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Passato e futuro. Partiamo dal primo. E’ il 2018 quando l’ex premier Giuseppe Conte – fresco di insediamento – dichiara guerra ai magnati delle autostrade nazionali. Il pretesto è il crollo (poco casuale) del Ponte Morandi, le sue vittime, la Genova ferita da ricostruire in tempi fin troppo record con l’ovvio ausilio dell’archistar di turno. Pretesto, perché con la scusa si instaura una trattativa che permette lo scippo dell’ultima cosa che era rimasta al Belpaese, se pur già in misura ridotta: la gestione delle arterie stradali principali. Poi perché quello che Giuseppi aveva promesso nel tentativo di farsi strada politicamente, cioè l’azzeramento dei costi per chi viaggia in autostrada, in realtà non avverrà mai. Infine, perché – al contrario di quello che sembra – tutto è pensato per dare il “la” a un programma di digitalizzazione selvaggia che deve riguardare la nuova possibile viabilità, oltre allo spazio marino, alle città “smart” e perfino allo spazio astronomico presidiato dall’occhio onnisciente di Cosmo Sky Med. L’escalation di trattative e colpi più o meno bassi come è noto porta, il 31 maggio di quest’anno, alla vendita di Autostrade per l’Italia alla cordata di Cassa Depositi e Prestiti partecipata da diverse aziende estere.

Immagini interne tratte dalla Presentazione del Piano industriale di Autostrade per l’Italia – 21/01/2021

Il 2018 non è solo l’anno in cui “l’avvocato del popolo” esce dall’ombra delle consorterie e dei gruppi scientisti e transumanisti che hanno desiderato fosse premier, ma è un anno simbolo per la “nuova viabilità”. Non se ne parla molto allora e neppure adesso, ma è lì che le autostrade iniziano ad essere rivisitate in chiave digitale e di controllo. ANAS e la Carlo Ratti Associati progettano un’infrastruttura ambiziosa che al primo vagito – che corrisponde al primo bando di gara – costa 30 milioni. Non è che l’inizio. Entro il 2025 Autostrade per l’Italia – riporta una relazione del 21 gennaio del 2021 – conta di spendere 500 miliardi in smart road, 100 dei quali da utilizzare per la “svolta sostenibile”. L’idea è quella di coprire i 2500 chilometri di autostrade con una serie di installazioni multi-funzionali.

Tra queste ci sono già i “pali di rilevamento” o “pali volanti”, che osservano e archiviano H24 (si parla di 4000 telecamere già attivate e da attivare nel giro di qualche anno), inviano notifiche a smartphone di utenti fino a questo momento ignari, nascondono al loro interno il 5G, fanno da palo agli autovelox e – quello che più importa – faranno da rampa di lancio e di appoggio a ai droni. Se sembra assurda l’idea che un oggetto volante possa distrarre l’esperienza di guida di un conducente, si tenta di legittimare il tutto con l’idea che i velivoli saranno in un futuro prossimo in grado di “offrire assistenza e portare medicinali”, nel Paese paradossale in cui i farmaci generici hanno raggiunto da tempo i supermercati ma non gli Autogrill. Di più: lisceranno la strada alle “smart road”, quelle popolate (se così si può dire) dai veicoli privi di conducente, in un clima post-moderno in cui l’uomo è sempre più superfluo.

C’è poi l’idea della “mobilità sostenibile”, che entro l’emblematico 2030 dovrebbe portare – secondo le intenzioni dei promotori – al “50-60% di mezzi a guida autonoma” tra quelli che si occupano di traffico merci, oltre che a un parco circolante di veicoli elettrici del 10%. Una svolta che per Autostrade per l’Italia garantirà “la creazione di 2900 posti di lavoro in 3 anni” nel settore digitale e in quello ingegneristico, ma che nei fatti potrebbe comportare uno stillicidio occupazionale per i trasportatori, per gli operai e per l’indotto di aziende costrette a chiudere bottega. Sarà in nome della sostenibilità e del benessere dell’ambiente o sarà la mossa furba per giungere alla destrutturazione sociale ed economica? Il caso dei veicoli elettrici parla chiaro: con la scusa dell’azzeramento delle emissioni si apre la strada allo sfruttamento di massa del litio e del cobalto, che si trovano nelle batterie e hanno un fortissimo impatto sia in fase di produzione che di smaltimento.

Il futuro immaginato da Anas, da Autostrade per l’Italia e dal governo Conte, e sottoscritto in toto da quello Draghi, ricorda l’occhio di Pechino che tutto vede. I viaggi in Autostrada di domani potrebbero diventare una sorta di Truman Show della viabilità, con i pali di rilevamento a meno di un metro di distanza l’uno dall’altro in grado di scrutare ogni movimento e ogni espressione, catturarla e archiviarla. Largo allora a scampagnate fuori porta all’insegna dei droni che aleggiano sulle teste degli automobilisti e dei passeggeri, con tutti i rischi connessi alle possibili cadute accidentali. I flyng poles, del resto, hanno già coperto una discreta fetta della Salerno-Reggio Calabria, del GRA e del tratto Roma-Fiumicino. Gli automobilisti possono scorgerli con facilità – a centinaia – nel tratto di Cosenza e di Tarsia. Anche i romani hanno imparato a riconoscerli mentre scuri, strisciati di bianco e quasi minacciosi si stagliano vicino al bordo corsia. A volte ospitano telecamere ed altre no. La scusa, come sempre, è la sicurezza. Non è che l’inizio di un percorso stranamente connotato dal silenzio per quanto riguarda le caratteristiche tecniche precise dell’infrastruttura.

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Direttore e Founder di Rec News, Giornalista. Inizia a scrivere nel 2010 per la versione cartacea dell'attuale Quotidiano del Sud. Presso la testata ottiene l'abilitazione per iscriversi all'Albo nazionale dei giornalisti, che avviene nel 2013. Dal 2015 è giornalista praticante. Ha firmato diverse inchieste per quotidiani, siti e settimanali sulla sanità calabrese, sulle ambiguità dell'Ordine dei giornalisti, sul sistema Riace, sui rapporti tra imprenditoria e Vaticano, sulle malattie professionali e sulle correlazioni tra determinati fattori ambientali e l'incidenza di particolari patologie. Più di recente, sull'affare Coronavirus e su "Milano come Bibbiano". Tra gli intervistati Gunter Pauli, Vittorio Sgarbi, Armando Siri, Gianmarco Centinaio, Michela Marzano, Antonello Caporale, Vito Crimi, Daniela Santanché. Premio Comunical 2014. Autrice de "I padroni di Riace - Storie di un sistema che ha messo in crisi le casse dello Stato". Sito: www.zairabartucca.it

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Rischio Phishing con il sistema di allarme It Alert. Come difendersi

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Rischio fishing con il sistema di allarme It Alert. Come difendersi | Rec News dir. Zaira Bartucca

It Alert, il servizio nazionale di allarme e controllo promosso dal governo e dalla protezione civile, non ha mancato di sollevare critiche per i rischi connessi alla privacy e per l’effettiva inefficacia nel segnalare le calamità. Nonostante tutto continua la sperimentazione: il 19 settembre è stata la volta di Lombardia, Molise e Basilicata, mentre i cittadini di altre regioni saranno interessati dall’invio di notifiche di massa nei prossimi giorni. I test andranno avanti fino a ottobre.

C’è da dire subito che chi non vuole ricevere le notifiche push di It Alert può disattivare una specifica funzione presente negli smartphone, come si leggerà nei prossimi paragrafi. Si tratta di un buon modo per troncare a monte le possibilità di finire nella rete dei cybercriminali, che stanno sfruttando il sistema di allarme e controllo per inviare messaggi e notifiche del tutto simili a quelle inviate dalla protezione civile.

Gli avvisi e il rischio di incorrere nella rete dei cyber-criminali

IT Alert potrebbe infatti rappresentare un ponte tra l’utente del tutto ignaro e i malintenzionati che sfruttano le dinamiche digitali. E’ quanto ha affermato il Cybersecurity di NordVPN Adrianus Warmenhoven, che ha chiarito come “gli avvisi governativi possano essere utilizzati in modo improprio da terzi che non hanno buone intenzioni”. Il riferimento è alle truffe via phishing, e al rischio di ricevere messaggi contenenti link che molti potrebbero essere indotti a cliccare nella convinzione che si tratti degli avvisi di It Alert.

Come disattivare It Alert

Per disattivare il servizio IT-Alert sui dispositivi Android:

  1. Accedere alle Impostazioni dello smartphone.
  2. Fare clic su “Sicurezza ed emergenza” o “Password e Sicurezza” oppure “Alert e terremoti”, a seconda del tipo di dispositivo.
  3. Nella sezione “Avvisi di emergenza” o “Allarmi pubblici” troverete l’opzione IT-Alert. Potrete disattivarla semplicemente rimuovendo il flag di attivazione. Per evitare di ricevere notifiche, è però necessario deselezionare tre voci: “Consenti allerte“, “IT Alert” e “Messaggi di test“. E’ inoltre necessario selezionare la voce “Mai” nella scheda “Promemoria allerte”. Queste funzioni sono poste una di seguito alle altre. Per verificare se è già stata ricevuta una notifica IT Alert, si può invece cliccare su “Cronologia allerte di emergenza”.

Per chi utilizza dispositivi Apple, disattivare IT-Alert è altrettanto semplice:

  1. Accedere alle Impostazioni.
  2. Selezionare “Notifiche” e scorrere verso il basso fino alla sezione denominata “Avvisi di emergenza”.
  3. Disattivare la funzione IT-Alert in questa sezione per non ricevere più notifiche e controllare le aree che potrebbero aggiungersi a seguito di aggiornamenti dello smartphone.

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L’ennesimo Pass (con tanto di microchip) per oggetti che ci seguono ovunque

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L'ennesimo Pass (con tanto di microchip) per oggetti che ci seguono ovunque | Rec News dir. Zaira Bartucca

Gianluca Isaia, presidente e Amministratore Delegato di ISAIA S.p.a., ha un modo tutto suo di interpretare il controllo e la volontà di estenderlo in sempre più settori della vita quotidiana. E’ una “coccola” – ha detto ieri alla Farnesina presentando il progetto esteso di un passaporto digitale per i capi di abbigliamento – che si fa al cittadino, che però in alcuni casi è ignaro delle decisioni che vengono prese ai piani alti e in altri non gradisce questo tipo di “attenzioni”. Per il supermanager Vittorio Colao l’idea di controllo coincideva con quella di “aiuto“, per l’AD della Società per azioni specializzata in abbigliamento maschile è più attinente alla sfera delle sensazioni. Sarà.

Quel che è certo, è che non sanno più cosa inventarsi per farci digerire un passaporto digitale dietro l’altro. L’archetipo sperimentale è stato il Green Pass, ma non è con la tessera sanitaria che si sono esaurite le mire dei vari governi che si succedono, che in tema di controllo la pensano tutti allo stesso modo. Nel caso appena citato si cavalca l’idea – tutto sommato accettabile in alcuni casi specifici – di “dare più informazioni” per citare lo stesso Isaia e, anche, quella già stantìa del “passaporto di unicità”. Ma è sulla possibilità di geolocalizzare le persone che indossano un determinato abito che, ovviamente, si concentrano i dubbi degli scettici.

E’ possibile tracciare gli spostamenti di una persona che indossa un abito dotato di chip RFID? A quanto pare, sì. La questione è stata sollevata nel 2017 da alcuni sindacati che agivano in tutela di 22mila dipendenti del sistema sanitario pubblico della Liguria, regione posta già allora sotto le ali del governatore Toti. Un fervente sostenitore, sia detto per inciso, del Green Pass e delle vaccinazioni di massa. Il caso era stato riportato dalla Repubblica di Genova, che così scriveva: “Il portiere del Galliera, Tullio Rossi, non sapeva di portare addosso un microchip. Lo ha scoperto, abbottonandosi la camicia della divisa: ha toccato un affarino duro all’interno della cucitura, l’ha tagliata ed ha visto la “cimice nera” grossa quanto una lenticchia. Si è chiesto cos’era. Nessuno lo aveva avvertito (anche se è un rappresentante sindacale) che l’ospedale avrebbe introdotto la novità”.

“In ogni momento e durante le ore di servizio, quel micro trasmettitore inserito in ciascun capo di abbigliamento, emanerà un segnale elettronico, permetterà di sapere dove si trova quella “divisa”. E pure chi la indossa, scriveva Giuseppe Filetto in una disamina inquietante di sapore decisamente orwelliano. Cosa ne pensavano i dipendenti di questa “coccola”, come la chiamerebbe Isaia? Presto detto. “Credono che il localizzatore sia una grave violazione della Privacy e un controllo “fuorilegge” sul posto di lavoro. Si sentono spiati” e pensano che “la presenza di più microchip a contatto con varie parti del corpo costituisca un rischio per la salute”.

Il tema del controllo nascosto, operato senza informare chi ne è bersaglio, è dunque quanto mai attuale, come pure quello delle epurazioni contro chi dissente, come si legge ancora nell’articolo del 2017. All’epoca un appalto di 66 milioni suggellato dall’Azienda Ligure Sanitaria – che aveva a capo lo stesso Giovanni Toti – permetteva di affidare i camici dei dipendenti a una ditta di lavaggio e asciugatura che, in più, ha offerto il singolare extra della chippatura. Non è un caso isolato e non riguarda la sola Liguria: il sito di Noleggio Divise di questi servizi se ne fa addirittura un vanto: “Applichiamo un chip/tag con tecnologia a radio frequenza (RFID) su tutti i capi lavati per monitorare le entrate e le uscite dalla lavanderia”. Ma, usciti dalla lavanderia, i chip continuano il loro viaggio sui corpi dei dipendenti – spesso inconsapevoli – collocati nei diversi settori strategici serviti dall’azienda.

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IT Alert “non dà indicazioni sull’esposizione al rischio”. Ma, allora, a che serve?

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IT Alert "non fornisce indicazioni rispetto all'esposizione del rischio". Ma allora a che serve? | Rec News dir. Zaira Bartucca

IT Alert è stato definito il “Sistema di allarme pubblico italiano” ma – complice la diffidenza verso determinati servizi digitali che si registra dal periodo covid in poi – la sua presentazione è stata accompagnata da critiche e da dubbi sulla Privacy. In che modo la Protezione Civile, che promuove il servizio, entrerà negli smartphone senza un consenso propedeutico dell’utente? Rimarranno file temporanei nei dispositivi di destinazione? Il servizio sarà così risolutivo nell’Italia in cui non si puliscono gli argini dei fiumi e si aspettano le catastrofi nella convinzione che un’app salverà tutti? Le domande sono davvero tante e chi le fa, come sempre, è considerato un “complottista autore di fake news”, per citare Sky Tg 24.

Eppure di certezze ce ne sono davvero poche, se si fa eccezione per i test che – a rotazione – riguarderanno diverse città italiane e che consisteranno nell’invio di una notifica standard. Il 5 luglio, tra qualche giorno, sarà la volta della Sicilia, mentre il 7 toccherà alla Calabria. Chiusura estiva il 10 luglio che – ironia della sorte – toccherà all’Emilia Romagna, regione recentemente martoriata dall’alluvione. IT Alert, fanno sapere dalla Protezione Civile, “potrebbe raggiungere i territori interessati” da “gravi emergenti e imminenti catastrofi” ma, una volta arrivata la notifica, spetterà al cittadino cavarsela. L’app infatti, spiega la Prociv nella cartella stampa inviata ai giornalisti, “non fornisce indicazioni rispetto all’esposizione individuale al rischio“.

Ma, allora, a cosa serve in realtà? E in che modo inciderà positivamente sulle “imminenti catastrofi” quali – mano all’elenco ufficiale – maremoto da sisma, collasso di grande diga, attività vulcanica, precipitazioni intense e incidente nucleare? Tutto molto rasserenante, non c’è che dire. Ma se, anziché “inculcare la cultura del rischio” si iniziasse ad amministrare e a curare il territorio in maniera tale da prevenire i danni a cose e persone? E’ pur vero che, a quel punto, organismi costosi come la protezione civile non avrebbero più motivo di esistere.

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La boutade di Butti: per curarsi, votare e guidare servirà l’app IO

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Il futuro accidentato di SPID non rincuora. Anche il governo Meloni ha il suo Colao (che promuove e-wallet ed IDN) | Rec News dir. Zaira Bartucca

Lo abbiamo già scritto: anche il governo Meloni ha il suo “Colao”, laddove il termine più che un cognome è un eufemismo per indicare una persona votata alla digitalizzazione a tutti i costi, proprio come l’ex ministro all’Innovazione del governo Draghi. E’ Alessio Butti, zelante sottosegretario all’Innovazione tecnologica strappato alla politica locale per far sì che portasse a termine l’Agenda tech scritta dai piani alti. Unico vincolo: nessun apporto originale ma tanta adesione – a secchi – verso i dettami che provengono dall’Europa e dai vari forum che contano. Testa bassa e fare (solo ed esclusivamente) quanto è richiesto.

E’ in questo contesto che nascono idee – se così si possono definire – come quella di subordinare all’utilizzo di un app la possibilità di accedere a cure, di guidare e di andare a votare. Proprio così, perché Butti e il governo Meloni sono al lavoro per inserire la tessera elettorale, la patente di guida e la tessera sanitaria direttamente nell’App IO. Che è, per chi non lo ricorda, la controversa applicazione introdotta dal governo Conte e bocciata dal Garante per la Privacy, ma poi riesumata dai governi Draghi e Meloni. Ci sarà libertà di scegliere tra un documento cartaceo e la sua versione digitale? Non è dato saperlo, e quel poco che si sa è emerso nel corso di un’audizione sulla digitalizzazione della pubblica amministrazione che si è tenuta negli scorsi giorni presso la Camera dei Deputati.

“Entro la fine dell’anno prevediamo un ulteriore importante cambiamento positivo per la vita quotidiana di tutti gli italiani. Se così sarà, saremo anche tra i più virtuosi in Europa, anticipando il percorso previsto dalla UE per il portafoglio elettronico europeo” ha detto Butti nell’occasione. Resta da capire che fine faranno i documenti cartacei e in che modo sarà garantita la parità di fruizione dei servizi essenziali agli anziani – che spesso non hanno familiarità con i dispositivi elettronici – o ai non vedenti, che sono impossibilitati a usare gli smartphone tradizionali. E, non da ultimo, con quali modalità avverrà l’esercizio del diritto di voto, visto che il decreto-legge 1°aprile 2008, n. 49 è vieta di introdurre nelle cabine elettorali “telefoni cellulari o altre apparecchiature in grado di fotografare o registrare immagini”.

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