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La delega ai servizi al facilitatore che piace anche ai renziani

Il Matteo del centro-sinistra può dirsi soddisfatto: dopo settimane di pressing l’incarico finisce a figura “molto vicina al premier”, ma che in fondo ha macinato molto terreno a fianco di certa compagine politica

La delega ai servizi al facilitatore che piace anche ai renziani | Rec News direttore Zaira Bartucca

Renzi può dirsi soddisfatto: dopo settimane di pressing la delega ai Servizi Segreti è finita a una figura istituzionale che è “molto vicina al premier”, ma che in fondo ha macinato molto terreno a fianco di certa compagine politica. Pietro Benassi (il secondo da sinistra, nella foto) non è stato solo il diplomatico che ha facilitato le relazioni istituzionali nei teatri più disparati, ma anche il Capo di Gabinetto di Federica Mogherini ai tempi del ministero degli Esteri del governo Renzi. A testimonianza di una duttilità che lo porta a gestire con scioltezza diverse situazioni, ha lavorato anche fianco a fianco ad Emma Bonino, la progressista di Più Europa.

La delega ai servizi al facilitatore che piace anche ai renziani | Rec News dir. Zaira Bartucca

E’ questa la figura che da oggi avrà mano libera sui Servizi, in un momento risolutivo sia per Conte (formazione di un possibile terzo esecutivo) che per un Renzi solo apparentemente con le spalle al muro. Il guadagno – ragionano ora gli strateghi – è su entrambi i fronti. Il premier con la nomina di un personaggio istituzionale che risulta vicino al suo entourage tenta di racimolare qualche punto in fatto di leadership, mentre il Matteo del centro-sinistra che di recente è stato convocato dal Copasir sulla visita in Italia del procuratore statunitense William Barr – ha meno pensieri.

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G7, raggiunto accordo su global minimum tax: ‘soluzione parallela’ per gli Usa

G7, raggiunto accordo su global minimum tax: 'soluzione parallela' per gli Usa

(Adnkronos) – Il G7 ha trovato un accordo sulla global minimun tax, con una “soluzione parallela” per gli Stati Uniti, partendo dalla proposta di ‘side-by-side’ avanzata dagli Usa, che prevede l’esenzione dalla regola sull’inclusione del reddito e dalla regola sugli utili sotto tassati, in riconoscimento delle attuali regole fiscali minime statunitensi. Nel comunicato della presidenza Canadese si legge che ”vi è una comprensione condivisa che un sistema affiancato potrebbe preservare importanti guadagni conseguiti dalle giurisdizioni nell’inclusive framework nell’affrontare l’erosione della base imponibile e il trasferimento degli utili e fornire maggiore stabilità e certezza al sistema fiscale internazionale in futuro”. 

”L’attuazione di un sistema affiancato agevolerà ulteriori progressi nella stabilizzazione del sistema fiscale internazionale, compreso un dialogo costruttivo sulla tassazione dell’economia digitale e sulla salvaguardia della sovranità fiscale di tutti i Paesi”, si legge nella nota.  

L’intesa si basa ”sul nostro impegno continuo a collaborare congiuntamente attraverso il quadro inclusivo per affrontare i potenziali rischi di erosione della base imponibile e di trasferimento degli utili”, si legge nella nota. I principi dell’accordo, accettati dai membri del G7, prevedono ”un sistema affiancato” che ”escluderebbe completamente i gruppi controllati dagli Stati Uniti dalla regola sugli utili sotto tassati e sull’inclusione del reddito per quanto riguarda i loro profitti nazionali ed esteri”. 

”Un sistema affiancato -si spiega- includerebbe l’impegno a garantire che tutti i rischi sostanziali che potrebbero essere identificati in relazione alla parità di condizioni, o i rischi di erosione della base imponibile e di trasferimento degli utili, siano affrontati per preservare gli obiettivi politici comuni del sistema affiancato. Parallelamente, verrebbero ”intrapresi i lavori per realizzare un sistema parallelo, apportando semplificazioni sostanziali al quadro generale di amministrazione e conformità del pilastro 2”.  

Grazie all’intesa verrebbero anche ”intrapresi lavori per realizzare un sistema parallelo, valutando contestualmente modifiche al trattamento del Pilastro 2 dei crediti d’imposta non rimborsabili basati su sostanze, che garantirebbero un maggiore allineamento con il trattamento dei crediti d’imposta rimborsabili”.  

“L’accordo formalizzato in sede G7 sulla global minimum tax è un compromesso onorevole trovato con l’amministrazione americana che protegge le nostre imprese dalle ritorsioni automatiche originariamente previste dalla clausola 899 dell’Obbba all’esame del Senato Usa. Dobbiamo continuare a lavorare in questa direzione e favorire il dialogo”, il commento del ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti. 

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Giorgio Napolitano, una parabola politica lunga 70 anni: il ricordo nel centenario della nascita

Giorgio Napolitano, una parabola politica lunga 70 anni: il ricordo nel centenario della nascita

(Adnkronos) – Dirigente politico, uomo delle istituzioni, presidente della Repubblica. Una parabola politica lunga 70 anni, quella di Giorgio Napolitano, del quale domani, domenica 29 giugno 2025, ricorreranno i 100 anni dalla nascita.

Un anniversario che lunedì e martedì prossimi verrà celebrato al Senato con un convegno organizzato nella sala Capitolare dalla Fondazione Gramsci, dall’Istituto per gli studi storici e dall’Associazione Giorgio Napolitano, durante il quale, presente il presidente della Repubblica Sergio Mattarella, storici e studiosi ripercorreranno le varie tappe che hanno contrassegnato l’attività dell’ex capo dello Stato nel partito, nel Parlamento italiano ed europeo, nel Governo, fino a ricoprire la più alta carica istituzionale.

Un approdo avvenuto nel 2006, seguito dalla prima riconferma della storia dopo il settennato, avvenuta per una serie di contingenze che resero necessaria una rielezione che portò ad un prolungamento del mandato di altri due anni. Ma non è stata la sola prima volta che può vantare nel suo curriculum. Napolitano, scomparso il 22 settembre del 2023 all’età di 98 anni, è stato infatti il primo ex comunista a diventare Presidente della Repubblica; ma anche il primo ex comunista nominato ministro dell’Interno; il primo dirigente comunista inviato negli Stati Uniti.

Nasce a Napoli il 29 giugno del 1925 e si laurea in Giurisprudenza nel dicembre del 1947 presso l’Università del capoluogo campano con una tesi in economia politica. Da studente universitario è impegnato con i giovani antifascisti e a vent’anni si iscrive al Partito comunista. Nel 1953 viene eletto per la prima volta alla Camera, dove verrà sempre riconfermato, tranne che nella quarta legislatura, nella circoscrizione di Napoli, rimanendovi fino al 1996. Nel 1992 ne diverrà presidente, dopo l’elezione a capo dello Stato di Oscar Luigi Scalfaro, e sarà chiamato a governare l’Assemblea di Montecitorio al culmine di Tangentopoli, sempre geloso custode delle prerogative parlamentari.

Così, di fronte alla richiesta “irrituale agli uffici della Camera, da parte di un ufficiale della Guardia di Finanza, su invito della Procura della Repubblica di Milano, di atti peraltro già pubblicati per obbligo di legge sulla Gazzetta ufficiale”, Napolitano ribadisce “i principi inderogabili cui si deve ispirare una corretta collaborazione tra il Parlamento ed il potere giudiziario”, esprimendo “viva preoccupazione per il verificarsi di casi che toccano questi principi”, ottenendo dal Procuratore di Milano, Francesco Saverio Borrelli, “formali scuse” dopo avergli manifestato “stupore e disappunto”.

Mentre il suicidio del deputato socialista, Sergio Moroni, il 2 settembre del 1992, “fu il momento umanamente e moralmente più angoscioso che vissi da presidente della Camera”, confesserà alcuni anni dopo Napolitano, destinatario di una lettera da parte dello stesso parlamentare prima di compiere il tragico gesto.

Dopo quel biennio, scocca l’ora del maggioritario e della vittoria del centrodestra e di fronte alle attese e agli interrogativi che suscita l’avvento del Governo di Silvio Berlusconi, durante il dibattito sulla fiducia l’ormai ex presidente della Camera disegna il perimetro di quello che dovrebbe essere il terreno di un corretto rapporto tra maggioranza e opposizione.

Un discorso rimasto celebre, che spinge il nuovo premier a lasciare i banchi del governo per congratularsi con Napolitano. “Non ho dimenticato quella stretta di mano -affermerà Gianni Letta durante il funerale laico dell’ex capo dello Stato- orgoglioso di esserne stato, con Giuliano Ferrara, testimone diretto, anche perché sembrò segnare la nascita di un bipolarismo mite, garbato nei toni e costruttivo negli intenti, nel quale il presidente Napolitano forse non ha mai rinunciato a sperare”.

“L’opposizione -disse tra l’altro Napolitano- non deve impedire che si deliberi in Parlamento, ma ha ragione di esigere misura e correttezza, riconoscimento e rispetto dei propri diritti. L’opposizione non deve impedire che questo Governo governi; anzi, ha interesse a che non ci siano alibi per ogni possibile inazione o contraddizione da parte del Governo. Quel che sollecitiamo è il linguaggio di un serio confronto istituzionale, di un confronto in quest’Aula sulla complessità ineludibile dei problemi e delle scelte di governo. È anche così che si rispetta sul serio il Parlamento ed il suo ruolo insostituibile nel sistema democratico, in una democrazia dell’alternanza: e non c’è nulla che prema di più a chi vi parla, nulla che dovrebbe premere di più a tutti noi”.

I primi incarichi nel Partito comunista, vedono Napolitano nominato segretario delle federazioni di Napoli e Caserta, mentre dal 1956 diviene membro del Comitato centrale, dove assume l’incarico di responsabile della commissione meridionale. Entrato a far parte della Direzione, nel triennio 1976-79, gli anni della solidarietà nazionale, è responsabile della politica economica del partito, mentre dal 1986 dirige la commissione per la Politica estera e le relazioni internazionali. E quando nel 1989 Achille Occhetto darà vita al ‘governo ombra’ ne sarà nominato ministro degli Esteri.

Allievo di Giorgio Amendola, con Gerardo Chiaromonte ed Emanuele Macaluso è uno degli esponenti di spicco della corrente migliorista, quella più moderata del partito, che lo vede sempre impegnato a tenere aperti i canali di dialogo con il Psi, anche negli anni del duro scontro tra Enrico Berlinguer e Bettino Craxi.

Sia per la sua linea politica che per gli incarichi ricoperti, Napolitano cura i rapporti con i Laburisti inglesi, i Socialisti francesi, i Socialdemocratici tedeschi, i Democratici statunitensi. E dopo un iniziale rifiuto del visto da parte del segretario di Stato Henry Kissinger nel 1975, tre anni dopo sarà il primo dirigente comunista a recarsi negli Usa, nel pieno della stagione del compromesso storico. Un viaggio reso possibile grazie anche ai buoni uffici del presidente del Consiglio, Giulio Andreotti, come ricorderà anni dopo Napolitano in una lettera al leader democristiano: “Non dimentico come ti adoperasti per il buon esito di quella mia prima missione negli Stati Uniti”.

Kissinger invece si farà perdonare con gli interessi 40 anni dopo, quando nel 2015 gli consegnerà di persona l’omonimo premio all’American Academy a Berlino. “Ha salvato la democrazia Italia nel bel mezzo della crisi economica globale. Per me -dirà l’ex capo della diplomazia americana- ha un grande significato celebrare Napolitano: vero leader democratico, amico delle relazioni atlantiche e difensore della dignità degli esseri umani”.

“Prima che divenisse presidente della Repubblica, Kissinger ebbe occasione di dire a mio padre: ecco qui my favorite communist, il mio comunista preferito”, racconterà Giulio, uno dei due figli di Napolitano, quando due mesi dopo la scomparsa del padre morirà anche l’ex capo della diplomazia Usa. “E una volta eletto al Quirinale Kissinger fu spesso ricevuto per scambi di opinione sulla politica internazionale e hanno sempre condiviso l’idea di un equilibrio internazionale multipolare basato sul riconoscimento e sul rispetto reciproco tra le maggiori potenze”.

“Mio padre -dirà sempre Giulio Napolitano con un ulteriore ricordo di carattere personale- ha letto e studiato con grande attenzione tutti i libri di Kissinger ed ero riuscito a leggergli alcuni brani del suo ultimo libro sulla leadership, con il ricordo di grandi personaggi e mio padre aveva apprezzato e gustato quelle pagine che avevo avuto modo di leggergli”.

Tornando alla sua attività all’interno del Pci, Napolitano alla morte di Berlinguer sfiora la segreteria, spinto da un altro esponente migliorista come il segretario della Cgil Luciano Lama, ma alla fine prevarrà Alessandro Natta. In quegli anni, esattamente tra il 1981 e il 1986, sarà comunque capogruppo alla Camera.

Dopo aver lasciato l’assemblea di Montecitorio, nel 1996 viene nominato ministro dell’Interno nel primo Governo di Romano Prodi e con la ministra della Solidarietà sociale, Livia Turco, terrà a battesimo la legge sull’immigrazione che tra l’altro istituisce i Cpt, Centri di permanenza temporanea.

Chiusa anche quell’esperienza quando a palazzo Chigi approda Massimo D’Alema, dal 1999 al 2004 Napolitano è parlamentare europeo, esperienza vissuta anche nel triennio 1989-1992. Come ex presidente della Camera, nel 2003 viene nominato a guida dell’omonima Fondazione, nata per favorire la conoscenza e la divulgazione del patrimonio storico e del ruolo istituzionale dell’Assemblea di Montecitorio.

Il 23 settembre del 2005 il ritorno nel Parlamento italiano, quando Carlo Azeglio Ciampi lo nomina senatore a vita. Sarà una parentesi di pochi mesi, perchè il 10 maggio 2006 viene eletto Presidente della Repubblica con 543 voti, quelli della maggioranza di centrosinistra. ‘The quiet power broker’, il posato mediatore, lo definirà il ‘New York Times’, con espressione che sintetizza un settennato durante il quale la funzione di garante si concretizza in un’attività in grado di assicurare il costante equilibrio del sistema istituzionale, soprattutto nei momenti più critici e delicati.

Come nell’autunno del 2011, l’anno in cui si celebrano i 150 anni dell’unità d’Italia, quando la crisi del Governo Berlusconi e la preoccupante situazione economica legata all’elevato livello raggiunto dallo spread, portano alla nascita dell’Esecutivo tecnico guidato da Mario Monti, nominato senatore a vita una settimana prima di assumere l’incarico di premier e sostenuto da un’ampia maggioranza parlamentare.

“Dopo Berlusconi, Napolitano, a tre mesi l’uno dall’altro. Mi piace immaginare -afferma sempre Gianni Letta durante il funerale laico dell’ex Presidente della Repubblica- che incontrandosi lassù, possano dirsi quello che forse non si dissero quaggiù e, placata ogni polemica, possano anche chiarirsi e ritrovarsi nella luce”.

“Due persone così lontane, due storie così distanti, due mondi opposti, due figure così diverse chiamate a lavorare insieme e a condividere le massime responsabilità dello Stato. Poteva essere difficile quella convivenza e non fu sempre facile, non mancarono i momenti di tensione, e neppure le polemiche, anche se quelle più aspre sarebbero venute dopo. Ma da tutte due le parti -assicura colui che di Berlusconi fu sottosegretario alla presidenza del Consiglio- non vennero mai meno la volontà e la forza di mantenere il rapporto nei binari della correttezza istituzionale. Lo posso dire in coscienza perchè ne sono personalmente testimone”.

La stessa maggioranza parlamentare che fino a dicembre del 2012 ha sostenuto il Governo Monti, nella primavera del 2013, all’indomani delle elezioni politiche ricordate come quelle della ‘non vittoria di Bersani’, dopo la bocciatura di Franco Marini e di Romano Prodi ad opera dei franchi tiratori, chiederà a Napolitano di restare al Quirinale al termine del suo settennato. Accetta e il 20 aprile arriva la sua rielezione con 738 voti. La prima ma non l’ultima volta nella storia repubblicana di una conferma al Quirinale dopo il settennato, visto che la stessa cosa accadrà nel 2022 con Sergio Mattarella, anche in questo caso per superare uno stallo parlamentare che sembra senza via d’uscita.

Giurando davanti al Parlamento riunito in seduta comune, Napolitano, denuncia l'”imperdonabile nulla di fatto in materia di sia pur limitate e mirate riforme della seconda parte della Costituzione”. Per questo, è il suo appello “non si può più, in nessun campo, sottrarsi al dovere della proposta, alla ricerca della soluzione praticabile, alla decisione netta e tempestiva per le riforme di cui hanno bisogno improrogabile per sopravvivere e progredire la democrazia e la società italiana”.

Un obiettivo che porta alla formazione del Governo di larghe intese guidato da Enrico Letta e un impegno che non cessa anche quando l’ex Capo dello Stato decide che è arrivato il momento di lasciare il Quirinale, il 14 gennaio 2015.

Nove anni durante i quali si ricordano anche l’impegno europeista, suggellato da momenti dalla forte valenza simbolica, come la storica visita il 23 marzo 2013 insieme al Presidente tedesco Joachim Gauck a Sant’Anna di Stazzema per commemorare le vittime dell’eccidio compiuto dai nazisti.

Restano poi scolpite nella memoria le immagini che testimoniano lo speciale e intenso rapporto con Benedetto XVI, culminato nel concerto in Vaticano del 4 febbraio 2013 organizzato in occasione dell’anniversario dei Patti lateranensi. Napolitano, con commozione, ricorda “la memoria dei nostri incontri e colloqui, in molteplici occasioni, nel corso di questi sette difficili anni”. Parole che vengono lette come un commiato in vista della fine del settennato, che invece verrà prolungato ancora di due anni, mentre una settimana dopo sarà Ratzinger a lasciare sorpresa il Soglio di Pietro.

“Non esito a confessare –aveva scritto l’allora Capo dello Stato nel luglio 2012, in un articolo per l’Osservatore Romano dal titolo ‘Il mio amico Benedetto XVI’- che una delle componenti più belle che hanno caratterizzato la mia esperienza è stato proprio il rapporto con Benedetto XVI. Abbiamo scoperto insieme una grande affinità, abbiamo vissuto un sentimento di grande e reciproco rispetto”.

E nonostante siano pochi i mesi durante i quali si troveranno contemporaneamente l’uno al vertice dello Stato italiano e l’altro sul Soglio di Pietro, anche il rapporto tra Napolitano e Papa Francesco sarà intenso e profondo. Tanto che Bergoglio quando le condizioni dell’ex Presidente si sono irrimediabilmente aggravate, non mancherà di rivolgere una preghiera per lui durante l’udienza generale del mercoledì, affinchè “abbia conforto, questo servitore della patria”. E a sorpresa si recherà alla camera ardente allestita in Senato per rendere omaggio alla salma del Presidente emerito, fermandosi a lungo in piedi, davanti al feretro.

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Ius soli, Salvini: “Da Corte Suprema Usa ottima notizia”

Ius soli, Salvini: "Da Corte Suprema Usa ottima notizia"

(Adnkronos) – Plauso del centrodestra italiano alla decisione della Corte Suprema Usa di dare ragione al presidente Donald Trump sulla cancellazione dello ius soli.

“Mentre in Italia si discute di un irrilevante parere dell’ufficio del Massimario della Cassazione che critica il Decreto sicurezza, dagli Stati Uniti arriva l’ottima notizia che la Suprema Corte Usa permetterà a Trump di cancellare lo ius soli”, commenta all’Adnkronos Matteo Salvini. Si tratta, osserva, di “un messaggio di buonsenso che gli italiani hanno già recepito come dimostrato nel recente referendum, nonostante certe tentazioni dannose che rilevo anche nella maggioranza”.

Soddisfazione per la decisione della maggioranza repubblicana della Corte Suprema Usa è stata espressa anche dal capogruppo di Fratelli d’Italia al Senato Lucio Malan con un laconico “God bless America”!

Più tiepido il portavoce nazionale e deputato di Forza Italia Raffaele Nevi: “Gli Stati Uniti sono un Paese democratico, hanno la loro Costituzione, non interveniamo su una decisione della Corte Suprema – afferma all’Adnkronos -. Le sentenze vanno applicate. Noi ci dedichiamo alle nostre questioni”.

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Dl sicurezza, la Cassazione: “Ci sono criticità”

Dl sicurezza, la Cassazione: "Ci sono criticità"

(Adnkronos) – Criticità nel dl sicurezza sono state rilevate in una relazione dell’ufficio del Massimario della Cassazione. Secondo quanto si legge nel testo su novità normativa ‘Disposizioni urgenti in materia di sicurezza pubblica, di tutela del personale in servizio, nonché di vittime dell’usura e di ordinamento penitenziario (dl 11 aprile 2025, n. 48, convertito dalla legge 9 giugno 2025, n. 80) il decreto legge “convertito senza modificazioni dal Parlamento, riproduce quasi alla lettera, ad eccezione di talune minime modifiche circoscritte a pochi articoli, il contenuto del corrispondente disegno di legge sicurezza di iniziativa governativa che la Camera dei deputati, dopo un’ampia discussione in Assemblea, aveva approvato in prima lettura il 18 settembre 2024 e trasmesso al Senato il giorno successivo”. 

Per unanime giudizio dei giuristi che si sono espressi finora però, si sottolinea, “nessun fatto nuovo configurabile come ‘casi straordinari di necessità e di urgenza’ è occorso tra la discussione alle Camere del ddl sicurezza e la scelta trasformarlo in un decreto legge dal medesimo contenuto”. Quindi, si spiega nella relazione, “l’evidente mancanza dei presupposti costituzionali dei casi straordinari di necessità e urgenza allorché riguarda l’intero decreto-legge inficia la legittimità costituzionale di tutto il decreto-legge e determina l’invalidità della legge di conversione, la quale non può in alcun modo rimediare a tali vizi secondo l’ormai consolidato indirizzo della Corte costituzionale”. Criticità sarebbero anche legate “all’estrema disomogeneità dei contenuti del testo”.  

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