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Salvini è con un piede fuori dal governo. Tutto, intorno a lui, mira alla sua espulsione: dalle manovre di Giorgetti che finalmente mostra il suo vero volto all’unificazione di partitini fintamente anti-sistema che in un prossimo futuro non servirebbero ad altro che a ingrossare il bacino di adesione a Fratelli d’Italia. Il governo cadrà? Probabilmente no, perché ancora in troppi devono maturare gli utili della loro attività politica, quindi in realtà fino all’autunno non ci dovrebbero essere novità all’orizzonte. Salvo colpi di scena, è chiaro. Il 2023 si avvicina e solo chi saprà presentare progetti concreti – non parole – sarà apprezzato.

Intanto il caos serve ad agevolare e a far digerire la nascita di nuovi soggetti politici popolati dalle solite facce: il grande centro, la nuova destra, quelli che fingono di essere contro il sistema ma dietro le quinte lo alimentano. E sono i più pericolosi, perché ipocriti. E se i sondaggi danno ragione alle manovre dei partiti, placano le ansie di ognuno e mettono tutti d’accordo, bisogna domandarsi quanto siano vicini al reale sentire del Paese.

Tutti si schermano dietro scenari confezionati ad arte dalla stampa mainstream. L’osservatore meno attento non capisce nulla ma da tutto questo desume un’unica certezza: Salvini è di nuovo quello da buttare nel tritacarne, spinto giù da piedi amici più che dal centrosinistra ossessionato dalla sua figura. Ogni giorno si avvicina la sua condanna politica, mentre Meloni e l’istituzionale Giorgetti si sfregano le mani dalla contentezza.

Sembra tutto irrecuperabile, ma non lo è. Una Lega depurata dai lupi travestiti da agnelli può sopravvivere, ma per farlo deve dimenticare le spinte autonomistiche che non fanno altro che agevolare i piani di un’Unione Europea che guarderebbe con piacere a un’Italia destrutturata, indebolita e più controllabile. Non esistono venti Italie, ma l’Italia con venti regioni. Il nemico non è il Sud, i veri nemici sono interni e forse questa volta Salvini lo ha capito.

Ma un vecchio partito che ha perso la fiducia della base può avere senso solo se riscopre l’autentica adesione ai problemi dei cittadini. Mettendo da parte definitivamente la propaganda e le liti intestine al centrodestra e iniziando a occuparsi seriamente dei problemi economici, mettendo un freno alla volontà di inaugurare una pandemia ogni stagione e dicendo la verità sulle fonti di approvvigionamento, sul gas e sulla siccità utile.

Chi vuole essere il leader di un partito altrimenti estinto, deve sobbarcarsi l’onere di sottrarre gli italiani dal girone infernale dell’autunno, quando la disoccupazione sarà ai massimi livelli, il potere d’acquisto crollerà e il governo Draghi condannerà tutti ai coprifuoco climatici. I piani su carta, a quel punto, significheranno letteralmente la morte per migliaia di persone che non riusciranno a tirare fino alla fine del mese, a riscaldarsi, a sostenersi.

Esiste chi può avere la sensibilità, il coraggio e la posizione favorevole per evitare tutto questo. Se Salvini riuscirà a ricordare quello che era e i motivi che lo hanno fatto appassionare alla politica, se riuscirà a darsi la spinta dimenticando i propri fallimenti e ripartendo dai propri errori ammettendoli, sarà sostenuto. E ritroverà ben presto l’appoggio della gente, che dimentica facilmente se gli si dà un valido motivo.

L’ Agenda è un’occasione irripetibile per raccontare agli italiani la verità: ne hanno il diritto. E non vogliono sentirsela dire dallo youtuber di turno, ma da chi ha una certa esposizione mediatica. Le aziende che gestiscono l’acqua hanno piani precisi di digitalizzazione dei contatori e di razionamento, si profilano aumenti insostenibili in bolletta e si va nella direzione di privatizzare l’acqua. I cittadini hanno il diritto di sapere tutto questo con chiarezza, senza essere presi in giro con lo spettro della siccità.

Così come hanno il diritto di vedersi preservare l’occupazione e di vivere in città adeguatamente illuminate, perché in caso contrario si favorisce la criminalità e si danneggia la sicurezza di chi si trova in strada in auto o a piedi. Non serve a nulla chiudere le attività alle 19 per dare il colpo definitivo ai negozianti e alla ristorazione, basta incentivare l’utilizzo di lampioni che si alimentano per mezzo dell’energia solare, si ricaricano di giorno e funzionano di notte.

Sembra una piccola cosa ma rappresenterebbe un aiuto per le aziende che si occupano della produzione di pannelli solari e per gli operai del settore. Una volta installati, rimangono i costi di manutenzione e solo nel lungo periodo di sostituzione. E’ arrivato il momento di fare cose concrete per migliorare la qualità della vita dei cittadini, non per rovinarla. Più luce sulle strade, nei quartieri e nei parchi, significa meno incidenti, e bisogna spiegarlo a Draghi e agli altri.

Non esistono i problemi, ma c’è sempre una situazione critica e la sua soluzione. Se il lavoro non c’è, bisogna creare nuove occasioni di occupazione. Il governo sta investendo tutto nella distruzione degli ospedali e nel miraggio della telemedicina che non si sa se verrà accettata di buon grado, oltre che in una costosissima digitalizzazione della pubblica amministrazione, ma non sarebbe più urgente investire qualche miliardo nella creazione di nuove imprese nazionali che diano lavoro ai giovani e una prospettiva a decine di migliaia di disoccupati che sono la pentola a pressione pronta a esplodere in autunno?

Non esistono solo le droghe e lo Ius Scholae, i problemi dell’Italia sono tanti e vanno risolti. Bisogna anche ridare dignità agli studenti costretti a stare in strutture fatiscenti, in scuole fredde d’inverno, sporche e sprovviste di campi sportivi o di attività ricreative come le competizioni tra Istituti. Lo sport è salute, da lì parte la vera prevenzione e da lì si creano i momenti di socializzazione che sono essenziali per ragazzi sempre più attaccati allo smartphone.

I momenti di oggi sono molto bui per tanti, bisogna quindi aiutare le persone a vivere meglio possibile nonostante le difficoltà. Tornare a parlare dei cittadini e ai cittadini, non pensare alle grandi manovre, ai tornaconti personali e a una smania logorante di potere. Bisogna unire e non dividere e, soprattutto, bisogna fare. Se qualcuno pensa di rovinare l’Italia e gli Italiani pensa male, perché c’è sempre chi vuole il loro bene.

Rec News dir. Zaira Bartucca – www.recnews.it

Ha svolto gli studi presso il College professionale dell'Università Nazionale di Dnipropetrovsk, specializzandosi in Managment e Marketing (sviluppo economico-territoriale, ricerca di mercato, sviluppo nuovi prodotti e segmenti di mercato, politica dei prezzi e distribuzione, pubblicità, pubbliche relazioni). Già manager Import/Export. Appassionato di politica. Per Rec News è Autore e si occupa del reperimento di fonti internazionali.

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Hadagar

Lei ha ragione, la gente ha il diritto di sapere. Temo però che stia facendo troppo affidamento sulla persona sbagliata. Salvini ha avuto l’occasione per cambiare le cose e non l’ha colta. Mi piacerebbe invece sapere più approfonditamente cosa ne pensate dei nuovi partiti che stanno nascendo

Federico Gagliardi

Onestamente… Un articolo che è un guazzabuglio di tutto, scritto male e che tira la volata ad un Salvini che è (per proprio demerito) in coda al gruppo.
Contenuti insoliti per Rec News.
Spero di non leggerne altri di tale tenore.

Redazione

Gentile Federico, speriamo nella sua comprensione visto che l’autore dell’articolo non è di madrelingua italiana e nonostante questo ha un utilizzo della punteggiatura che sembra più sicuro del suo. Questo per rispondere al suo gentilissimo “mal scritto”.
A nostro parere un sito deve poter ospitare differenti posizioni e differenti vedute. Le opinioni sono personali e sono di chi le esprime. Si può essere o non essere d’accordo però bisogna tollerarle, perché la libertà di espressione è fatta anche di questo.
Non si tratta, quindi, di un contenuto insolito per Rec News. Se si aspetta un sito che censura i propri autori, purtroppo non potremo accontentarla.

Emanuele

Io invece per rispondere a Federico penso che è facile salire sul carro del vincitore e dare addosso al capro espiatorio di turno. Quello che è difficile è esprimere un’opinione coerente e una analisi che vada oltre quello che ci propina il mainstream. Quindi grazie al sig. Shevchenko per averci detto con sincerità e con semplicità come la pensa, non è da tutti.

OPINIONI

“I poveri mangiano meglio dei ricchi”. Sia data a Lollobrigida la possibilità di provare i benefici dell’indigenza

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"I poveri mangiano meglio dei ricchi". Sia data a Lollobrigida la possibilità di provare i benefici dell'indigenza | Rec News

“In Italia abbiamo un’educazione alimentare interclassista: spesso i poveri mangiano meglio, perché comprano dal produttore e a basso costo prodotti di qualità”. Lollobrigida lo ha detto davvero e, del resto, eravamo già a conoscenza delle qualità del ministro-cognato. E’ davvero una fortuna, non c’è che dire, fare parte della singolare èlite a cui si riferisce il ministro delle Politiche agricole, che è stata fotografata dall’Istat in maniera impietosa.

In Italia quindi a sentire il nipote della compianta Gina Lollobrigida esistono milioni di privilegiati che possono comprare le carote direttamente dai contadini, e che – contemporaneamente – hanno la fortuna di mandare i figli a scuola senza colazione, perché non possono permettersela. Che non hanno un lavoro, fanno fatica ad arrivare alla fine del mese e, ormai, devono scegliere tra il pagare la benzina e le bollette e tra il mettere il piatto in tavola.

Per questo c’è da dire grazie anche al governo di cui fa parte il ministro Lollobrigida che, al pari di quelli che li hanno preceduti, non ha la volontà o le competenze per portare l’Italia al di fuori del limbo economico a cui l’ha condannata l’Unione europea. Ma vuoi mettere, in ogni caso e pur nelle ristrettezze, il vantaggi di avere il contadino sempre lì, quasi onnipresente, che ti spaccia il poco che puoi permetterti a prezzi contenuti con un’attenzione particolare ai nutrienti presenti nella dieta mediterranea?

Sono lussi che Lollobrigida – adottato dalla politica fin da ragazzo – dovrebbe provare almeno una volta nella vita. Come accade in alcuni film, dovrebbe scambiare un mese della sua esistenza con qualcuno preso a caso dal Paese reale. Lasciargli il posto di frequentatore di ristoranti gestiti da chef stellati e catapultarsi all’interno di una famiglia come tante, a mangiare i piatti poveri della cucina italiana per l’occasione elogiati da Vissani. Che saranno gustosi e nutrienti e piacevoli da mangiare, ma quando si è liberi di farlo. Quando, cioè, non rappresentano l’unica possibilità.

Chissà che non ci si possa giovare dello scambio di identità e non si possa avere un ministro dell’Agricoltura – anche se per un periodo limitato – che sa di cosa parla e che si occupi dei veri problemi che il suo dicastero dovrebbe risolvere.

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OPINIONI

Che orrore parlare di maternità “solidale” e “commerciale”

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Che orrore parlare di maternità "solidale" e "commerciale" | Rec News dir. Zaira Bartucca

La si chiami GPA – gravidanza o gestazione per altri – maternità surrogata o utero in affitto, il risultato non cambia. Si tratta di una pratica grazie al Cielo illegale in Italia, che in altri Paesi – purtroppo – si continua a praticare. Portando con sé il suo strascico di sofferenze: quelle di una donna trattata come un’oggetto o come incubatrice, indigente e costretta dalle vicissitudini della vita a dare alla luce un figlio o una figlia che non potrà crescere e da cui dovrà separarsi.

Oppure le sofferenze riconducibili all’applicazione di questa pratica barbara, che spesso avviene in cliniche degli orrori di cui ci siamo già occupati. Ancora, le sofferenze a cui incorrono i nati da GPA, impossibilitati come sono a sapere chi sia la loro vera madre e, dunque, condannati ad avere un’identità a metà.

Un quadro ancor più desolante se si pensa che tutto ciò avviene in tempi in cui della condizione della donna si fa una bandiera, per poi tralasciare deliberatamente episodi di sfruttamento come questi. Non solo. C’è chi addirittura ci tiene a operare i doverosi distinguo, parlando di GPA “solidale” e “commerciale”. L’articolano in questi termini ormai tutti i media mainstream, le associazioni e anche alcuni partiti, facendo un po’ il verso alla legislazione britannica che da tempo permette la surroga “altruistica”, con tanto di “rimborsi” e compensi ammessi.

Questo per rispondere al tentativo – promosso da Fratelli d’Italia – di rendere l’utero in affitto reato universale. E’ di ieri la notizia del primo via libera della Camera alla proposta di legge della deputata Carolina Varchi. A guardarla di fretta ce ne sarebbe abbastanza per esultare. Ma prima di farlo bisognerebbe domandarsi cosa rimarrà, alla fine di tutto l’iter, di questa proposta di legge.

Ci si deve anzitutto augurare che non sia l’ennesimo cavallo di Troia per trasformare quello che oggi è un reato in una pratica da sfaldare, un domani, con una modifica dopo l’altra alla legge che sarà, oppure con la solita serie di sentenze strumentali che spesso si antepongono alle stesse leggi.

E’ forse in questo contesto che va inserito un dibattito preparatorio e una propaganda che cerca costantemente di avvicinare e rendere familiari determinati argomenti. Senza, si badi bene, mai demolirli, criticarli e chiamarli con i giusti termini, che sono quelli che non ammettono sfumature di sorta.

In questo intreccio sembrano muoversi, con gli stessi identici fini, sia i cerchiobottisti che quelli che danno platealmente all’utero in affitto una connotazione solidale e, dunque, in fin dei conti accettabile e positiva.

La GPA rimane comunque commerciale anche quando è altruistica (perché comunque prevede un pagamento e, letteralmente, la vendita del malcapitato bambino) ma per convenienza viene chiamata in un altro modo, così da darle un valore etico e morale che venga accettato dai più distratti. Che, spesso, non sanno nemmeno cosa si celi dietro determinati acronimi o dietro gli slogan della politica.

Se fa orrore l’idea di arrivare a commercializzare anche la Vita che nasce? Ovviamente sì, o, almeno, alle persone normali o per intenderci umane dovrebbe farne. Eppure l’opera di sdoganamento continua imperterrita senza che nessuno batta ciglio, anzi a utilizzare questi termini spesso sono proprio quelli che dicono di battersi contro l’utero in affitto.

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OPINIONI

È morto Berlusconi, ma non il berlusconismo

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È morto Berlusconi, non il berlusconismo | Rec News dir. Zaira Bartucca
Immagine EPA/JACEK TURCZYK POLAND OUT

Berlusconi non lascia solo un impero finanziario e un partito in cerca di leader. Se il lascito morale è stato quasi nullo, tanto è stato quello pratico. All’ex fondatore di Forza Italia devono praticamente tutto uno stuolo di politici rampanti strategicamente posizionati (che già sgomitavano dalla fondazione del Popolo delle Libertà e oggi si trovano a essere ministri e sottosegretari) e volti noti del giornalismo mainstream.

Se, dunque, è morto Berlusconi, lo stesso non si può dire del berlusconismo. Una sorta di movimento parallelo – sia esso sincero o fieramente utilitaristico – in cui militano decine di attivisti, che oggi comunque potrebbe avere vita più difficile. Lo raccontano le ultime considerazioni del senatore Gianfranco Micciché, che già dà il partito per estinto, ma anche le tensioni che si rincorrono per le varie successioni.

Una delle foto di rito del IV governo Berlusconi. A sin. l’attuale premier Giorgia Meloni (allora ministro alla Gioventù), al centro l’attuale governatore del Veneto Luca Zaia e poco distante l’attuale ministro per gli Affari europei Raffaele Fitto. A sinistra, l’attuale presidente del Senato Ignazio La Russa

Piaccia o meno la sua figura, Berlusconi – uomo controverso che ha incarnato lo spirito italiano con i suoi pregi e difetti – ha rappresentato un pezzo di storia nazionale e internazionale. Uomo visionario e di sistema, il suo approccio ha avuto impatto sul mondo produttivo, sul mondo dell’informazione e sul costume. A conti fatti, sulla società stessa, (purtroppo) riscritta e riprogrammata dai codici della tv commerciale. E’ questo, forse, il lascito più pesante.

Se c’è, infatti, una cosa che dovrebbe estinguersi del berlusconismo, è l’idea malsana che tutto l’illecito può diventare lecito dopo il giusto trattamento, nonché quel fardello che continua a gravare sull’autonomia di certi giornalisti e comunicatori che non sanno o non vogliono scrollarsi di dosso quel piglio di referenza verso il padrone che li ha portati a occupare i posti che occupano, tralasciando questioni di capitale importanza come la libertà di stampa e i diritti di critica e di cronaca.

Non è, certo, questo, il tempo della critica o peggio dell’odio fine a sé stesso che sta eviscerando chi non riesce ad avere rispetto nemmeno davanti alla morte. Ma dovrà di certo venire il tempo dei bilanci, e se è vero che Berlusconi ha avuto impatto sulla storia dei partiti e dell’Italia – un Paese che ha tentato di plasmare e ridurre a sua immagine e somiglianza – lo è altrettanto che chi si interfaccia con il centrodestra merita di più di un esercito di Yes man che in queste ore ricordano i personaggi in cerca di autore di pirandelliana memoria.

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OPINIONI

Alluvione in Emilia, l’ipocrita circo mediatico per nascondere la verità

E’ un bilancio da guerra quello dell’ultima alluvione in Emilia Romagna. Un copione destinato a ripetersi ancora e ancora, una volta in questo pezzo d’Italia e una volta in quell’altro

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Alluvione in Emilia, l'ipocrita circo mediatico per nascondere la verità | Rec News dir. Zaira Bartucca

Quattordici morti e 36mila sfollati. Abitazioni, strutture, aziende, fabbriche e campi da coltivazione distrutti, con il fango che inghiotte tutto e porta con sé devastazione e precarietà. E’ un bilancio da guerra quello dell’ultima alluvione in Emilia Romagna. Un copione destinato a ripetersi ancora e ancora, una volta in questo pezzo d’Italia e una volta in quell’altro, perché i miliardi stanziati dai vari governi per mitigare gli effetti del dissesto idrogeologico – sia esso frutto di comportamenti umani irrispettosi o di eventi naturali – non vengono mai impiegati dove servono.

Costruzione di dighe di contenimento, pulizia degli argini di fiumi e torrenti, prevenzione dell’abusivismo e suoi rimedi: nonostante le iniezioni continue di denaro (tanto), è ormai abitudine consolidata trascurare tutto, perché tanto poi a danni fatti si mette in moto la solita macchina dell’emergenza. Dopo l’acqua iniziano a piovere i miliardi, inizia il “magna magna” di chi controlla il business della solidarietà e si fa a gara a chi è più bravo a dire la frase a effetto per sostenere le popolazioni colpite, a chi fa la donazione più cospicua o a chi si intesta il gesto più eclatante.

Tutto doveroso, sia chiaro, ma non saranno certo 900 euro a testa o la premier in stivali a riportare in vita quattordici persone, oppure a restituire ai romagnoli le attività andate distrutte, forse per sempre. Senza contare che il circo mediatico che si è attivato fin da subito è tuttora teso a nascondere quello che conta davvero: le responsabilità. Quelle che negli ultimi anni – stando ai dati pubblicati da Legambiente – hanno fatto registrare dal 2010 a oggi 510 eventi alluvionali (per contare solo quelli censiti), con i relativi danni a cose e persone.

Si poteva evitare tutto questo? Di chi è la colpa? Cosa è mancato e continua a mancare? Cosa non hanno fatto e cosa hanno sbagliato gli enti che negli anni hanno amministrato i territori colpiti? E ancora: come evitare che catastrofi del genere si verifichino di nuovo? Perché se le alluvioni in Italia sono diventate la “nuova normalità” – per rubare un’espressione usata in epoca covid – si deve pensare che esista una certa volontà o quantomeno una qualche tolleranza verso questi fenomeni assolutamente prevedibili ed evitabili. Si sa che prima o poi pioverà, e oggettivamente esistono modi anche sofisticati per verificare se il territorio è pronto a gestire eventi piovosi di una certa portata. Se non lo è, basta intervenire, senza aspettare nuovi danni.

Scomodare il cambiamento climatico o “la siccità che rende i terreni impermeabili” non basta più, sono scuse che non possono reggere a lungo e soprattutto non possono bastare a chi ha perso tutto, tanto più che se le alluvioni in Europa sono un costume nazionale prettamente italiano un motivo ci deve essere.

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