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I Tso devono essere sempre subordinati non solo a una legge, ma a un provvedimento giurisdizionale. E’ quanto ha chiarito il Giudice della Prima Sezione Penale del Tribunale di Roma – il dottor Valerio de Gioia – nel corso di un’intervento dal titolo “Diritti Costituzionali affievoliti” tenuto per un’evento di formazione organizzato dall’Ordine degli Avvocati. “E’ vero – ha puntualizzato l’esperto – che nelll’articolo 32 della Costituzione si parla di una libertà che può essere limitata nell’ottica della tutela della salute pubblica, ma, come in altri casi, oltre alla previsione di legge è necessario un provvedimento giurisdizionale, cioè la decisione motivata di un giudice. La Corte Costituzionale – ha proseguito de Gioia – ha inoltre più volte ribadito che esistono principi costituzionalmente garantiti che non possono essere oggetto di affievolimento. Penso che se viene così spesso detto che davanti alla tutela della salute ogni altro diritto diventa recessivo, è perché stiamo percorrendo una pericolosa deriva. Un diritto costituzionale non dovrebbe mai essere considerato affievolito”.

Il giudice nella sua disamina si è anche soffermato sul frequente e recente ricorso ai decreti per limitare le libertà fondamentali e inderogabili dell’individuo. “Perché il Dpcm dell’8 marzo 2020 è illegittimo? Perché nei fatti ha introdotto una situazione di detenzione domiciliare che costituisce una forte, pesantissima, limitazione della libertà personale garantita dall’Articolo 13 della Costituzione. In realtà, la limitazione della libertà personale dovrebbe essere introdotta solo a seguito di una punizione erogata perché qualcuno ha sbagliato qualcosa. Le situazioni sono essenzialmente due: la prima è la commissione di un reato e l’erogazione di una pena. La seconda è l’applicazione di una misura cautelare: sulla scorta di gravi indizi di colpevolezza può essere adottata da un giudice su richiesta del pubblico ministero una misura che limiti la libertà personale. In entrambi i casi la limitazione deve avvenire sulla base della previsione di legge, di un provvedimento del giudice e dell’accertamento dei presupposti in grado di giustificare l’adozione di misure cautelari, cioè la sussistenza di un reato o di gravi indizi di colpevolezza”.

Dunque anche il decreto legge sfornato dal governo Draghi che ha sancito le chiusure del periodo pasquale potrebbe essere considerato illegittimo, non sussistendo le motivazioni previste per legge in grado di limitare la libertà personale ed essendo la misura in netto contrasto con quanto previsto da una norma di rango primario, come ha spiegato de Gioia con cognizione di causa.

“L’articolo 13 della Costituzione spiega dunque che la libertà personale può essere limitata solo nei casi previsti dalla legge. Questa libertà così importante e sacra ha una doppia riserva: una riserva legislativa e una riserva giurisdizionale, perché ci deve essere un giudice che riconduca il provvedimento a un caso previsto dalla legge. Il giudice per le indagini premilinari De Luca nel corso di una recente sentenza ha aggiunto poi che nel caso del Dpcm dell’8 marzo 2020 non solo manca una legge o un atto avente forza di legge, ma manca anche un provvedimento del giudice. Questo fa sì che quel Dpcm debba essere considerato illegittimo, e siccome si tratta di un atto amministrativo avente contenuto generale normativo che ha valore di fonte secondaria, non ha l’attitudine a limitare un diritto costituzionalmente garantito”.

“Su questo – ha chiarito ancora de Gioia – è stata d’accordo anche la Corte Costituzionale quando ha affrontato le limitazioni delle libertà personali che erano meno pesanti di quelle che abbiamo vissuto noi nel contesto della permanenza domiciliare. La libertà personale, dunque, non poteva essere limitata per Dpcm, dunque il giudice penale è stato legittimato – nel caso della coppia obbligata a presentare l’autocertificazione – alla sua disapplicazione. Pertanto, non si tratta di limitazioni alla libertà di circolazione previste dall’articolo 16, come può accadere quando si vieta di recarsi in un determinato luogo per una situazione di pericolo concreto, ma di limitazioni alla libertà personale ascrivibili all’articolo 13, perché viene vietata l’uscita di casa perché tutta l’Italia viene considerata pericolosa. Io all’epoca un po’ agli arresti domiciliari mi ci sono sentito, e un po’ tutti abbiamo patito danni che ora a distanza di tempo è difficile fare valere”.

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TSO E (IN)GIUSTIZIE

Diritti e salute mentale, al via la settimana di sensibilizzazione promossa dal CCDU

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Diritti e salute mentale, al via la settimana di sensibilizzazione promossa dal CCDU
Comunicato stampa

Mercoledì 13 dicembre, ore 15:00 – Hotel Galileo – C.so Europa 9 – Milano (MM1 San Babila). Convegno “Rendere i Diritti Umani una realtà nel campo della Salute Mentale” con la partecipazione di giuristi e operatori della salute mentale. Nel corso del convegno Maria Cristina Soldi, sorella di Andrea, presenterà il libro “Noi due siamo uno – Storia di Andrea Soldi, morto per un TSO”

Giovedì 14 dicembre h 14:30 – Hotel Galileo – C.so Europa, 9 – Milano (MM1 San Babila). Inaugurazione della mostra multimediale “Psichiatria: controllo sociale e violazioni dei diritti umani”. La mostra torna a Milano per l’undicesima volta, arricchita con l’aggiunta di un pannello sulle raccomandazioni dell’Alto Commissario ONU per i Diritti Umani e dell’Organizzazione Mondiale della Sanità

La mostra prosegue il 15 e 16 dicembre – ingresso gratuito

Sabato 16 dicembre h 14:00 – Hotel Galileo – C.so Europa, 9 – Milano (MM1 San Babila). Parte la marcia e sit-in di protesta, fino a via Festa del Perdono, di fronte alla sede dell’Università degli Studi di Milano, dove gli psichiatri della ISAD (Società Internazionale per i Disturbi Affettivi) propongono di “ridefinire i paradigmi per la cura dei disturbi dell’umore”.

La maratona di eventi è organizzata dal CCDU, Comitato dei Cittadini per i Diritti Umani, un’organizzazione di volontariato che combatte le violazioni di diritti umani in ambito salute mentale, per sensibilizzare opinione pubblica e legislatori sul pessimo stato delle cose in Italia, clamorosamente inadempiente rispetto alle raccomandazioni delle autorità internazionali.

Secondo il portavoce del CCDU: “L’ispezione recentemente condotta in alcuni reparti psichiatrici italiani dal Comitato Europeo per la Prevenzione della Tortura (CPT) ha evidenziato un eccessivo uso della contenzione, eccessiva durata della stessa, l’uso della contenzione su pazienti cosiddetti ‘volontari’, la mancanza di una vera tutela giuridica, l’inadeguatezza delle informazioni fornite ai pazienti e la quasi totale assenza di alternative all’uso di psicofarmaci. È ora di rendere i diritti umani una realtà nel mondo della salute mentale.”

Riepilogo EVENTI

Convegno mercoledì 13 dicembre ore 15
Mostra 14-15-16 dicembre, inaugurazione giovedì 14 dicembre ore 14:30
Marcia 16 dicembre ore 14
Luogo: Hotel Galileo – Corso Europa 9 – Milano

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Ispezioni su quattro reparti psichiatrici italiani, emerge quadro inquietante

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Ispezioni su quattro reparti psichiatrici italiani, emerge un quadro inquietante

Pubblicato il rapporto del Comitato Europeo per la Prevenzione della Tortura e delle Pene e Trattamenti Inumani o Degradanti (CPT), un’emanazione del Consiglio d’Europa, sul risultato dell’ispezione in quattro reparti psichiatrici italiani. Ne esce un quadro inquietante, clamorosamente in contrasto con la narrativa prevalente che dipinge il Belpaese come un paradiso psichiatrico.

Il CPT esegue ispezioni quadriennali in tutti i paesi della Comunità Europea per verificare l’adeguatezza agli standard comunitari nei loro ambiti di competenza (psichiatria, residenze per anziani, carceri e immigrazione). Dal 2004 in poi, le ispezioni del CPT in Italia si sono sempre concluse con raccomandazioni, regolarmente ignorate, di risolvere le gravi carenze.

Le ispezioni, svolte tra marzo e aprile 2022 in quattro reparti psichiatrici ospedalieri (Milano Niguarda, Melegnano, Cinisello Balsamo e Roma San Camillo) rivelano un’incapacità di staccarsi dal modello manicomiale.  Queste, punto per punto, le critiche rivolte all’Italia dal Comitato Europeo per la Prevenzione della Tortura:

·        Eccessivo uso della contenzione fisica in tutti gli SPDC visitati (con punte in Lombardia, dove l’otto percento dei pazienti ricoverati in psichiatria è legato – centinaia di pazienti ogni anno)

·        Eccessiva durata della contenzione fisica (in media diversi giorni) in contrasto con lo standard CPT, che non esclude la contenzione, ma la vede come strumento da usare in pochi casi e per un tempo limitato.

·        Eccessivo ricorso, nella contenzione, allo ‘stato di necessità’ (art 54 del codice penale: stabilisce l’impunibilità di chi commetta un reato spinto dalla necessità di salvare sé o altri). Ciò rappresenta un cortocircuito giuridico, che annulla i diritti dei pazienti.

·        Uso della contenzione su pazienti ‘volontari’ in violazione delle raccomandazioni del Comitato per la Prevenzione della Tortura, che non contemplano questa possibilità. Grottesca la risposta pervenuta al CPT: se aprissimo una procedura di TSO ogni volta che leghiamo un paziente peggioreremmo le statistiche dei TSO! Questo, oltre a rappresentare un controsenso (perché mai si dovrebbe legare un paziente volontario?) priva le persone soggette a contenzione di ogni strumento giuridico di difesa.

·        Mancanza di una vera tutela giuridica nei TSO perché il giudice tutelare, in barba alle raccomandazioni reiterate dal CPT ogni quadriennio dal 2004 a oggi, svolge una funzione meramente burocratica, paragonabile al timbrare una lettera in un ufficio postale: firma un modulo prestampato, senza mai entrare nel merito, valutare il caso specifico né vedere personalmente il malcapitato – nemmeno tramite video. Lo standard europeo, utilizzato in quasi tutti i Paesi della UE, compresi quelli dell’est, prevede invece che il giudice veda la persona e ascolti le sue ragioni, non solo in occasione del primo TSO ma anche prima di ogni eventuale rinnovo.

·        Mancanza di informazioni ai pazienti. Molti di quelli intervistati dal CPT erano incoscienti del loro stato giuridico, non sapevano se fossero volontari o sotto TSO, e non erano consapevoli dei loro diritti. In quasi tutti i paesi UE, compresi quelli dell’ex Jugoslavia, nei reparti di psichiatria sono presenti brochure con spiegazione della procedura e dei diritti del paziente.

·        Condizioni igieniche inadeguate (soprattutto al San Camillo, ma anche in Lombardia) e assoluta mancanza di accesso a zone di verde e all’aria aperta, anche questo in contrasto con lo standard prevalente in Europa (est e ovest) e con quanto richiesto dal CPT.

·        Assenza o inadeguatezza di alternative terapeutiche all’uso di farmaci (attività ricreative o riabilitative o terapeutiche) per tutti gli SPDC ispezionati, in netto contrasto con lo standard europeo.

Secondo il Comitato dei Cittadini per i Diritti Umani, la riforma dei servizi di salute mentale in senso garantista non è più rinviabile. La normativa attuale, erroneamente chiamata ‘legge Basaglia’ ha semplicemente riprodotto la prassi manicomiale in ambito ospedaliero. I servizi di salute mentale dovrebbero adeguarsi alle raccomandazioni preveniente dalle autorità internazionali (Ufficio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite, Organizzazione Mondiale della Sanità, Convenzione Europea sui Diritti delle Persone con Disabilità e Comitato per la Prevenzione della Tortura) che richiedono a gran voce il rispetto dei diritti umani, l’abolizione delle pratiche coercitive e il superamento del modello organicista-farmaceutico.

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ATTUALITA'

Nasce l’Alleanza per la Libertà di Scelta

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Si è costituita un’Alleanza tra numerose realtà organizzate, operanti in ambito nazionale e locale, per l’avvio di un’azione comune tra quanti intendono proporre un cambio di paradigma a livello normativo, amministrativo e delle prassi operative concernenti le persone che vivono un disagio psicosociale e coloro che agli stessi sono spesso assimilati sul piano dello stigma sociale e della privazione di ogni diritto, assumendo a pretesto la loro più o meno presunta incapacità di decidere per sé stessi. L’organismo si chiama ALIBES, l’Alleanza per la Libertà di Scelta e il Bene-Essere psicoSociale.

Nell’ambito delle attività pubbliche rivolte a persone con disabilità psicosociali o a rischio di discriminazione in ragione della propria vulnerabilità – dichiarano i promotori – ci troviamo di fronte a fenomeni di sistematica lesione dei diritti fondamentali della persona ed al persistere dell’obsoleto modello organicistico, in flagrante violazione delle raccomandazioni ONU e OMS”.

“E’ fondamentale che vengano introdotti specifici vincoli che pongano fine all’arbitrio sperimentato dalle persone e dalle famiglie nell’incontro coi servizi, e che si creino le condizioni utili e necessarie per garantire il diritto di far valere le proprie ragioni a fronte di interventi sanitari coercitivi, evitando che la condizione di “disagio” diventi un “biglietto d’ingresso per una terra di nessuno” ove i più fondamentali diritti dell’individuo, sono cancellati“.

“Già nel 2016, il Comitato ONU per i Diritti delle Persone con Disabilità segnalava al nostro Paese le urgenti riforme necessarie in tema di interdizione e inabilitazione: una riforma della figura di amministrazione di sostegno, affinché essa non possa più essere impropriamente intesa come regime decisionale sostitutivo della persona beneficiaria, ma si configuri come un supporto all’espressione delle volontà della persona stessa; va anche rivista la disciplina del trattamento sanitario obbligatorio (in accordo anche alle ripetute, da ormai vent’anni, raccomandazioni del Comitato di Prevenzione della Tortura – CPT), e quella delle misure di sicurezza per le persone non imputabili (le REMS e l’eterna libertà vigilata)“.

“E’ altresì urgente una serena ed equilibrata rivalutazione critica delle evidenze relative al rapporto tra benefici e rischi delle principali classi di psicofarmaci, valorizzando tutte le evidenze disponibili sui percorsi di deprescrizione (considerati i costi economici e sociali delle terapie farmacologiche a lungo termine e delle disabilità fisiche e funzionali che ne possono derivare)“.

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TSO E (IN)GIUSTIZIE

Abolire l’elettroshock regolato da una vecchia circolare di Rosy Bindi

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Abolire l'elettroshock regolato da una vecchia circolare di Rosy Bindi | Rec News dir. Zaira Bartucca

Uno studio recente, pubblicato dalla rivista Acta Psychiatrica Scandinavica rivela che dopo ricevuto elettroshock (noto anche come TEC – terapia elettroconvulsivante) il rischio di suicidio del paziente aumenta di 44 volte paragonato alla media della popolazione. Secondo il CCDU, Comitato dei Cittadini per i Diritti Umani, un guardiano della salute mentale, questo studio rafforza le tesi di chi chiede la messa al bando di questa ‘terapia’. 

Molti credono che l’elettroshock sia obsoleto e non sia più praticato in Italia. In realtà, questa controversa terapia è regolamentata da una circolare ministeriale firmata nel 1999 dall’allora Ministro della Salute Rosy Bindi che, pur senza vietare la somministrazione di scosse elettriche da 400 volt nel cervello dei pazienti, limita i casi in cui può essere praticata, ed enfatizza la necessità di un vero consenso informato. Tra le controindicazioni citate nella circolare, lesioni cerebrali, ipertensione endocranica, emorragia endocranica recente, infarto miocardico e altre malattie cardiovascolari, distacco retinico, ipertensione grave, malattie degenerative gravi dell’apparato osteoarticolare, e feocromoticoma (tumore delle ghiandole surrenali). 

Nella premessa, la Circolare Bindi evidenzia come “nonostante la grande quantità di ricerche condotte negli ultimi decenni, non sia stato ancora chiarito il meccanismo d’azione della TEC”. Eppure, quattordici anni dopo, una commissione parlamentare d’inchiesta presieduta dal Sen. Ignazio Marino rivela la persistenza in Italia di una ventina di centri in cui si pratica questa ‘terapia’. Stando alle segnalazioni pervenuteci, i rischi dell’elettroshock e la sua scarsa efficacia, come elencati nella circolare ministeriale, non sempre sono spiegati in maniera chiara, facendoci ritenere che i consensi ottenuti siano assai meno ‘informati’ di quanto non si voglia credere.

A questo proposito vale la pena ricordare come la perdita di memoria e i danni cerebrali causati da questa ‘terapia’ possono produrre un tale stato di disperazione da indurre il paziente al suicidio. Tra le persone sottoposte a elettroshock, sono molti a descriverlo come una vera e propria tortura. Il recente studio, condotto dai ricercatori dell’Università di Aarhus in Danimarca, ha preso in considerazione i dati del registro nazionale danese, identificando tutti i pazienti che hanno subito TEC nel decennio 2006-2016. Tra questi, 161 (1,4%) hanno commesso suicidio entro due anni, ma la percentuale sale a un incredibile 17% nel gruppo di pazienti maschi di età compresa tra 50 e 69 anni.

La ricerca danese conferma I risultati di uno studio precedente, pubblicato nel 2022 sul Journal of Clinical Psychiatry, secondo il quale, contrariamente a quanto sostengono i somministratori di scosse elettriche, l’elettroshock non diminuisce il rischio di suicidio. Kenneth Castleman, ingegnere elettronico con un dottorato di ricerca in Ingegneria Biomedica, spiega come la corrente elettrica causa due reazioni ben distinte nel cervello. L’energia viene convertita in calore, riscaldando il cervello.

La temperatura aumenta all’aumentare della corrente, e può raggiungere un livello tale da causare danni temporanei o permanenti alle cellule cerebrali e perfino morte. Il secondo effetto deriva dalla natura pulsata della corrente elettrica somministrata dalle macchine per elettroshock. Questo alternare di tirare e spingere sulle membrane cellulari causa un effetto ‘martello pneumatico’ che crea dei buchi nella membrana – un processo noto come elettroporazione (la creazione di pori per mezzo dell’elettricità) in grado di produrre danni cerebrali. 

Il CCDU non ha dubbi: è giunta l’ora di bandire una volta per tutte questa terapia e renderla illegale in Italia. Se vi propongono la TEC, come “terapia salvavita” potete rispondere citando queste ricerche, e potete anche presentare un esposto per sospetta falsa informazione. Se conoscete qualcuno – un familiare o conoscente – che abbia subito danni o addirittura commesso suicidio in seguito a elettroshock, riferitelo al CCDU.

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