Dopo la rimozione permanente dell’account di Donald Trump, una cosa è certa: non è un posto per chi si vuole esprimere liberamente
Dopo la rimozione permanente dell’account di Donald Trump, una cosa è certa: Twitter non è un social fatto per chi si vuole esprimere liberamente. Già chi lo usa si confronta da anni con limitazioni più o meno evidenti, che riguardano l’oscuramento di determinati tweets dalla timeline dei follower o dalla ricerca, penalizzazioni ai profili che non rientrano nella narrativa dominante e – ovviamente – censure, chiusure, allontanamenti a vita.
Il bello è che Twitter non serve più quasi a nulla, se non a regalare materiale a chi ci confeziona rubriche del venerdì sera o a chi non saprebbe come riempire il suo sito di contenuti reali. Si pensava che il social avrebbe fatto il salto di qualità inserendo e catalogando le notizie tra le tendenze, ma in realtà è stato il contrario. Quello che manca su Twitter è infatti la pluralità di vedute, di punti di vista.
Basti pensare al giochetto dello scrolling quando ci si sofferma su determinati tweet e – come per magia, proprio in quel momento – il feed si ricarica e riparte da zero, portandoci di fatto dove meglio crede Twitter. Insomma, le buone ragioni per non esserci o per esserci a spizzichi e bocconi sono davvero tante. Ma dove andare? Le alternative simili come impostazioni – ma molto diverse per quanto riguarda la possibilità di interagire in libertà – sono sostanzialmente due.
Gab

Su Gab ci si può esprimere in maniera molto più agevole rispetto agli spazi stretti di Twitter, ma rimane un social leggero, che non viene utilizzato molto per discussioni chilometriche in stile Facebook. Qui i post si chiamano “toot”, e si possono completare con sondaggi, con ulteriori impostazioni sulla visibilità (ben tre le opzioni: pubblico, non elencato e privato”) e con diverse altre funzioni. Interessante è la connessione con Dissenter (di proprietà dello stesso Gab): quando ci si “logga” al social, si possono commentare senza ulteriori passaggi tutte le notizie che il browser propone o che si cercano, un po’ come si può fare con Facebook e il circuito dei media mainstream. Anche Rec News è su Gab!
Parler

Parler è stato appena rimosso dallo store di Google, decisione che non fa che convincere ulteriormente sulla sua qualità. Il social si promette di non dare vita facile alle finte discussioni dei bot e dei troll, quelle che caratterizzano così tanto Twitter. Il focus passa così di nuovo sul confronto vero, sullo scambio di idee. E se Facebook e Twitter sono ormai il megafono dei cosiddetti democratici (lo sono talmente da avere la censura sempre pronta), Parler è molto apprezzato dai repubblicani americani e dai sostenitori d’oltremanica. E’ infatti stato fondato da Dan Bongino, poliedrico ed enigmatico personaggio vicino ai trumpiani. Il limite di Parler – almeno per il momento – è la lingua: non ci sono molti utenti che parlano italiano, ma i trasferimenti di massa che stanno avvenendo dopo la decisione di sospendere Trump da Twitter, potrebbero cambiare ben presto le cose. L’italiano, comunque, è già tra le lingue che si possono impostare per usare il social.
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