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Il gemello di Butac, il pluri-foraggiato Facta, ci ha dedicato un articolo dal titolo a effetto “No, il governo israeliano non dovrà rispondere di crimini contro l’umanità” per la campagna di vaccinazione“. L’autore o autrice che non si firma – potrebbe essere chi si è occupato per otto anni di ricette di cucina, chi fa il social media manager o chi scrive saggi sulla “cultura dell’estinzione dei viventi” – ha confezionato un articolo di fact-checking, di quelli che non tengono in debita considerazione i “facts”. Due: la denuncia esiste, il documento esiste (lo abbiamo pubblicato, anche se loro preferiscono non scriverlo). Dunque, non c’è nessuna “notizia falsa”. Del resto i lettori (che ormai si fanno abbindolare sempre meno da questi comunicatori pagati a cottimo dalle big tech, dai governi e dalla stessa Ue) sapranno trarre le loro conclusioni da soli. Noi – a differenza di altri – non vogliamo convincere nessuno, non ordiniamo a nessuno di credere o non credere a una determinata cosa (per noi ognuno ha il suo cervello, l’abbindolamento delle masse non è tra le nostre priorità) e non crediamo di avere la verità in tasca. Facciamo solo il nostro lavoro con impegno, passione ed estrema dedizione verso l’interesse comune (non verso interessi specifici) esercitando i nostri diritti di critica e soprattutto di cronaca. Quelli che qualcuno – articolo dopo articolo e post social dopo post – tenta di mettere quotidianamente in discussione. Ma noi andiamo avanti, incuranti. Di seguito la rettifica che ho inviato, chienendone la pubblicazione. Sappiamo già, comunque, qual è l’abitudine di questo tipo di siti che non contrastano la disinformazione, ma la propagano: ignorare ogni contraddittorio e ogni rettifica. Chissà: magari questa volta ci stupiranno.

In qualità di direttore di Rec News chiedo alla Redazione di Facta di rettificare l’articolo “No, il governo israeliano non dovrà rispondere di crimini contro l’umanità” per la campagna di vaccinazione” entro 48 ore dalla ricezione della presente, e di dare alla rettifica la stessa rilevanza concessa all’articolo di partenza, come previsto dalla normativa vigente.

Recnews.it è un sito di Inchieste e di approfondimento giornalistico iscritto al ROC dell’Agcom. Pubblichiamo solo contenuti verificati citando sempre le fonti interne ed esterne integrando i contenuti con le fonti documentali, laddove disponibili. Come in questo caso. Il nostro sito è gestito da giornalisti regolarmente iscritti all’Ordine. Tanto premesso, non accettiamo lezioni sulla nostra professione da pari grado in qualche caso troppo giovani o che – leggo – hanno lavorato per giornali di ricette di cucina.

Nessuno ha la patente di Verità in tasca: non ce l’ha Rec News ma nemmeno un sito come Facta (finanziato da Facebook e da altri organismi interessati) che lavora sui post social, sui messaggini whatsapp e ben che vada sul lavoro degli altri, esclusivamente per screditarlo o vantarlo a seconda delle necessità dettate dall’azienda committente. Non basta un nome per arrogarsi la pretesa di occuparsi in via esclusiva di fatti, tanto più che il vostro non è giornalismo scientifico. Quello lo facciamo noi (lo sapevate?) utilizzando strumenti OSINT. Non ogni giorno, certo, vista la complessità di questo tipo di indagini e il tempo che richiedono per il loro espletamento. Questo anche per far comprendere che Rec News non c’entra assolutamente nulla con i siti che si dedicano a una “martellante campagna di bufale anti-scientifiche e pro-QAnon”, quindi non vediamo per quale motivo dobbiamo essere accomunati a questo tipo di produzioni.

Contiamo di essere smentiti, ma Facta appare a un primo sguardo come l’ennesimo contenitore di Fact-checking strumentale che ha un occhio aperto e l’altro chiuso, un po’ sul modello di Butac. Ovviamente, ha una veste grafica molto più curata che serve ad ammantare il tutto di un’autorevolezza che, spiace, ma è assente. In dieci anni di lavoro non mi è mai capitato di leggere inchieste dei signori Zagni o Fontana, e se mai le ho lette non le ricordo, quindi tant’è. Sarei ben contenta, in caso, di valutarle, visto che il giornalismo di inchiesta caratterizza buona parte degli articoli che ho prodotto negli ultimi dieci anni.

Nel merito della rettifica, il vostro articolo non solo non smentisce Rec News, ma ammette l’esistenza del documento da noi pubblicato e l’esistenza della denuncia dei due avvocati. Non abbiamo mai parlato di condanne (come lasciate intendere), anzi a differenza vostra abbiamo riportato la denuncia integralmente e non parzialmente.

Vorrei, infine, porre una domanda al direttore di Facta, che si assumerà la responsabilità di quanto è stato pubblicato contro Rec News in caso di mancata rettifica: perché la bacheca di segnalazioni da lei diretta dovrebbe avere più autorevolezza di siti come Israel News – cui abbiamo fatto riferimento senza che i suoi collaboratori se ne accorgessero – o dello stesso Rec News, che in due anni ha pubblicato una mole di inchieste esclusive davvero inattesa per un sito indipendente che si regge unicamente sulle proprie gambe, a differenza vostra? L’anonimo autore dell’articolo ha avuto modo di considerare realmente i contenuti di Rec News (non solo sulla base della segnalazione di qualche rosicone, intendo) prima di catalogarli come “disinformazione”?

E qual è, poi, per Facta la “disinformazione” pubblicata da Rec News? Un articolo in cui si dà conto delle recenti dichiarazioni di Jack Nicklaus sui ricoveri covid e il parere medico della dottoressa Margarite Griesz Besson sull’utilizzo della mascherina, peraltro pubblicato in via integrale senza manipolazioni di sorta. Facta si sente di etichettare come “disinformazione” due pareri (ripeto, uno dei quali medico) solo perché non è d’accordo con il tenore di quanto dichiarato? Attendo, direttore, sue cortesi risposte, sperando che non ignori le rettifiche come fa Butac o come fa Gayburg: quest’ultimo, per esempio, è un autentico sito di disinformazione cui non avete mai dedicato neppure due righe: glielo segnalo, sperando che lei non sia parte attiva della campagna di discredito che sta interessando il sito che dirigo, solo perché si permette di discostarsi da certa narrativa ufficiale sulla bontà indiscussa di tamponi, mascherine e vaccini.

Rec News dir. Zaira Bartucca – recnews.it

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Direttore e Founder di Rec News, Giornalista. Inizia a scrivere nel 2010 per la versione cartacea dell'attuale Quotidiano del Sud. Presso la testata ottiene l'abilitazione per iscriversi all'Albo nazionale dei giornalisti, che avviene nel 2013. Dal 2015 è giornalista praticante. Ha firmato diverse inchieste per quotidiani, siti e settimanali sulla sanità calabrese, sulle ambiguità dell'Ordine dei giornalisti, sul sistema Riace, sui rapporti tra imprenditoria e Vaticano, sulle malattie professionali e sulle correlazioni tra determinati fattori ambientali e l'incidenza di particolari patologie. Più di recente, sull'affare Coronavirus e su "Milano come Bibbiano". Tra gli intervistati Gunter Pauli, Vittorio Sgarbi, Armando Siri, Gianmarco Centinaio, Michela Marzano, Antonello Caporale, Vito Crimi, Daniela Santanché. Premio Comunical 2014. Autrice de "I padroni di Riace - Storie di un sistema che ha messo in crisi le casse dello Stato". Sito: www.zairabartucca.it

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ESTERI

Canada, proposta
di legge di Trudeau
per silenziare il dissenso online

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Canada, proposta di legge di Trudeau per silenziare il dissenso online | Rec News dir. Zaira Bartucca

Che Justin Trudeau, il primo ministro canadese, non fosse un campione in fatto di libertà garantite lo si era capito nel periodo covid, quando aveva promosso lockdown, Green Pass e vaccinazioni di massa. Adesso a certificare quest’ansia di controllo è arrivata una proposta di legge sui social media che si chiama Online Harms Act, che dietro gli apparenti buoni propositi nasconderebbe la volontà di silenziare il dissenso online, sempre maggiore dopo le scelte impopolari assunte da Trudeau.

Secondo Fox News la proposta scaturita dal disegno di legge del ministro alla Giustizia Arif Virani, consentirebbe di punire una persona prima che abbia commesso un reato, sulla base di informazioni quali la recidività del soggetto e il suo comportamento. Un’applicazione di quella Giustizia predittiva di cui si sente parlare sempre più spesso. “Un giudice provinciale – hanno rimarcato dall’emittente statunitense – potrebbe imporre gli arresti domiciliari o una multa se ci fossero ragionevoli motivi per credere che un imputato commetterà un reato.”

Una proposta che non ha frenato il dissenso online in Canada ma, anzi, lo ha aumentato, come raccontano le esternazioni di alcuni utenti alla notizia del prosieguo dell’iter del disegno di legge C – 63, pubblicato a febbraio e dal cui testo si è giunti all’Online Harms Act. “Riposa in pace libertà di parola”, ha scritto un utente canadese, mentre un altro ha ipotizzato che il primo ministro voglia assumere “un ruolo da dittatore”.

La versione del governo canadese

Ovviamente – come dicevamo – non sono mancate le giustificazioni da parte del governo canadese, che non vorrebbe altro che “frenare l’incitamento all’odio online”. E, a questo fine, starebbe facendo scandagliare i contenuti che conterrebbero “estremismo” e “violenza” e quelli dannosi per i minori. Cosa Trudeau intenda per “estremismo” e “violenza” non è però chiaro, né cosa consideri dannoso per i minori, giacché nei fatti a eccezione di molti post di dissenso silenziati tutto è rimasto praticamente immutato. E se tanti sono stati i proclami del governo canadese per proteggere i bambini dallo sfruttamento online, nei fatti nulla è stato fatto per rendere più attiva la macchina della giustizia quando si tratta di punire molestatori, pedofili e altre categorie che inquinano la rete.

Un recente sondaggio dell’Istituto Leger, del resto, ha rilevato che meno della metà dei canadesi pensa che l’Online Harms Act si tradurrà in un’atmosfera più sicura online. Parte degli interpellati hanno infatti detto di essere “diffidenti” nei confronti della capacità del governo di proteggere la libertà di parola.

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FREE SPEECH

Guerra in Medio Oriente, vandalizzato il murales dedicato alla giornalista Shireen Abu Akleh uccisa a Jenin

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Guerra in Medio Oriente, vandalizzato il murales dedicato alla giornalista Shireen Abu Akleh uccisa a Jenin | Rec News dir. Zaira Bartucca
Comunicato stampa

Vandalizzato il murales dedicato a Shireen Abu Akleh e della libertà di stampa a via di Valco San Paolo, nel cuore di Roma Sud. Nelle scorse ore il volto stilizzato della giornalista palestinese di Al Jazeera, colpita a morte dall’esercito israeliano l’11 maggio 2022 durante uno dei suoi tanti servizi nei campi profughi di Jenin, in Cisgiordania, è stato imbrattato da una macchia di vernice rosso sangue mentre accanto alla figura della donna si legge la scritta “assassini”.

Il murales, opera dell’artista Erica Silvestri, nelle scorse settimane era stato realizzato per celebrare il sacrificio di una reporter che, come tanti inviati di guerra ogni anno, è morta mentre svolgeva la professione di raccontare gli orrori della guerra e, in questo caso, anche cosa succede nei campi profughi palestinesi: a promuovere l’iniziativa, che ha ottenuto il sostegno della Federazione Nazionale della Stampa, è stato l’VIII municipio della Capitale, l’associazione dei Giovani Palestinesi di Roma e “Join The Resistance” in collaborazione con Radio Roma che da sempre segue con particolare attenzione le vicende estere ma anche le dinamiche delle comunità straniere che vivono in città. Proprio per dare visibilità al messaggio, si era scelto di creare il murales in un punto di via di Valco San Paolo particolarmente trafficato e l’opera era diventata ben presto meta di molti cittadini incuriositi.

L’episodio di vandalismo, scoperto nelle scorse ore, viene facilmente messo in relazione con quanto sta accadendo in Medio Oriente e con la guerra di Israele contro i terroristi di Hamas: “I drammi degli ultimi giorni tra Israele e Palestina stanno esacerbando tutto ciò che ruota intorno alla questione israelo-palestinese” – spiega Andrea Candelaresi, giornalista di Radio Roma e promotore del murales: “Questo clima di tensione arriva fin qui, a Roma, dove l’odio non fa altro che creare inutili confusioni. Shireen Abu Akleh non c’entrava nulla con Hamas, né con la scia di morte e distruzione di questi giorni. Vandalizzare quel murales ha significato, per noi, infangare la memoria di un’abile giornalista morta per una nobile causa: raccontare la verità per formare coscienze. Ma è anche la spia, rossa, sul motore della qualità della stampa perché se il popolo è informato male si creano le tifoserie ed essere ultras porta alla radicalizzazione, la quale genera confusione e odio. Confusione e odio che hanno colpito un murales, ma anche una donna morta per il suo lavoro; hanno colpito chi ci portava la realtà dei fatti in casa e questo non possiamo né dobbiamo dimenticarlo”.

Dopo la segnalazione del vandalismo, il murales è stato restaurato la scorsa notte dalla sua autrice, Erica Silvestri, che ha deciso di “rispondere con l’arte all’odio”.

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ARTE & CULTURA

Bandire i forestierismi. “Ricorda il fascismo, lasciare libertà di espressione”

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Idiomi e Cancel culture, Belpoliti: "Ricorda il fascismo, bisogna lasciare libertà di espressione" | Rec News dir. Zaira Bartucca

“Sono rimasto sorpreso dalla scelta di questo tema nell’era del simultaneo”, ha affermato durante il programma radiofonico “Base Luna chiama Terra” su Radio Cusano Campus il professor Marco Belpoliti, autore della traccia selezionata per la prima prova scritta della Maturità 2023, scrittore, italianista e docente di Critica Letteraria e Letterature Comparate all’Università di Bergamo.

“C’è stata la pandemia che ci ha messo in attesa, come nelle telefonate: ‘La preghiamo di attendere’. Tutto ora è ricominciato accelerando, ma l’attesa è ancora lì e resta in attesa”. L’attesa, secondo Belpoliti, è ancora “una questione rilevante nelle nostre vite nonostante la velocità che ci circonda” ha sostenuto durante l’intervista.

Parlando dell’influenza della tecnologia sulla comunicazione, Belpoliti ha poi sottolineato che il senso dominante è diventato quello visivo. “C’è sempre stata più gente che guardava piuttosto che gente che leggeva. Parlare, parlano tutti, c’è il costante desiderio di parlare. Una volta un uomo nel corso della sua vita vedeva un centinaio di immagini. Ora ne vediamo migliaia ogni giorno, anche solo sui social”, ha proseguito Belpoliti.

Riguardo alla trasformazione delle modalità espressive, il professore ha poi evidenziato “il ritorno a un regime del flusso nella scrittura, simile alle scritture pubbliche dell’epoca romana che non conoscevano la punteggiatura. Ora usiamo i puntini sospensivi” ha ribadito. “L’emoticon crea l’elemento espressivo, disegnando le emozioni che non possono essere contenute nella scrittura, che dal canto suo non ha dei modi per dichiarare il tono con cui viene pronunciata una frase. C’è qualcosa di antico e contemporaneo allo stesso tempo. Qualcosa che è in evoluzione. Questa comunicazione non cancella l’altra. Una si sovrappone all’altra. Una predomina, l’altra regredisce” .

E sull’uso dei forestierismi nella lingua italiana, Belpoliti ha concluso l’intervista dicendo “Non sono spaventato dalla presenza di parole inglesi. Cancellare le parole inglesi, ricorda il fascismo. La pulizia linguistica mi ricorda un altro tipo di pulizia meno nobile. Bisogna lasciare anche una libertà all’espressione”.

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FREE SPEECH

La paghetta per i giornalisti che daranno “priorità alle questioni legate al clima”

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La paghetta per i giornalisti che daranno "priorità alle questioni legate al clima" | Rec News dir. Zaira Bartucca

Dopo i colpi inferti dal governo e dalla riforma Nordio alla Libertà di Espressione, un altro mal costume continua a minacciare l’autonomia di giornalisti e comunicatori. C’è chi tenta di silenziare quelli che fanno il loro lavoro a suon di querele temerarie e di campagne diffamatorie e chi, invece, vorrebbe ridurre i più manipolabili a meri burattini che ripetono a pappagallo gli slogan del politicamente corrotto in fatto di Sanità, di migranti, di Europa, di rapporti sociali. E di clima, ovviamente.

Su quest’ultimo terreno – squisitamente agendista – si concentrano ora le ansie del Centro europeo di Giornalismo, che periodicamente eroga delle paghette, sotto forma di premi, ai giornalisti che “si distinguono” in un determinato settore. Abbiamo già scritto dei finanziamenti da 7500 dollari da parte dello stesso ECJ e della fondazione Bill & Melinda Gates destinati a quei comunicatori che influenzano l’opinione pubblica in tema di Sanità.

Questa volta, invece, il premio – da 2000 euro ed erogato sempre dal Centro europeo di Giornalismo – è per coloro i quali daranno “priorità alla segnalazione di questioni legate al clima” in articoli o reportage pubblicati dal 14 al 17 giugno. Cosa significhi dare priorità non è dato saperlo, ma quel che è certo è che a dare man forte alle narrazioni costruite ci sarà anche Google News, il servizio della Big Tech già multata per propaganda e favoritismi, anche in Italia. In che modo e con quali toni, poi, i giornalisti parleranno e scriveranno di siccità, alluvioni e di “emergenze” climatiche (sapendo che ad attenderli ci sarà una ricompensa), c’è solo da immaginarselo.

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