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Mimmo Lucano – l’ex sindaco di Riace condannato a 13 anni e due mesi di carcere per associazione a delinquere, peculato, truffa allo Stato, truffa per erogazioni pubbliche e falso in atto pubblico – ha recentemente visitato la tomba di Becky Moses, come riporta la stampa locale. Chi era Becky? Per chi non avesse ancora avuto modo di conoscere la sua storia drammatica, era la ragazza nigeriana appena 26enne trovata morta – riportano le cronache – nel rogo sviluppato nel campo di San Ferdinando.

Becky, stando a quanto afferma una testimone oculare che la conosceva di persona che abbiamo raggiunto tempo fa, era giunta a Riace credendo alla favola dell’accoglienza, ma lì più che aiuto aveva trovato Lemlem Tesfahun e le sue volontà lapidarie e insindacabili. Quanto decideva Lemlem – compagna di Lucano – non poteva essere discusso, e lei aveva deciso che per Becky non c’erano progetti solidali. “Cacciata” e in difficoltà estrema, era dunque giunta nel campo di San Ferdinando, dove ha trovato la morte.

Un decesso su cui tuttora non è stata fatta luce, nonostante i tentativi. Ma perché Mimmo Lucano (che all’epoca della morte della giovane era sindaco di Riace) lasciò il corpo carbonizzato della povera Becky per almeno quattro mesi nella cella frigo della sala Morgue dell’ospedale di Polistena senza autorizzarne il trasferimento e dunque la tumulazione? Abbiamo sollevato varie volte questo quesito, basandoci su due documenti pubblicati in esclusiva, cioè due relazioni dell’Asp di Polistena del 13 aprile e del 14 maggio 2020, ma ad oggi non ci sono risposte. Oggi – paradossalmente, richiamo della coscienza o meno, Lucano va a rendere omaggio a un corpo che ha trovato degna sepoltura quattro mesi più tardi del previsto, e proprio in forza della sua volontà di non autorizzarne il trasferimento.

La giovane nigeriana, infatti, è stata tumulata dopo mesi e mesi di dimenticanza, quando Lucano ha deciso che era abbastanza e che addirittura la volontà di seppellirla andasse pubblicizzata perché – riporta un articolo online – “ha voluto che la propria amministrazione si facesse carico delle spese di un rito funerario formale e solenne”. Ma perché, allora, non lo ha fatto prima, sollecitato com’era dai dirigenti dell’Asp, e soprattutto perché sulla vicenda di Becky Moses dopo tre anni non è stata ancora fatta chiarezza?

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Viaggio nell’inferno della criminalità giovanile

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Viaggio nell'inferno della criminalità minorile | Rec News dir. Zaira Bartucca

“La mia maggiore aspettativa è sposare un camorrista”. “Eravamo tutti insieme. Un mio amico portò una borsa piena di armi e tutti prendemmo una pistola”. Io vedevo loro sparare e così ho iniziato anch’io”. E’ un viaggio denso e a tratti agghiacciante quello che Giacomo Di Gennaro – ordinario di Sociologia giuridica, della devianza e del mutamento sociale – e Maria Luisa Iavarone – ordinario di Pedagogia – compiono nel saggio “Ragazzi che sparano”, edito dalla casa editrice Franco Angeli.

Oltre duecento pagine in cui si scandaglia – dati alla mano – il tema della devianza giovanile grave, con le sue motivazioni, gli inneschi, la subcultura e tutto l’humus che l’ha fatta e la fa germogliare. Una ricerca, avvertono gli autori, che non è fine a sé stessa, ma che rappresenta il punto di partenza per trovare soluzioni al problema e per interloquire con i soggetti coinvolti: dalle Forze dell’Ordine alla Magistratura, da chi è deputato all’educazione e alla rieducazione a chi ha potere decisionale. Perché l’approccio consolidato, discontinuo e soppressivo, continua a mostrare limiti e debolezze, mentre a dover essere modificati – dicono i ricercatori – sono tutti quei fattori che portano i giovani a scegliere di essere criminali per poter, a conti fatti, permettere di avere uno status. Fosse anche quello di malvivente.

Ma perché si diventa criminali e perché in alcune zone e così facile che si inizi così presto? Iavarone e Di Gennaro rispondono alla domanda evidenziando le costanti dell’agire al di fuori della legalità. Due in particolare, che ricorrono nelle storie degli intervistati dell’IPM di Nisida: la condizione di indigenza e l’evasione scolastica. E’ su questa tabula di azzeramento sociale e intellettivo che le consorterie costruiscono il personaggio tipo utile al perseguimento di comportamenti criminosi che spaziano dai vari traffici all’uso di armi da fuoco, dalle cosiddette “stese” per far sfoggio della propria supremazia sul territorio agli annidamenti nella burocrazia. E’ pur vero che non tutti i poveri e non tutti quelli che non hanno studiato sposano determinati contesti: i due autori spiegano i motivi di questa dicotomia individuando e sondando altri fattori che nel giro di un quarantennio hanno portato al consolidamento della criminalità giovanile e finanche minorile.

Il volume di focalizza sul territorio napoletano raccontato dagli anni ’80 a oggi evidenziando due dati che forse possono stupire: l’ultimo sessennio ha visto un decremento di reati e non è la città partenopea ad avere il primato degli episodi attribuibili alla criminalità radicata tra le fasce di età più giovani, scalzata com’è da Bologna, Milano, Torino e Roma. Colpa del clima omertoso che impedisce di denunciare o merito di alcuni – rari e isolati – pm coraggiosi che distruggono altarini e demoliscono i miti cari ai clan, anche se la Camorra e le altre mafie alla lunga rimangono tutte lì. Perché cambia tutto ma non cambiano le condizioni che permettono al crimine di proliferare, anche se in maniera sempre più endemica, e di trasformarsi diventando quasi invisibile, normale, istituzionalizzato.

Certo, non ci sono bacchette magiche che permettono dall’oggi al domani di resettare tutto. Ma nel Paese che ha 5 milioni di poveri e un milione di minorenni che non hanno possibilità di studiare in maniera adeguata la prevenzione – osservano Di Gennaro e Iavarone – è l’arma che può permettere ai giovani di cambiare idea finché sono ancora in tempo e di capire che perseguire obiettivi leciti e costruirsi da soli, fosse anche con fatica, può permettere di vivere una vita più dignitosa. Lontana, a conti fatti, dai modelli distorti che si decantano in alcune fiction citate nel volume.

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La paghetta per i giornalisti che daranno “priorità alle questioni legate al clima”

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La paghetta per i giornalisti che daranno "priorità alle questioni legate al clima" | Rec News dir. Zaira Bartucca

Dopo i colpi inferti dal governo e dalla riforma Nordio alla Libertà di Espressione, un altro mal costume continua a minacciare l’autonomia di giornalisti e comunicatori. C’è chi tenta di silenziare quelli che fanno il loro lavoro a suon di querele temerarie e di campagne diffamatorie e chi, invece, vorrebbe ridurre i più manipolabili a meri burattini che ripetono a pappagallo gli slogan del politicamente corrotto in fatto di Sanità, di migranti, di Europa, di rapporti sociali. E di clima, ovviamente.

Su quest’ultimo terreno – squisitamente agendista – si concentrano ora le ansie del Centro europeo di Giornalismo, che periodicamente eroga delle paghette, sotto forma di premi, ai giornalisti che “si distinguono” in un determinato settore. Abbiamo già scritto dei finanziamenti da 7500 dollari da parte dello stesso ECJ e della fondazione Bill & Melinda Gates destinati a quei comunicatori che influenzano l’opinione pubblica in tema di Sanità.

Questa volta, invece, il premio – da 2000 euro ed erogato sempre dal Centro europeo di Giornalismo – è per coloro i quali daranno “priorità alla segnalazione di questioni legate al clima” in articoli o reportage pubblicati dal 14 al 17 giugno. Cosa significhi dare priorità non è dato saperlo, ma quel che è certo è che a dare man forte alle narrazioni costruite ci sarà anche Google News, il servizio della Big Tech già multata per propaganda e favoritismi, anche in Italia. In che modo e con quali toni, poi, i giornalisti parleranno e scriveranno di siccità, alluvioni e di “emergenze” climatiche (sapendo che ad attenderli ci sarà una ricompensa), c’è solo da immaginarselo.

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I rischi legati al consumo di insetti svelati dagli esperti. Le marche coinvolte e come riconoscere i preparati che li contengono

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I rischi legati al consumo di insetti svelati dagli esperti. Le marche coinvolte e come riconoscere i preparati che li contengono | Rec News dir. Zaira Bartucca

L’ingresso della farina di grilli nel mercato unico europeo ha suscitato un interesse crescente tra i consumatori. Tuttavia, i rischi legati al loro consumo alimentare non sono ancora stati sufficientemente esplorati. Secondo i suoi estimatori, la farina di grilli è ricca di proteine, minerali e vitamine, ma diverse preoccupazioni emergono quando si parla di introdurla nelle proprie abitudini alimentari. I principali rischi sono malattie dell’apparato gastrointestinale, allergie e intolleranze alimentari, già evidenziate dal nutrizionista e ricercatore Pietro Senette.

Il parere dell’esperto

“Il tallone d’Achille di questi preparati sta proprio in alcune delle loro proteine potenzialmente allergeniche. Al momento attuale come spesso succede le ricerche in materia sono quasi esclusivamente a firma dei produttori, un po’ come chiedere all’oste se è buono il vino che ci serve a tavola. Resta inoltre il nodo “chitina”, un polisaccaride contenuto negli insetti che oltre a non essere digeribile per il nostro apparato gastrointestinale è stato collegato da uno studio scientifico abbastanza recente a reazioni infiammatorie non proprio di poco conto. La mia raccomandazione – ha detto l’esperto a l’Unione Sarda – è che al di fuori del principio di precauzione che esige un’etichetta alimentare segnalatrice, si facciano comunque ulteriori studi da parte degli organi competenti in modo da far stare tutti più sereni».

Un rischio in più per gli allergici

Continuano infatti a essere assenti gli studi a lungo termine sull’impatto del consumo di farina di grilli sulla salute umana, mentre la comunità scientifica dà ormai per assodato che le persone con allergie alimentari possano essere colpite più seriamente da allergie agli insetti. Uno studio ha rilevato che la farina di grilli può aumentare la sensibilità del sistema immunitario a una serie di allergeni alimentari, inclusi il grano, la soia e il latte. Un altro rischio associato al consumo di farina di grilli è l’esposizione a sostanze chimiche dannose.

La presenza di metalli pesanti e la possibilità di incorrere in carenze nutrizionali

Alcuni grilli contengono tossine come arsenico, cadmio e piombo, che sono note per causare gravi danni alla salute. Inoltre è importante ricordare che, a causa della loro consistenza, i grilli possono essere più difficili da digerire rispetto ad altri alimenti. Ciò – dicono gli esperti – potrebbe causare problemi nell’assorbimento di nutrienti da parte dell’organismo, portando a carenze nutrizionali.

Un altro aspetto importante riguarda il diritto del consumatore a essere informato, soprattutto in un momento in cui manca un’etichettatura chiara e normata che faccia subito comprendere a chi acquista un prodotto che si rischia di mangiare degli insetti. Basterà la dicitura “polvere parzialmente sgrassata di Acheta domesticus” per far comprendere a tutti che si sta per mangiare degli insetti? Non serve, infatti, comprare un pacco di farina di grilli per trovarsela nello stomaco, perché questa può essere assunta tramite biscotti, gelati, salse, cracker, barrette e tutti i preparati a base di farina (pizza, pane, pasta, ecc.). In Italia l’azienda specializzata nella produzione di alimenti a base di insetti è Fucibo, mentre tra le importabili figurano la francese Agronutris e l’olandese Fair Insects B.V., che fa capo a Protix e ha ottenuto l’ok dalla Ue per la commercializzazione sia della farina proteica di grillo (Acheta domesticus) sia di grilli essiccati sia di locuste. 

L’Italia è anche il Paese che ospita una delle prime filiere in cui si alleva e sfrutta il grillo per scopi alimentari e commerciali. Se una volta i prodotti a base di farina erano tutti a base vegetale e provenienti dal grano altri cereali, oggi alcuni guardano a questi insetti indifesi come a un’alternativa alle farine ricavate dalla natura. Su questa idea è nata Alia Insect Farm, filiera che si propone di aumentare il consumo di massa di questi piccoli animaletti.

Cosa cambia con il Regolamento introdotto quest’anno dall’Unione europea

Dal 24 gennaio di quest’anno, inoltre, la società vietnamita Cricket One Co. Ltd è stata autorizzata a immettere sul mercato dell’Unione preparati che contengono grilli. E’ quanto precisa il Regolamento pubblicato nella Gazzetta Ufficiale Ue, che al contempo lascia spazio all’ipotesi che anche altre aziende possano richiedere – e ottenere- l’autorizzazione alla vendita di insetti per scopi cosiddetti alimentari.

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L’Odissea lunga otto ore, poi il decesso. Storia di Antonio, vittima di un caso di malasanità

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"Morto per una serie di disattenzioni". L'Odissea di A., vittima di un caso di malasanità in Calabria | Rec News dir. Zaira Bartucca

Commissariamenti, carenze di posti letto, personale e attrezzature, negligenze. Pur esistendo picchi di eccellenze, curarsi e ricevere soccorso in Calabria si rivela spesso un terno al Lotto, con esiti anche letali. Lo documentano i numerosi fatti di cronaca e lo sa bene la famiglia di Antonio Caroccia, 72enne di Guardia Piemontese. E’ il 5 marzo di quest’anno quando – intorno alle 18.00 – avverte un dolore lombare che nel giro di una decina di minuti si trasforma in un malessere generale. Alle 18.50 circa è chiaro che la situazione è preoccupante, ma recuperabile. Nel giro di un’ora il signor Caroccia tenta di farsi spalmare un unguento nell’illusione di poter allievare il dolore, cerca di misurarsi la pressione e alla fine si accascia al suolo. Sta male ma da lì alla serata rimarrà“vigile, collaborante e orientato nel tempo e nello spazio”, si legge nella relazione del Tirrenia Hospital di Belvedere Marittimo, dove giungerà alle 19.31. Di tenore differente quanto scritto dall’ASP di Cosenza, dove si parla di “paziente non cosciente” già alle 18.48.

Il signor Antonio non aveva malattie, anzi – pur assumendo farmaci – era un uomo che si definirebbe, almeno in apparenza, in salute. “Lui era quello che a 72 anni riusciva ancora a rincorrere un mezzo”, racconta la figlia senza riuscire a celare l’emozione. Quel pomeriggio tutto lascia pensare che può farcela: l’ambulanza del PET di Cetraro è fortunatamente nei paraggi e arriva sul posto nel giro di 7 minuti. Ma da lì a poco iniziano una serie di eventi concatenati che porteranno nel giro di diverse ore al decesso. Tutto inizia da un tracciato diagnostico ECG teletrasmesso dal 118 ma mai arrivato all’ASP di Cosenza. “Problemi di linea dati”, si legge nella relazione del Direttore della centrale operativa dei soccorsi.

In centrale iniziano a piovere chiamate dai famigliari di Antonio e dal medico che ha fatto la prima diagnosi, che per giunta poi si rivelerà errata. Si tenta di capire che fine abbia fatto l’ECG, ma dall’altro capo del telefono – documentano gli audio – si succedono stranianti attese con tanto di registrazioni della “Primavera” di Vivaldi e infermieri flemmatici e in alcuni casi sgarbati, come se in quelle drammatiche ore non si decidesse della vita e della morte di una persona. “Quello che mi fa ancora male – racconta Valentina, una delle due figlie del signor Antonio – è la mancanza di tatto e di umanità da parte di alcuni che hanno dovuto subire mio padre e la mia famiglia”.

Ascoltando le registrazioni audio si sente infatti a un “Che vuoi?”, leggendo i resoconti si apprende che il povero Antonio nelle quasi otto ore angoscianti che sono intercorse tra il malore e la morte, avvenuta all’1.30 di notte, è stato maltrattato dall’infermiere della PET di Cetraro che provvedeva al posizionamento dell’agocannula per la somministrazione di un farmaco e trasportato fuori di casa seminudo in sedia a rotelle per essere imbarcato in una delle ambulanze che ha visto quel giorno. “E’ stata mia mamma a mettergli un plaid addosso”, ricorda la figlia amareggiata e ancora addolorata per quell’immagine del padre. Anche l’istantanea di un autista del 118 fermo e “occupato a fumarsi tranquillamente una sigaretta” mentre il papà aspetta di essere trasportato in un altro presidio sanitario è un qualcosa che non dimenticherà facilmente.

Sballottato da una parte all’altra in forza di convinzioni e diagnosi che poi si riveleranno errate, Antonio riesce a raggiungere il reparto di Chirurgia dell’Ospedale Annunziata di Cosenza solo alle 22.37, quasi cinque ore dopo il malore. Alle 23.10, si tenta di intervenire per l’“aneurisma soprarenale dell’aorta addominale di 10 centimetri” finalmente diagnosticato. All’1.30 di notte subentra il decesso, che forse poteva essere evitato. All’arrivo dei soccorsi – documenta un verbale del 118 – A. è infatti in grado di tenere gli occhi aperti, risponde agli stimoli esterni, è in grado di interloquire, non presenta asimmetrie facciali, disartrie o afasie e non ha emiparesi o ipostenie agli arti. Ma dalla richiesta di soccorso all’arrivo in Chirurgia in codice rosso – complici le diagnosi errate, la mancanza di posti letto e i veti posti al ricovero di cui riferisce la famiglia – trascorrono quasi cinque lunghe ore che saranno, purtroppo, tra le ultime di Antonio. Altre le passerà sotto i ferri, prima che subentri il decesso.

Oggi, nove mesi dopo la scomparsa del loro congiunto, per i familiari è stato il Natale più triste. C’è poca voglia di festeggiare ma non si perde la speranza, perché c’è una battaglia da combattere. Quella per far sì che la morte – per quanto dolorosa e ingiusta – di un marito e di un padre non sia stata vana. “Credo fortemente – scrive a Rec News Valentina, una delle due figlie – che portare all’attenzione della opinione pubblica questi episodi non sia solo un dovere civico ma sia importante per far risvegliare sempre più le coscienze di coloro che devono decidere, nella speranza che le cose cambino“. Parole che vengono dalla Calabria buona, quella che non si arrende alle ingiustizie, non si nasconde e lotta per un futuro in cui non si debba morire per le attese infinite, per la mancanza di posti letto, per le disattenzioni croniche e per le diagnosi errate. Tutte cose che il povero A. ha dovuto subire e che ancora oggi provocano “rabbia e tristezza” nei familiari.

Un futuro dove la vita di un paziente venga considerata preziosa, dove l’assistenza di qualità e la solidarietà prendano il posto delle negligenze e del cinismo che paradossalmente spesso si registra in molti operatori sanitari, cioè in chi è preposto al soccorso e alla cura delle persone. Un caso di malasanità – l’ennesimo in una Regione vittima di tagli selvaggi alla Sanità – che è giunto anche al Ministero della Salute con protocollo 7374-31/03/2022, che per ora si è perso nel turnover politico e nelle richieste di relazioni inoltrate alla Regione Calabria.

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