
Formalizzata la richiesta di estradizione negli Usa nei confronti di Assange
L’iter avviato nel 2010 e inizia oggi ufficialmente nelle corti britanniche. Intanto l’editore di Wikileaks è stato condannato a 50 settimane di reclusione per non aver ottemperato alla cauzione
Ieri la condanna a cinquanta settimane di carcere (quasi un anno), per aver violato le disposizioni sulla cauzione nel momento della richiesta di asilo presso l’ambasciata dell’Ecuador. Oggi, la temuta formalizzazione della richiesta di estradizione negli Usa. Non è un bel momento per la libertà di espressione e per Julian Assange, l’editore di Wikileaks detenuto ingiustamente in una cella di massima sicurezza a Belmarsh, dove sconta il cosiddetto “confino solitario” – solitamente riservato ai colpevoli dei più efferati crimini – per aver rivelato diverse verità scomode.
Una mannaia ingiustificata e, rileva Wikileaks, “scioccante e vendicativa. E’ il doppio – scrive il team di giornalisti investigativi su Twitter – delle condanne previste”. La piattaforma cita il caso di un serial killer inglese, condannato a sei mesi di carcere per il solo fatto di non essersi presentato in udienza. Un paradosso esemplificativo, che fa saltare all’occhio lo sbilanciamento di giudizio nei riguardi di chi è colpevole di omicidi e chi, come Assange, gli omicidi li ha denunciati.
Non basta perché da oggi i tribunali britannici inizieranno a valutare la possibilità di estradare l’editore australiano negli Stati Uniti. Il governo di Theresa May assicura che il giornalista non sarà estradato in Stati in cui è prevista la pena di morte, ma considerata la violazione dei diritti umani basilari del giornalista da parte di quattro governi (Australia, Stati Uniti, Gran Bretagna ed Ecuador) e l’abuso perpetrato da parte del governo di Lenin Moreno con la vendita da 4,2 milioni, c’è poco da fidarsi.
Bene che vada, Assange potrebbe rischiare decenni di carcere, cinque se si considerassero alcune attenuanti: tutto dipende dalla lettura del “reato” commesso, cioè dell’atto di servirsi di una password ceduta dall’analista della Cia Chelsea Manning per accedere a dei documenti sensibili di rilevanza pubblica. Intanto, la società civile continua a mobilitarsi chiedendo la liberazione dell’uomo che rischia in prima persona per aver informato i cittadini di ogni latitudine sul malaffare di ogni governo. Tra le rivelazioni, 90mila rapporti sulla guerra in Afghanistan, 400mila relazioni e documenti video sulla guerra in Iraq e 800mila valutazioni sulle condizioni estreme di detenzione nella Baia di Guantanamo.
Nemmeno l’Italia è rimasta fuori: Wikileaks ha pubblicato diversi documenti sui passati esecutivi utilizzati da settimanali “di inchiesta” e da quotidiani, che spesso si sono attribuiti la paternità dell’intero lavoro senza citare la piattaforma libera. Per chi volesse sostenere le attività divulgative e le campagne di comunicazione a sostegno di Assange, è possibile donare al fondo di difesa Courage con diversi metodi. “Si tratta – fanno sapere dalla fondazione – di un supporto vitale“, che potrebbe fare la differenza nel richiamare i governi ai loro doveri.
FREE SPEECH
Guerra in Medio Oriente, vandalizzato il murales dedicato alla giornalista Shireen Abu Akleh uccisa a Jenin

Vandalizzato il murales dedicato a Shireen Abu Akleh e della libertà di stampa a via di Valco San Paolo, nel cuore di Roma Sud. Nelle scorse ore il volto stilizzato della giornalista palestinese di Al Jazeera, colpita a morte dall’esercito israeliano l’11 maggio 2022 durante uno dei suoi tanti servizi nei campi profughi di Jenin, in Cisgiordania, è stato imbrattato da una macchia di vernice rosso sangue mentre accanto alla figura della donna si legge la scritta “assassini”.
Il murales, opera dell’artista Erica Silvestri, nelle scorse settimane era stato realizzato per celebrare il sacrificio di una reporter che, come tanti inviati di guerra ogni anno, è morta mentre svolgeva la professione di raccontare gli orrori della guerra e, in questo caso, anche cosa succede nei campi profughi palestinesi: a promuovere l’iniziativa, che ha ottenuto il sostegno della Federazione Nazionale della Stampa, è stato l’VIII municipio della Capitale, l’associazione dei Giovani Palestinesi di Roma e “Join The Resistance” in collaborazione con Radio Roma che da sempre segue con particolare attenzione le vicende estere ma anche le dinamiche delle comunità straniere che vivono in città. Proprio per dare visibilità al messaggio, si era scelto di creare il murales in un punto di via di Valco San Paolo particolarmente trafficato e l’opera era diventata ben presto meta di molti cittadini incuriositi.
L’episodio di vandalismo, scoperto nelle scorse ore, viene facilmente messo in relazione con quanto sta accadendo in Medio Oriente e con la guerra di Israele contro i terroristi di Hamas: “I drammi degli ultimi giorni tra Israele e Palestina stanno esacerbando tutto ciò che ruota intorno alla questione israelo-palestinese” – spiega Andrea Candelaresi, giornalista di Radio Roma e promotore del murales: “Questo clima di tensione arriva fin qui, a Roma, dove l’odio non fa altro che creare inutili confusioni. Shireen Abu Akleh non c’entrava nulla con Hamas, né con la scia di morte e distruzione di questi giorni. Vandalizzare quel murales ha significato, per noi, infangare la memoria di un’abile giornalista morta per una nobile causa: raccontare la verità per formare coscienze. Ma è anche la spia, rossa, sul motore della qualità della stampa perché se il popolo è informato male si creano le tifoserie ed essere ultras porta alla radicalizzazione, la quale genera confusione e odio. Confusione e odio che hanno colpito un murales, ma anche una donna morta per il suo lavoro; hanno colpito chi ci portava la realtà dei fatti in casa e questo non possiamo né dobbiamo dimenticarlo”.
Dopo la segnalazione del vandalismo, il murales è stato restaurato la scorsa notte dalla sua autrice, Erica Silvestri, che ha deciso di “rispondere con l’arte all’odio”.
ARTE & CULTURA
Bandire i forestierismi. “Ricorda il fascismo, lasciare libertà di espressione”

“Sono rimasto sorpreso dalla scelta di questo tema nell’era del simultaneo”, ha affermato durante il programma radiofonico “Base Luna chiama Terra” su Radio Cusano Campus il professor Marco Belpoliti, autore della traccia selezionata per la prima prova scritta della Maturità 2023, scrittore, italianista e docente di Critica Letteraria e Letterature Comparate all’Università di Bergamo.
“C’è stata la pandemia che ci ha messo in attesa, come nelle telefonate: ‘La preghiamo di attendere’. Tutto ora è ricominciato accelerando, ma l’attesa è ancora lì e resta in attesa”. L’attesa, secondo Belpoliti, è ancora “una questione rilevante nelle nostre vite nonostante la velocità che ci circonda” ha sostenuto durante l’intervista.
Parlando dell’influenza della tecnologia sulla comunicazione, Belpoliti ha poi sottolineato che il senso dominante è diventato quello visivo. “C’è sempre stata più gente che guardava piuttosto che gente che leggeva. Parlare, parlano tutti, c’è il costante desiderio di parlare. Una volta un uomo nel corso della sua vita vedeva un centinaio di immagini. Ora ne vediamo migliaia ogni giorno, anche solo sui social”, ha proseguito Belpoliti.
Riguardo alla trasformazione delle modalità espressive, il professore ha poi evidenziato “il ritorno a un regime del flusso nella scrittura, simile alle scritture pubbliche dell’epoca romana che non conoscevano la punteggiatura. Ora usiamo i puntini sospensivi” ha ribadito. “L’emoticon crea l’elemento espressivo, disegnando le emozioni che non possono essere contenute nella scrittura, che dal canto suo non ha dei modi per dichiarare il tono con cui viene pronunciata una frase. C’è qualcosa di antico e contemporaneo allo stesso tempo. Qualcosa che è in evoluzione. Questa comunicazione non cancella l’altra. Una si sovrappone all’altra. Una predomina, l’altra regredisce” .
E sull’uso dei forestierismi nella lingua italiana, Belpoliti ha concluso l’intervista dicendo “Non sono spaventato dalla presenza di parole inglesi. Cancellare le parole inglesi, ricorda il fascismo. La pulizia linguistica mi ricorda un altro tipo di pulizia meno nobile. Bisogna lasciare anche una libertà all’espressione”.
FREE SPEECH
La paghetta per i giornalisti che daranno “priorità alle questioni legate al clima”

Dopo i colpi inferti dal governo e dalla riforma Nordio alla Libertà di Espressione, un altro mal costume continua a minacciare l’autonomia di giornalisti e comunicatori. C’è chi tenta di silenziare quelli che fanno il loro lavoro a suon di querele temerarie e di campagne diffamatorie e chi, invece, vorrebbe ridurre i più manipolabili a meri burattini che ripetono a pappagallo gli slogan del politicamente corrotto in fatto di Sanità, di migranti, di Europa, di rapporti sociali. E di clima, ovviamente.
Su quest’ultimo terreno – squisitamente agendista – si concentrano ora le ansie del Centro europeo di Giornalismo, che periodicamente eroga delle paghette, sotto forma di premi, ai giornalisti che “si distinguono” in un determinato settore. Abbiamo già scritto dei finanziamenti da 7500 dollari da parte dello stesso ECJ e della fondazione Bill & Melinda Gates destinati a quei comunicatori che influenzano l’opinione pubblica in tema di Sanità.
Questa volta, invece, il premio – da 2000 euro ed erogato sempre dal Centro europeo di Giornalismo – è per coloro i quali daranno “priorità alla segnalazione di questioni legate al clima” in articoli o reportage pubblicati dal 14 al 17 giugno. Cosa significhi dare priorità non è dato saperlo, ma quel che è certo è che a dare man forte alle narrazioni costruite ci sarà anche Google News, il servizio della Big Tech già multata per propaganda e favoritismi, anche in Italia. In che modo e con quali toni, poi, i giornalisti parleranno e scriveranno di siccità, alluvioni e di “emergenze” climatiche (sapendo che ad attenderli ci sarà una ricompensa), c’è solo da immaginarselo.
FREE SPEECH
Concorsi pubblici, Pallotta (OdG): “Giuridicamente scorretto escludere i pubblicisti”

“Riservare ai soli giornalisti professionisti con l’esclusione dei giornalisti pubblicisti la partecipazione al concorso per l’assunzione di personale nel settore della comunicazione bandito dal Gran Sasso Scienze Insitute, è immotivato e giuridicamente non corretto”. E’ quanto afferma il Presidente dell’Ordine dei giornalisti d’Abruzzo, Stefano Pallotta, che ha inviato una lettera al direttore generale dell’Istituto, Mario Picasso, per chiedere la modifica del bando ai sensi della legge 150 del 2000.
“Si fa notare – si puntualizza nella lettera – che non esiste un albo dei giornalisti professionisti, ma che l’Ordine dei giornalisti comprende due elenchi, professionisti e pubblicisti e che in materia di concorsi nella Pubblica amministrazione, relativamente all’Ufficio stampa e comunicazione, la legge 150 del 2000 non fa alcuna distinzione tra i due elenchi limitandosi a richiedere l’iscrizione all’Ordine dei giornalisti”, conclude il presidente Pallotta.