – è per coloro i quali daranno “priorità alla segnalazione di questioni legate al clima” in articoli o reportage pubblicati dal 14 al 17 giugno. Cosa significhi dare priorità non è dato saperlo, ma quel che è certo è che a dare man forte alle narrazioni costruite ci sarà anche Google News, il servizio della Big Tech già multata per propaganda e favoritismi, anche in Italia. In che modo e con quali toni, poi, i giornalisti parleranno e scriveranno di siccità, alluvioni e di “emergenze” climatiche (sapendo che ad attenderli ci sarà una ricompensa), c’è solo da immaginarselo.
FREE SPEECH
Concorsi pubblici, Pallotta (OdG): “Giuridicamente scorretto escludere i pubblicisti”

“Riservare ai soli giornalisti professionisti con l’esclusione dei giornalisti pubblicisti la partecipazione al concorso per l’assunzione di personale nel settore della comunicazione bandito dal Gran Sasso Scienze Insitute, è immotivato e giuridicamente non corretto”. E’ quanto afferma il Presidente dell’Ordine dei giornalisti d’Abruzzo, Stefano Pallotta, che ha inviato una lettera al direttore generale dell’Istituto, Mario Picasso, per chiedere la modifica del bando ai sensi della legge 150 del 2000.
“Si fa notare – si puntualizza nella lettera – che non esiste un albo dei giornalisti professionisti, ma che l’Ordine dei giornalisti comprende due elenchi, professionisti e pubblicisti e che in materia di concorsi nella Pubblica amministrazione, relativamente all’Ufficio stampa e comunicazione, la legge 150 del 2000 non fa alcuna distinzione tra i due elenchi limitandosi a richiedere l’iscrizione all’Ordine dei giornalisti”, conclude il presidente Pallotta.