ESTERI
Lavoro, Trump firma ordine esecutivo per dare priorità agli americani
La misura volta a contrastare la fuga dei cervelli e per mettere fine alla concorrenza sleale causata dalla manodopera straniera a basso costo

Il Presidente degli Stati Uniti Donald Trump ieri ha firmato un ordine esecutivo per “proteggere i posti di lavoro degli americani dal lavoro straniero”. Lo rende noto lo staff della Casa Bianca. La misura, si legge in una nota, servirà ad “evitare che gli americani emigrino a causa dei lavoratori stranieri, attratti dal guadagno in dollari”. Proprio come accade in Italia con l’euro a causa della concorrenza sleale promossa dall’Unione europea e dai vari governi, in particolare quello Conte. Quest’ultimo, tramite l’azione del ministro Bellanova, ha addirittura promosso la regolarizzazione dei migranti irregolari tramite l’inserimento nel settore agricolo, dunque creando un ingiusto vantaggio e una disparità di trattamento rispetto agli italiani.
Il nuovo ordine esecutivo serve a combatte l’abuso di visti H-1B, che secondo l’amministrazione Trump troppo spesso sono stati sfruttati per sostituire lavoratori qualificati degli Stati Uniti con manodopera estera a basso costo. Il Presidente degli Stati Uniti ha dunque chiesto che “per i lucrosi contratti federali venga data priorità agli americani”. La decisione è arrivata dopo la notizia che la Tennessee Valley Authority (TVA) ha reso noto di voler esternalizzare il 20 per cento della sua tecnologia per imprese con sede in Paesi stranieri. Un’azione che avrebbe messo in crisi più di 200 posti di lavoro di americani. Mentre in Italia se ne perdono a decine di migliaia senza far nulla e anzi con la benedizione del governo, Trump è corso a mettere una toppa per tutelare i 200 americani a rischio.
L’amministrazione in carica ha inoltre fatto sapere che particolare attenzione verrà riservata ai livelli occupazionali in tempi instabili come quelli attuali, per “tutelare lavoratori, famiglie e comunità”. Nel corso della firma dell’ordine esecutivo, il Ceo di TVA Jeff Lyash ha espresso una “forte volontà di invertire la rotta” sul piano dell’outsourcing a seguito della misura. Il vicepresidente Mike Pence in conclusione dei lavori ha detto infine che “L’impegno del Presidente è quello di porre fine all’abuso dei nostri lavoratori una volta per tutte.”
ESTERI
La nuova “caccia ai radicali”, stavolta contro AfD, scuote la Germania

In Germania la classificazione del partito Alternative für Deutschland come “movimento di estrema destra accertato” sta innescando un’ondata di misure restrittive nei confronti di funzionari pubblici e candidati al pubblico impiego. L’AfD denuncia un ritorno alle discriminazioni politiche simili al Radikalenerlass degli anni Settanta. Il governo federale esclude un bando automatico, ma la questione riapre un dilemma cruciale: come difendere l’ordine democratico senza trasformarlo in uno strumento di esclusione ideologica?
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ESTERI
Trump vuole licenziare Powell e cerca una giusta causa (che non c’è)

(Adnkronos) –
Donald Trump insiste a mettere nel mirino la Fed e il suo presidente Jerome Powell. Ormai, il licenziamento viene dato per imminente, anche con l’indicazione del probabile successore, il segretario al Tesoro americano Scott Bessent. Il presidente americano, del resto, non perde occasione per delegittimare l’uomo che guida la politica monetaria negli Stati Uniti, che non ha avuto remore a definire “uno stupido”.
La motivazione che ripete come un mantra è che vanno abbassati i tassi di interesse, nonostante i dati sull’inflazione. Deve scendere il costo del denaro, è la tesi di Trump, perché ne ha bisogno l’economia americana e, soprattutto, la sua amministrazione. Nella ‘fanta economia’ del presidente americano c’è anche l’indicazione precisa dell’entità del taglio dei tassi necessario. “La Fed dovrebbe tagliare i tassi di tre punti. L’inflazione è molto bassa. Risparmieremmo 1.000 miliardi di dollari l’anno”, ha scritto su Truth.
Il problema, sostanziale, è che il presidente americano dimostra pochissima dimestichezza con la teoria economica. Se c’è un fattore che ha impedito finora a Powell di abbassare i tassi è stato l’incertezza legata ai dazi che lo stesso Trump mette, o minaccia di mettere, al resto del mondo. Il meccanismo è piuttosto semplice. Le tariffe, o anche solo la promessa di nuove tariffe, fanno salire i prezzi, perché i costi supplementari delle imprese che esportano negli Stati Uniti o di quelle che americane che importano vengono scaricati sul consumatore finale. Tanto che l’ultimo dato, relativo a giugno, ha mostrato un’accelerazione dell’inflazione al 2,7% dal 2,4% di maggio. Un pessimo segnale soprattutto se considerato che la guerra commerciale potrebbe inasprirsi sensibilmente nei prossimi mesi.
C’è un altro problema, più formale. La rimozione di un presidente della Fed è una procedura piuttosto complessa. Per questo si cerca una ‘giusta causa’, facendo riferimento alle presunte responsabilità di Powell rispetto ai costi di ristrutturazione di due edifici della Fed a Washington. E per questo, nelle aspettative di Trump, lo scenario da preferire è un passo indietro, da incoraggiare in ogni modo. Bessent ha già detto che il processo formale per la scelta del prossimo governatore della Federal Reserve è stato avviato anche se il Presidente è stato costretto ad ammettere che servono le dimissioni: “Spero che il governatore della Fed lasci, dovrebbe andarsene perché è stato molto negativo per questo Paese”.
Una rimozione forzata del presidente della Fed sarebbe un colpo ulteriore per la credibilità dell’amministrazione Trump nella considerazione del mondo economico americano. Eloquenti le parole spese dal banchiere più influente a livello mondiale, il ceo di Jp Morgan Jamie Dimon: “L’indipendenza della Fed è assolutamente fondamentale, non solo per l’attuale presidente della Fed, che rispetto, ma anche per il prossimo presidente. Giocare con la Fed può spesso avere conseguenze negative, l’esatto contrario di ciò che si potrebbe sperare”. Un avvertimento tanto chiaro quanto esplicito. Se Trump andasse avanti nonostante tutto, dovrebbe poi fare i conti con i danni prodotti. (Di Fabio Insenga)
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economia
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ESTERI
Gaza, “almeno 20 morti in raid Israele oggi”

(Adnkronos) – Sono almeno 20 i palestinesi che sono stati uccisi nelle prime ore di oggi dai raid aerei di Israele contro la Striscia di Gaza. Lo riporta l’emittente al-Jazeera Arabic.
Il Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite ha intanto autorizzato il proseguimento delle segnalazioni degli attacchi dei miliziani Houthi alle navi mercantili che transitano nel Mar Rosso. Il voto è stato autorizzato da 12 dei 15 membri del Consiglio di sicurezza Onu mentre Russia, Cina e Algeria si sono astenute opponendosi agli attacchi americani contro lo Yemen definiti contro la sua sovranità.
La risoluzione, sponsorizzata da Stati Uniti e Grecia, estende fino al 15 gennaio 2026 l’obbligo per il segretario generale delle Nazioni Unite Antonio Guterres di presentare al Consiglio di sicurezza relazioni mensili sugli attacchi degli Houthi nel Mar Rosso. L’ambasciatrice statunitense ad interim Dorothy Shea ha affermato che la risoluzione riconosce la necessità di una vigilanza continua “contro la minaccia terroristica degli Houthi sostenuta dall’Iran”.
Il presidente degli Stati Uniti Donald Trump dal canto suo ospiterà questa sera il primo ministro del Qatar Muhammad bin Abdulrahman al-Thani alla Casa Bianca. Lo conferma la Casa Bianca. Al centro dei colloqui, come scrive Axios, i negoziati per il cessate il fuoco nella Striscia di Gaza e il rilascio degli ostaggi.
Le Forze di difesa israeliana (Idf) hanno condotto anche un raid aereo contro l’aeroporto di Thaala, nei pressi di Sweida, città a maggioranza drusa nel sud della Siria teatro di scontri settari. Lo scrive il quotidiano libanese Al Mayadeen secondo il quale ci sarebbero vittime tra le forze del governo di Damasco.
I militari inviati dal governo di Damasco a Sweida, città a maggioranza drusa nel sud della Siria, devono ritirarsi e i raid aerei delle Forze di difesa israeliane (Idf) continueranno fino a quando non lo faranno, ha dichiarato il ministro della Difesa israeliano Israel Katz in una nota. “Il regime siriano deve lasciare in pace i drusi a Sweida e ritirare le sue forze. Come abbiamo chiarito e avvertito, Israele non abbandonerà i drusi in Siria e applicherà la politica di smilitarizzazione che abbiamo deciso”, ha affermato Katz. “Le Idf continueranno a colpire le forze del regime finché non si ritireranno dalla zona e presto intensificheranno la loro risposta contro il regime se il messaggio non verrà recepito”, ha aggiunto.
Intanto è salito ad almeno 248 morti il bilancio degli scontri settari nella città a maggioranza drusa di Sweida, riferiscono gli attivisti dell’Osservatorio siriano per i diritti umani. Secondo l’Osservatorio siriano per i diritti umani, nel bilancio delle vittime figurano 92 membri della minoranza drusa, di cui 28 civili. Gli attivisti precisano che 21 sono stati “uccisi in esecuzioni sommarie da parte delle forze governative”.
Secondo l’Osservatorio sono stati uccisi almeno 138 membri delle forze di sicurezza siriane, insieme a 18 combattenti beduini alleati.
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internazionale/esteri
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ESTERI
Missili Patriot, cosa sono e perché l’Ucraina ne ha così tanto bisogno

(Adnkronos) – L’annuncio del presidente degli Stati Uniti Donald Trump secondo cui i sistemi missilistici Patriot sono stati inviati già all’Ucraina fa tirare un sospiro di sollievo all’Ucraina, sottoposta a continui bombardamenti notturni russi. Nelle ultime settimane il presidente Volodymyr Zelensky ha ripetutamente richiesto l’intervento dei Patriots, mentre Mosca invia un numero record di droni e missili.
Ecco cosa sappiamo dell’avanzato sistema di difesa missilistica degli Stati Uniti:
I Patriots, acronimo di Phased Array Tracking Radar for Intercept on Target, sono il principale sistema di difesa missilistica dell’esercito americano.
Hanno dimostrato il loro valore più di recente il mese scorso, quando hanno contribuito ad abbattere 13 dei 14 missili iraniani lanciati contro la base aerea di Al Udeid dell’aeronautica militare statunitense in Qatar.
Le ultime versioni degli intercettori Patriot sono in grado di colpire missili balistici a corto raggio, missili da crociera e droni in arrivo ad altitudini fino a 15 chilometri (9,3 miglia) e a distanze fino a 35 chilometri.
Gli analisti affermano che questo consente a una singola batteria Patriot di coprire un’area compresa tra 100 e 200 chilometri quadrati, a seconda del numero di lanciatori presenti nella batteria, della topografia locale e di altre condizioni. Non si tratta di un’area molto estesa in un Paese delle dimensioni dell’Ucraina, con una superficie totale di oltre 603.000 chilometri. Da qui la necessità per Kiev di dotare i suoi veicoli di numerose nuove batterie Patriot.
Una batteria è composta da sei-otto lanciamissili, ciascuno in grado di trasportare fino a 16 intercettori, insieme a un radar phased array, una stazione di controllo, una stazione di generazione di energia, il tutto montato su camion e rimorchi.
Secondo i rapporti militari statunitensi, a una batteria Patriot sono assegnate circa 90 persone, ma solo tre soldati nel centro di comando e controllo possono utilizzarla in situazioni di combattimento.
Secondo il Center for Strategic and International Studies (CSIS), una batteria Patriot è costosa: l’installazione completa di lanciatori, radar e missili intercettori costa più di un miliardo di dollari.
Secondo un rapporto del CSIS, un singolo intercettore può arrivare a costare fino a 4 milioni di dollari, il che rende problematico il suo utilizzo contro i droni russi economici, che possono arrivare a costare anche solo 50.000 dollari, soprattutto considerando che la Russia invia centinaia di droni ogni notte nei recenti attacchi all’Ucraina.
Per quanto riguarda l’ultimo trasferimento, i funzionari statunitensi hanno affermato che i Patriots potrebbero raggiungere l’Ucraina più rapidamente se fossero trasferiti dagli alleati europei della Nato all’Ucraina, per poi essere sostituiti da sistemi acquistati dagli Stati Uniti.
Secondo il “Military Balance 2025” dell’International Institute for Strategic Studies, sei alleati della Nato (Germania, Grecia, Paesi Bassi, Polonia, Romania e Spagna) dispongono di batterie Patriot nei loro arsenali.
C’è preoccupazione, sia all’interno che all’esterno dell’esercito, che le scorte degli US Patriot possano essere troppo esigue. “È il nostro elemento di forza più sollecitato”, ha dichiarato il generale James Mingus, vice capo di stato maggiore dell’esercito, durante un dialogo al CSIS all’inizio di questo mese.
Mingus ha sottolineato che l’unità Patriot in Qatar, che ha contribuito a difendere la base aerea di Al Udeid, è stata dispiegata in Medio Oriente per 500 giorni, affermando che si tratta di un “elemento di forza molto stressato”.
L’Ucraina ha dichiarato di aver bisogno di 10 nuove batterie Patriot per proteggersi dal crescente attacco di missili e droni da parte della Russia.
Secondo il gruppo di monitoraggio delle armi con sede nel Regno Unito Action on Armed Violence, Kiev ha già ricevuto sei batterie Patriot pienamente operative: due dagli Stati Uniti, due dalla Germania, una dalla Romania e una fornita congiuntamente da Germania e Paesi Bassi.
Gli analisti sostengono che i Patriots da soli non possono porre fine all’invasione russa dell’Ucraina. Wesley Clark, generale in pensione dell’esercito americano ed ex comandante supremo della Nato, ha dichiarato lunedì a Lynda Kinkade della Cnn che, affinché il pacchetto di armi abbia un effetto reale sul campo di battaglia, dovrebbe includere più dei semplici sistemi di difesa aerea.
“Se si vuole davvero fermare tutto questo, bisogna colpire la Russia e in profondità”, ha detto Clark. “Bisogna colpire l’arciere, non le frecce che arrivano”.
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internazionale/esteri
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