

RN+
Debellare il lavoro (oppure riformarlo in ottica migranti). Cosa si nasconde dietro alla CIG “causa caldo”
Ormai ogni scusa è buona per riattaccare con i toni allarmistici, per iniziare un nuovo stato di emergenza e per avviare un nuovo sperpero di denaro pubblico. Prima c’era il covid, adesso c’è…il caldo. Quella cosa strana che arriva in estate, e che un tempo tuttalpiù era sinonimo di riposo, vacanze e svago. Sia mai. Oggi il caldo è il nuovo nemico invisibile, e a combatterlo non c’è più Giuseppi, ma “io sono Giorgia”.
A Dubai, fiorente città degli Emirati Arabi Uniti, il clima è subtropicale desertico e ogni giorno in estate si superano i 40 gradi, ma a nessuno viene in mente di penalizzare le attività lavorative. In Italia invece si pensa di debellare anzitutto i settori principali o addirittura strategici: l’agricoltura e l’edilizia.
Lo si fa con la CIG, la cassa integrazione approvata ieri in Consiglio dei ministri per i lavoratori dei cantieri e dei campi che hanno caldo in estate. Per loro saranno stanziati 10 milioni, che serviranno a coprire le assenze extra “non evitabili” causate dalla canicola estiva. Un primo esperimento lo scorso anno era stato tentato dal governatore della Calabria Roberto Occhiuto, che con un’ordinanza aveva messo in ginocchio le attività agricole di un’intera regione in nome del “calore termico”.
Ma anche il decreto legge che spinge i lavoratori del settore dell’Agricoltura a stare a casa è, a ben guardare, uno dei regali che il governo Meloni sta facendo alle organizzazioni che si occupano di migranti e alle aziende disposte ad assumerli in nome del dumping salariale. Non bastava, infatti, il Fondo Migrazioni 2023 con cui il governo ha regalato 16 milioni a Unicef, Oim e a Unhcr, né i patti che consentiranno di far arrivare in Italia quel mezzo milione di migranti desiderato dal cognato Lollobrigida.
Adesso arriva anche la CIG per i lavoratori agricoli già impiegati. Anziché coltivare le terre, saranno pagati per stare a casa sul divano (cit.), e chissà che tra una serie tv e un ventilatore acceso mezz’ora al giorno per non fare arrabbiare gli attivisti climatici, non contribuiscano a far ricavare un posticino per i migranti che continuano ad arrivare a fiotti.
Forti, è questo il punto, del Decreto Legge 20/2023 che nel frattempo ha ampliato i flussi di ingresso dei lavoratori extracomunitari in agricoltura e dei decreti flussi che faranno entrare altri 40mila immigrati da destinare nel settore dell’agricoltura e del Turismo. Sempre che non abbiano caldo.
PRIMO PIANO
Telemedicina, l’impegno per un “uso responsabile”

Un “uso responsabile” e “un’introduzione appropriata” della Telemedicina, contro – si spera – le derive transumaniste e gli eccessi sulle sperimentazioni degli ultimi anni. E’ l’impegno assunto dalla Federazione Nazionale degli Ordini delle professioni sanitarie tecniche, della riabilitazione e della prevenzione, che ieri presso la Sala Conferenze Stampa della Camera dei Deputati ha fatto il punto su quanto bolle in pentola in ambito sanitario. Hanno preso parte ai lavori Teresa Calandra (presidente della federazione), Diego Catania (vicepresidente) e Marta Schifone (componente della XII Commissione Affari sociali alla Camera dei Deputati).
Dalla sanità di prossimità ai percorsi di accesso alla professione e alla formazione, dall’evoluzione dei profili professionali ai fragili, è in corso una revisione complessa e articolata che, hanno promesso i relatori della conferenza, sarà in grado di ridare centralità e dignità al paziente, che a volte suo malgrado si trova a essere “protagonista di fatti di cronaca” che possono riguardare i casi di malasanità oppure la sicurezza delle cure.
La sintesi si tenterà di trovarla il 29 e 30 settembre a Rimini, quando si terrà il terzo Congresso Nazionale della Federazione nazionale degli ordini sanitari (FNO TSRM e PSTRP) istituiti dalla Legge 3/2018. Tema di discussione sarà anche il tavolo tecnico concernente i DM 70 e 77.
PRIMO PIANO
Minori sottratti, indagata curatrice per omissione d’atti d’ufficio

Secondo la famiglia di una minore negli scorsi anni al centro di un caso di sottrazione ingiustificata, avrebbe nascosto delle relazioni e dei documenti che attestavano l’idoneità di uno dei genitori ad esercitare la patria potestà. Adesso B.B., curatrice dei minori, è indagata per omissione d’atti d’ufficio (Art. 328 c.p.). L’udienza in camera di consiglio è fissata per il 31 gennaio del 2024, il giudice designato è la dottoressa Giulia Costantino.
PRIMO PIANO
Caso Caroccia, la prova che dimostra che il tracciato ECG non è mai giunto in Centrale Operativa
Giunto “verosimilmente” all’UTIC di Paola

Il tracciato ECG di Antonio Caroccia – il 72 enne di Guardia Piemontese deceduto a seguito di un caso di malasanità documentato da Rec News – non è mai giunto in Centrale Operativa per “problema linea dati”. Non è arrivato, dunque, a tutte le destinazioni utili ad ottenere una corretta diagnosi. Lo testimonia la Relazione dell’Asp di Cosenza che abbiamo pubblicato in esclusiva e di cui riproponiamo uno stralcio (in basso). Stando a quanto rilevato dal direttore della Centrale Operativa Riccardo Borselli, inoltre, lo stesso tracciato ECG è giunto “verosimilmente” (il che significa probabilmente) presso l’UTIC di Paola.

Il caso Caroccia è giunto fino al ministero della Salute (che dopo la pubblicazione dell’inchiesta ha inviato una risposta alla famiglia) e sulla scrivania del governatore Roberto Occhiuto. Sono inoltre stati aperti dei procedimenti presso alcune Procure. Grazie alla partnership con l’emittente Radio Roma, l’inchiesta di Rec News approda adesso anche in TV sul canale 222 della TV nazionale e sul canale 14 per la regione Lazio.
L’appuntamento è per questa sera alle 22 quando, nel corso della trasmissione “A viso scoperto”, il direttore di Rec News Zaira Bartucca racconterà i tratti salienti della vicenda (con tanto di riferimenti documentali) spiegando perché si tratta di un caso assolutamente emblematico. Presente in video-collegamento anche la figlia di Antonio Caroccia, Valentina, che racconterà il dramma vissuto dalla famiglia e gli sviluppi della vicenda.
RN+
Inverdimento, la strategia dell’Ue che serve a far appassire l’agricoltura

Lo chiamano “inverdimento” ma in realtà è una strategia per far appassire l’agricoltura tradizionale in nome della solita sostenibilità. La promuove l’Unione europea, che obbliga gli Stati membri a destinare il 30% dei sostegni al reddito a questa misura che causa un danno irrimediabile alla produzione nazionale agricola di tutti i Paesi, Italia compresa.
La scusa è sempre la stessa: “premiare” gli agricoltori che “contribuiscono al conseguimento degli obiettivi ambientali e climatici dell’UE”. La leva è economica, perché con la nuova politica agricola comunitaria (PAC 2023-2025) Bruxelles dopo il “Set aside” abolito nel 2008 provvede ora a erogare il “Pagamento diretto verde” per quegli agricoltori che accettano di lasciare i campi incolti o di trasformarli in prati e boschi improduttivi. Con tutte le conseguenze del caso.
L’inverdimento fa dunque il paio con misure come Restoration Law, la legge sul ripristino della natura che ha l’obiettivo di penalizzare i produttori tradizionali per fare spazio, nel prossimo futuro, ai sistemi automatizzati e alle Big Tech che nel frattempo si stanno sfregando le mani e stanno facendo incetta di terreni.
A testimonianza di questo, il fatto che l’Inverdimento non vieta la coltivazione dei piccoli agricoltori, ma impedisce loro di dedicarsi in maniera specifica a una determinata coltura con il cosiddetto “divieto di monosuccessione“, con cui si tenta di vietare la risemina di una stessa pianta o di una simile sullo stesso campo agricolo. Quasi che questo diritto debba spettare solo a chi ha grossi capitali.
Insomma, l’Unione europea vorrebbe decidere pure del destino dei terreni degli agricoltori, imponendo loro cosa fare di un bene privato, come gestirlo e cosa coltivarci sopra. Il tutto in nome del Green Deal europeo che, avverte la Commissione europea, includerà l’introduzione di “Regimi ecologici che incentiveranno le pratiche agricole rispettose del clima e dell’ambiente” escludendo o comunque penalizzando tutte quelle tradizionali.
Il decalogo con le condizioni imposte dall’Ue agli agricoltori
L’Unione europea come sempre ha la pretesa di entrare in ogni ambito e in ogni settore, e l’agricoltura non fa eccezione. Per quanto riguarda l’Inverdimento – cioè il pagamento di una somma agli agricoltori per trasformare i terreni produttivi in aridi terreni incolti – esiste una sorta di decalogo che è stato pubblicato dalla Commissione europea, che prevede quanto segue:
- “Le aziende con più di 10 ettari di terreno coltivabile devono coltivare almeno due colture, mentre sono richieste almeno tre colture per le aziende con più di 30 ettari. La coltura principale non può occupare più del 75% del terreno”.
- “Il rapporto tra prati permanenti e terreni agricoli è fissato dai paesi dell’UE a livello nazionale o regionale (con un margine di flessibilità del 5%)”.
- “I paesi dell’UE designano le zone destinate a prati permanenti sensibili sotto il profilo ambientale. Gli agricoltori non possono arare o convertire i prati permanenti in queste zone”.
- “Gli agricoltori con superficie coltivabile superiore a 15 ettari devono garantire che almeno il 5% del loro terreno sia un’EFA al fine di salvaguardare e migliorare la biodiversità nelle aziende agricole”.
- “Le norme in materia di inverdimento non si applicano agli agricoltori che hanno optato per il regime per i piccoli agricoltori, per ragioni amministrative e di proporzionalità”.
- “Gli agricoltori biologici ricevono automaticamente un pagamento di inverdimento per la loro azienda, in quanto si ritiene che forniscano benefici ambientali per via della natura del loro lavoro.
- “I paesi dell’UE possono consentire agli agricoltori di soddisfare uno o più requisiti di inverdimento attraverso pratiche equivalenti. Le pratiche equivalenti devono basarsi su regimi agroambientali nell’ambito di programmi di sviluppo rurale dei paesi dell’UE o di sistemi di certificazione nazionali/regionali”.
- “Ogni paese dell’UE garantisce che gli agricoltori che attuano pratiche alternative non beneficino del sostegno al reddito per l’inverdimento obbligatorio e dei fondi per lo sviluppo rurale”.
- “Gli agricoltori che non rispettano le norme in materia di inverdimento ricevono meno denaro. Tali riduzioni riflettono il numero di ettari individuati come non conformi, tenendo conto della natura del requisito di inverdimento”.
- “Dal 2017 i governi nazionali possono imporre sanzioni amministrative in aggiunta alla riduzione dei pagamenti per l’inverdimento. Le sanzioni amministrative devono essere proporzionate, in funzione della gravità e della portata dell’inadempienza”.