
I “sette milioni” e “la potenza della Chiesa”
Esclusiva. Ventisette marzo, Pasqua 2016. Monsignor T.S., A.W. (già segretario di un controverso movimento di centro) e due imprenditori calabresi si riuniscono nell’appartamento del primo, a Roma
I sette milioni e la potenza della Chiesa – Ventisette marzo, Pasqua 2016. Monsignor T.S., A.W. (già segretario di un controverso movimento di centro) e due imprenditori calabresi si riuniscono nell’appartamento del primo, a Roma. Ne abbiamo già scritto nell’articolo I soldi per l’Africa e i tre dell’Ave Maria e nel successivo, Il milioncino del monsignore. Nella conversazione monsignor S. parla chiaramente delle spartizioni della somma che, tramite la fondazione “Il Buon Samaritano“, sarebbe entrata nelle disponibilità di chi aderiva all’ampio progetto. Viene menzionato anche un immobile, che S. – uomo di Chiesa col piglio imprenditoriale – vuole venga venduto. Il passaggio sulla sede amministrativa riguarda invece il network di comunicazione che i quattro stavano tentando di mettere in piedi. In una parte si parla di “vessazione”, in un’altra viene richiamata la “potenza della Chiesa” per risolvere il rallentamento del progetto messo in piedi da S. e W.
Imprenditore 1: E quindi l’hanno presa in considerazione?
Monsignor S.: Subito, immediatamente. Mi ha scritto, io l’ho letto adesso, ma lui già alle 14.55 il rappresentante a Roma della (omissis) scrive: per (omissis) ha dato prontezza, puoi procedere.
Imprenditore 1: Ok.
Monsignor S.: Armando, ok, miracolo…e lui scrive a me: leggi quando sentono che alle spalle c’è la Chiesa!
Imprenditore 1: Gli dicevo a (menziona imprenditore 2) monsignore che quando sei avvilito che tutte le finestre pare che si chiudono, ci si apre un portone, e almeno uno…
Imprenditore 2: Io voglio dire…non voglio essere né pessimista (…)
Imprenditore 1: Lì vedi un po’ di Cristianità.
Imprenditore 2: Io a lui l’ho fatto venire nel mio ufficio per organizzare un bel funerale.
Imprenditore 1: Si.
Imprenditore 2: che lui stava già preparando tutto quello che è necessario.
Monsignor S.: No no, ancora non ha preparato.
Imprenditore 2: Ancora non hai preparato.
Imprenditore 1: C’è tempo per queste cose
Monsignor S.: Si!
Imprenditore 1: Eheh.
Monsignor S.: No ma io spero, io veramente spero che si possa chiudere. Hai visto come hanno diviso qua…adesso 5, poi 15, poi 20
Imprenditore 2: Bene è meglio così, è meglio così.
Monsignor S.: L’unica cosa è
Imprenditore 2: Si è la gestione poi della di questo, di questo, dei soldi
Monsignor S.: Beh lì voi poi dovete saperci fare con…con…giustamente come dicevate la sede finanz..la sede amministrativa
Imprenditore 1: Roma.
Monsignor S.: in Croazia presso qualcosa, non so inventatevi qualcosa
Imprenditore 2: Un ufficio
Monsignor S.: E si apre un ufficio della (…) a a
Imprenditore 2: Che c’è guerra in Croazia?
(parlano della Croazia)
Imprenditore 2: Avevo dato a lui questo appartamentino a (…) che sono affezionato, però
Monsignor S.: Ah, da vendere!
Imprenditore 2: per realizzare
Monsignor S.: No! Venderlo! Venda adesso!
Imprenditore 2: No no…che…aspe..se devo vendere domani mattina io salgo, sennò, qui ci vuole un mese.
Monsignor S.: No, quindici giorni.
Imprenditore 2: Qui bisognerebbe prendere una calcolatrice e calcolare la probabilità della fattibilità, del buon risultato, del buon esito, di eventuali incidenti di percorso.
Monsignor S.: Lui ha detto che, lui ha detto, hai visto te l’ha sollevato subito il problema. Il problema è hai la banca in Italia che accetta il pagamento? No, non c’è!
Imprenditore 2: No? Tutte le banche accettano i pagamenti, non accettano condizioni di vessazione. Pagamento è un discorso, essere responsabili di un (…) è un altro discorso.
Monsignor S.: (…) soldi per prendere
(entra nella stanza A.W.)
(saluti)
A.W.: Hai letto il messaggio?
Monsignor S.: Ho letto e gliel’ho detto!
Imprenditore 2: Già ci ha dato
A. W.: Mi ha chiamato il dottor D. S., eccolo qua. Un attimo solo…e poi l’ho chiamato e m’ha detto il perché, perché è venuto meno, eccolo qua
Monsignor S.: Ah quindi non è la potenza della Chiesa?
A. W.: è venuto meno…ecco qua. Per (…) ha dato contezza puoi procedere. Ok, miracolo gli ho scritto. Uh uh uh (ride) E poi l’ho chiamato dico Vincè, che è successo? Dice niente tu me l’hai detto, siccome sta alle spalle ci sta un monsignore…allora io ho chiamato (…). Ho detto non perdete tempo, questa si fa, e dice e siccome teniamo sette milioni che mi son tornati indietro (…) questi qua, eheheh…
Monsignor S.: quindi ce ne ha sette?
A. W.: Da sette.
Monsignor S.: (…) cinque
A. W.: Allora, il discorso è
Monsignor S.: vuol dire, vuol dire che uno è per me
Imprenditore 2: Cerchiamo di capire
A. W.: (…)
Imprenditore 2: Allora questa è la presentazione del progetto
A. W.: dottore un attimo solo perché devo mettere la luce
Imprenditore 2: In sintesi non ho messo tutto il pacchetto
Monsignor S.: No per questi bastano, perché dopo, dopo quando faremo…
INCHIESTE
Ennesimo caso di malasanità all’ospedale di Vibo Valentia. Giuseppe Giuliano morto «solo e senza cure»

Il diritto al soccorso tempestivo e alle cure in Calabria non è poi così scontato. Essere ricoverati in questa regione, come abbiamo avuto modo di documentare, è spesso un terno al lotto. Vale un po’ per tutte le province, ma per Vibo Valentia e per l’ospedale Jazzolino – ormai al centro di innumerevoli fatti di cronaca, tutti rigorosamente senza colpevoli – vale di più. Lo sa bene la famiglia Giuliano, che da giorni si trova immersa nel dolore per la perdita prematura del loro caro.
Stando a quanto hanno riferito i familiari a Rec News, Giuseppe Giuliano – imprenditore della zona – il 14 settembre dopo un episodio di febbre e brividi inizia ad avere una gamba gonfia, arrossata e dolorante. La famiglia intorno alle 14 chiama il Pronto Soccorso dell’ospedale Jazzolino, ma viene a sapere che i tempi di attesa «sarebbero stati addirittura di tre ore».
Giuseppe viene quindi accompagnato al Pronto soccorso da uno dei figli e dalla moglie. Sta male ma, puntualizzano i familiari, riesce «a salire in macchina e a fare le scale di casa da solo, con le sue gambe». Nulla, insomma, che lasciasse presagire che da lì alle ore che sono seguite sarebbe accaduto l’irreparabile. All’arrivo al pronto soccorso, intorno alle 15, Giuseppe viene preso subito in carico, ma da lì a poco, suo malgrado, inizia un calvario fatto di abbandono e mancanza di interventi che porterà – nel pomeriggio – al decesso.
Il tempo perso per il tampone, alla ricerca del covid che non c’è
Giuseppe Giuliano, dunque, si reca all’ospedale Jazzolino di Vibo Valentia principalmente perché presenta una gamba gonfia, arrossata e dolorante. Giunto al nosocomio, però, il tempo destinato al primo soccorso di emergenza si perde tra il tampone e la ricerca del virus perduto, il covid: «Giuseppe – puntualizza la moglie – aveva una gamba molto gonfia e arrossata, dunque era andato in pronto soccorso per quei motivi». Dopo la sistemazione alla buona all’interno di una barella, inoltre, la famiglia viene allontanata «per i protocolli covid che non sono più in vigore». E’ l’ultima volta che la moglie Anna Maria e i figli Fabrizio, Stefano, TonyCristian e Dario vedono Giuseppe da vivo, anche se sono ancora convinti che al di là delle porte chiuse qualcuno si stia attivando per prestare tutte le cure necessarie.
Giuseppe lasciato morire da solo, al freddo e senza cure
Sono dunque ore drammatiche scandite da mancate risposte quelle che la famiglia Giuliano si trova a vivere dopo l’accettazione in pronto soccorso. Alle 17.15 un’infermiera riferisce che Giuseppe “è in attesa della TAC”, poco più tardi si susseguono le telefonate del figlio TonyCristian e della moglie Anna Maria. Giuseppe dice di avere freddo, racconta la famiglia, e solo la gentilezza di una ragazza che era lì vicino per un parente fa sì che si possa coprire. Tra gli infermieri, a quanto pare, non ci aveva pensato nessuno. Non sono ancora le 18 quando i familiari non riescono più a raggiungere telefonicamente Giuseppe. Verso le 19.15 una dottoressa e un’operatrice sanitaria si avvicinano ai parenti per comunicare la situazione. La famiglia Giuliano si ritrova così a a dover gestire un secco e improvviso «è morto». Lo hanno detto così, raccontano i familiari, «senza dare alcuna spiegazione o motivazione riguardo le cause della morte e rientrando immediatamente all’interno del Pronto Soccorso».
«Non aveva flebo né macchinari per il monitoraggio dei parametri vitali»
Giuseppe sarebbe rimasto tutto il tempo in barella senza essere sottoposto ad accertamenti. «Abbiamo notato – è quanto fa sapere la famiglia – che non aveva alcuna flebo né alcun altro macchinario per il monitoraggio dei parametri vitali, ad esempio per monitorare il battito cardiaco o la saturazione». Un abbandono totale che ha convinto la famiglia Giuliano ad allertare subito le Forze dell’Ordine. «I carabinieri sono giunti al pronto soccorso dopo circa mezz’ora – racconta la famiglia – ma si sono e chiusi con il medico Paolo Leombroni in un ufficio». Oltre il danno, poi, la beffa: «In serata mi è stato pure detto che la TAC era rotta» racconta Fabrizio, uno dei figli di Giuseppe Giuliano.
La denuncia sporta presso la Stazione dei Carabinieri di Spilinga
Nel dolore della perdita improvvisa subìta e nella consapevolezza di aver assistito a un caso di malasanità, la famiglia Giuliano il 15 settembre presenta una denuncia presso la Stazione dei Carabinieri di Spilinga per “Responsabilità colposa per morte o lesioni personali”. «Ora che abbiamo fatto partire le denunce – racconta uno dei figli di Giuseppe, Fabrizio – molte persone che spesso non trovano la forza di sporgere denuncia o che vengono avvicinate e scoraggiate, mi hanno contattato riportandomi le situazioni al limite dell’umanità che hanno subito all’Ospedale di Vibo Valentia. Sappiamo per chi facciamo tutto questo: lo facciamo per lui, per noi, per i tanti che non hanno la forza e incassano con rassegnazione e frustrazione. Lo facciamo perché non riaccadano più episodi di sciatteria e di menefreghismo sanitario».
La lettera al presidente della Regione Occhiuto: “In Calabria la vita umana sacrificata sull’altare della negligenza e della sciatteria sanitaria”
Coraggio e motivazione hanno spinto Fabrizio a rivolgersi direttamente al governatore Roberto Occhiuto tramite una lettera aperta: “La tragedia della sanità in Calabria con Vibo Valentia a portare la bandiera – scrive il giovane – continua a essere un’oscura e incivile pagina della storia della nostra Regione. Al pari delle altre regioni d’Italia, il diritto ad essere curati dovrebbe essere garantito, purtroppo tutto ciò a Vibo Valentia non è scontato. Ci troviamo di fronte a una realtà in cui la vita umana sembra essere spesso ignorata. È un sistema marcio, corrotto dall’indifferenza, dall’inerzia e dal malaffare, dove il valore di una vita umana viene spesso sacrificato sull’altare della negligenza, del menefreghismo e della completa sciatteria sanitaria”.
“Sì, proprio così – prosegue Fabrizio Giuliano – “sciatteria sanitaria” perché ogni qual volta si ha bisogno di curarsi si ha l’impressione di percepire un mix di adrenalina e ansia al pari di una puntata alla roulette russa. In Calabria, la morte sembra essere diventata una statistica, un numero tra i tanti. Le persone soffrono e muoiono senza ricevere le cure di cui hanno bisogno, mentre chi dovrebbe proteggerle e curarle sembra voltare lo sguardo altrove. Il dolore delle famiglie, costrette a vedere i propri cari andarsene prematuramente, è amplificato dall’impotenza di fronte a un sistema che non funziona, un sistema appunto marcio da dentro”.
“Questo – continua Fabrizio Giuliano – è un appello alla coscienza di tutti noi, ma soprattutto alla vostra, che siete i nostri rappresentanti, affinché si metta fine a questa indifferenza verso la sofferenza umana. Oggi a morire inerme per mano di un’equipe di lestofanti e negligenti è stato il mio caro papà, ma le prometto che non ci arrenderemo di fronte a niente e nessuno pur di arrivare a far chiarezza sulle responsabilità di ognuno. Ogni vita conta, e nessuno dovrebbe morire come se niente fosse, a causa di mercenari sanitari perché i medici, quelli animati da vocazione alla missione, sono ben altro”. La famiglia di Giuseppe Giuliano, vittima di un caso di malasanità, è attiva sui social con l’hashtag #GiustiziaPerGiuliano.
INCHIESTE
Viaggio nell’inferno della criminalità giovanile

“La mia maggiore aspettativa è sposare un camorrista”. “Eravamo tutti insieme. Un mio amico portò una borsa piena di armi e tutti prendemmo una pistola”. Io vedevo loro sparare e così ho iniziato anch’io”. E’ un viaggio denso e a tratti agghiacciante quello che Giacomo Di Gennaro – ordinario di Sociologia giuridica, della devianza e del mutamento sociale – e Maria Luisa Iavarone – ordinario di Pedagogia – compiono nel saggio “Ragazzi che sparano”, edito dalla casa editrice Franco Angeli.
Oltre duecento pagine in cui si scandaglia – dati alla mano – il tema della devianza giovanile grave, con le sue motivazioni, gli inneschi, la subcultura e tutto l’humus che l’ha fatta e la fa germogliare. Una ricerca, avvertono gli autori, che non è fine a sé stessa, ma che rappresenta il punto di partenza per trovare soluzioni al problema e per interloquire con i soggetti coinvolti: dalle Forze dell’Ordine alla Magistratura, da chi è deputato all’educazione e alla rieducazione a chi ha potere decisionale. Perché l’approccio consolidato, discontinuo e soppressivo, continua a mostrare limiti e debolezze, mentre a dover essere modificati – dicono i ricercatori – sono tutti quei fattori che portano i giovani a scegliere di essere criminali per poter, a conti fatti, permettere di avere uno status. Fosse anche quello di malvivente.

Ma perché si diventa criminali e perché in alcune zone e così facile che si inizi così presto? Iavarone e Di Gennaro rispondono alla domanda evidenziando le costanti dell’agire al di fuori della legalità. Due in particolare, che ricorrono nelle storie degli intervistati dell’IPM di Nisida: la condizione di indigenza e l’evasione scolastica. E’ su questa tabula di azzeramento sociale e intellettivo che le consorterie costruiscono il personaggio tipo utile al perseguimento di comportamenti criminosi che spaziano dai vari traffici all’uso di armi da fuoco, dalle cosiddette “stese” per far sfoggio della propria supremazia sul territorio agli annidamenti nella burocrazia. E’ pur vero che non tutti i poveri e non tutti quelli che non hanno studiato sposano determinati contesti: i due autori spiegano i motivi di questa dicotomia individuando e sondando altri fattori che nel giro di un quarantennio hanno portato al consolidamento della criminalità giovanile e finanche minorile.
Il volume di focalizza sul territorio napoletano raccontato dagli anni ’80 a oggi evidenziando due dati che forse possono stupire: l’ultimo sessennio ha visto un decremento di reati e non è la città partenopea ad avere il primato degli episodi attribuibili alla criminalità radicata tra le fasce di età più giovani, scalzata com’è da Bologna, Milano, Torino e Roma. Colpa del clima omertoso che impedisce di denunciare o merito di alcuni – rari e isolati – pm coraggiosi che distruggono altarini e demoliscono i miti cari ai clan, anche se la Camorra e le altre mafie alla lunga rimangono tutte lì. Perché cambia tutto ma non cambiano le condizioni che permettono al crimine di proliferare, anche se in maniera sempre più endemica, e di trasformarsi diventando quasi invisibile, normale, istituzionalizzato.
Certo, non ci sono bacchette magiche che permettono dall’oggi al domani di resettare tutto. Ma nel Paese che ha 5 milioni di poveri e un milione di minorenni che non hanno possibilità di studiare in maniera adeguata la prevenzione – osservano Di Gennaro e Iavarone – è l’arma che può permettere ai giovani di cambiare idea finché sono ancora in tempo e di capire che perseguire obiettivi leciti e costruirsi da soli, fosse anche con fatica, può permettere di vivere una vita più dignitosa. Lontana, a conti fatti, dai modelli distorti che si decantano in alcune fiction citate nel volume.
FREE SPEECH
La paghetta per i giornalisti che daranno “priorità alle questioni legate al clima”

Dopo i colpi inferti dal governo e dalla riforma Nordio alla Libertà di Espressione, un altro mal costume continua a minacciare l’autonomia di giornalisti e comunicatori. C’è chi tenta di silenziare quelli che fanno il loro lavoro a suon di querele temerarie e di campagne diffamatorie e chi, invece, vorrebbe ridurre i più manipolabili a meri burattini che ripetono a pappagallo gli slogan del politicamente corrotto in fatto di Sanità, di migranti, di Europa, di rapporti sociali. E di clima, ovviamente.
Su quest’ultimo terreno – squisitamente agendista – si concentrano ora le ansie del Centro europeo di Giornalismo, che periodicamente eroga delle paghette, sotto forma di premi, ai giornalisti che “si distinguono” in un determinato settore. Abbiamo già scritto dei finanziamenti da 7500 dollari da parte dello stesso ECJ e della fondazione Bill & Melinda Gates destinati a quei comunicatori che influenzano l’opinione pubblica in tema di Sanità.
Questa volta, invece, il premio – da 2000 euro ed erogato sempre dal Centro europeo di Giornalismo – è per coloro i quali daranno “priorità alla segnalazione di questioni legate al clima” in articoli o reportage pubblicati dal 14 al 17 giugno. Cosa significhi dare priorità non è dato saperlo, ma quel che è certo è che a dare man forte alle narrazioni costruite ci sarà anche Google News, il servizio della Big Tech già multata per propaganda e favoritismi, anche in Italia. In che modo e con quali toni, poi, i giornalisti parleranno e scriveranno di siccità, alluvioni e di “emergenze” climatiche (sapendo che ad attenderli ci sarà una ricompensa), c’è solo da immaginarselo.
INCHIESTE
I rischi legati al consumo di insetti svelati dagli esperti. Le marche coinvolte e come riconoscere i preparati che li contengono

L’ingresso della farina di grilli nel mercato unico europeo ha suscitato un interesse crescente tra i consumatori. Tuttavia, i rischi legati al loro consumo alimentare non sono ancora stati sufficientemente esplorati. Secondo i suoi estimatori, la farina di grilli è ricca di proteine, minerali e vitamine, ma diverse preoccupazioni emergono quando si parla di introdurla nelle proprie abitudini alimentari. I principali rischi sono malattie dell’apparato gastrointestinale, allergie e intolleranze alimentari, già evidenziate dal nutrizionista e ricercatore Pietro Senette.
Il parere dell’esperto
“Il tallone d’Achille di questi preparati sta proprio in alcune delle loro proteine potenzialmente allergeniche. Al momento attuale come spesso succede le ricerche in materia sono quasi esclusivamente a firma dei produttori, un po’ come chiedere all’oste se è buono il vino che ci serve a tavola. Resta inoltre il nodo “chitina”, un polisaccaride contenuto negli insetti che oltre a non essere digeribile per il nostro apparato gastrointestinale è stato collegato da uno studio scientifico abbastanza recente a reazioni infiammatorie non proprio di poco conto. La mia raccomandazione – ha detto l’esperto a l’Unione Sarda – è che al di fuori del principio di precauzione che esige un’etichetta alimentare segnalatrice, si facciano comunque ulteriori studi da parte degli organi competenti in modo da far stare tutti più sereni».
Un rischio in più per gli allergici
Continuano infatti a essere assenti gli studi a lungo termine sull’impatto del consumo di farina di grilli sulla salute umana, mentre la comunità scientifica dà ormai per assodato che le persone con allergie alimentari possano essere colpite più seriamente da allergie agli insetti. Uno studio ha rilevato che la farina di grilli può aumentare la sensibilità del sistema immunitario a una serie di allergeni alimentari, inclusi il grano, la soia e il latte. Un altro rischio associato al consumo di farina di grilli è l’esposizione a sostanze chimiche dannose.
La presenza di metalli pesanti e la possibilità di incorrere in carenze nutrizionali
Alcuni grilli contengono tossine come arsenico, cadmio e piombo, che sono note per causare gravi danni alla salute. Inoltre è importante ricordare che, a causa della loro consistenza, i grilli possono essere più difficili da digerire rispetto ad altri alimenti. Ciò – dicono gli esperti – potrebbe causare problemi nell’assorbimento di nutrienti da parte dell’organismo, portando a carenze nutrizionali.

Un altro aspetto importante riguarda il diritto del consumatore a essere informato, soprattutto in un momento in cui manca un’etichettatura chiara e normata che faccia subito comprendere a chi acquista un prodotto che si rischia di mangiare degli insetti. Basterà la dicitura “polvere parzialmente sgrassata di Acheta domesticus” per far comprendere a tutti che si sta per mangiare degli insetti? Non serve, infatti, comprare un pacco di farina di grilli per trovarsela nello stomaco, perché questa può essere assunta tramite biscotti, gelati, salse, cracker, barrette e tutti i preparati a base di farina (pizza, pane, pasta, ecc.). In Italia l’azienda specializzata nella produzione di alimenti a base di insetti è Fucibo, mentre tra le importabili figurano la francese Agronutris e l’olandese Fair Insects B.V., che fa capo a Protix e ha ottenuto l’ok dalla Ue per la commercializzazione sia della farina proteica di grillo (Acheta domesticus) sia di grilli essiccati sia di locuste.
L’Italia è anche il Paese che ospita una delle prime filiere in cui si alleva e sfrutta il grillo per scopi alimentari e commerciali. Se una volta i prodotti a base di farina erano tutti a base vegetale e provenienti dal grano altri cereali, oggi alcuni guardano a questi insetti indifesi come a un’alternativa alle farine ricavate dalla natura. Su questa idea è nata Alia Insect Farm, filiera che si propone di aumentare il consumo di massa di questi piccoli animaletti.
Cosa cambia con il Regolamento introdotto quest’anno dall’Unione europea
Dal 24 gennaio di quest’anno, inoltre, la società vietnamita Cricket One Co. Ltd è stata autorizzata a immettere sul mercato dell’Unione preparati che contengono grilli. E’ quanto precisa il Regolamento pubblicato nella Gazzetta Ufficiale Ue, che al contempo lascia spazio all’ipotesi che anche altre aziende possano richiedere – e ottenere- l’autorizzazione alla vendita di insetti per scopi cosiddetti alimentari.