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Nel corso di questa intervista – la seconda che facciamo al Professore Giulio Tarro – siamo stati messi di fronte a due evidenze. La prima: che stavamo parlando con un medico che considera il paziente, la sua cura, la sua sopravvivenza e la sua Vita, come il centro della propria attività. Attenzione, perché a partire dalle mancate cure ai pazienti non covid di cui molti si sono resi colpevoli nel corso della prima fase, non si tratta più di un’ovvietà. La seconda evidenza, è che un virus simile a tanti altri per caratteristiche e letalità, è diventato il lasciapassare per avviare la più grande sperimentazione di massa mai esistita per la somministrazione di una “terapia genica”, come l’ha recentemente definita lo stesso Tarro: tale è il cosiddetto vaccino a mRNA che, nei fatti, non sarebbe neppure un vaccino. Non contiene il virus (condizione che la medicina reputa necessaria affinché si parli di “vaccino”) ma viene comunque fatto passare per quello che non è. Il professore Tarro lo spiega molto bene per tutti – senza troppi giri di parole – qua e là nelle risposte. E’ giusto saperlo, così come è giusto saperne di più sulla reale efficacia di questo preparato e sui rischi che si corrono ad assumerlo. Andiamo con ordine.

Volevamo capirne di più su queste varianti che stanno terrorizzando un po’ tutti. Cosa sono?
Innanzitutto il virus quando entra in un nuovo organismo cerca di fare di tutto per sopravvivere. Non gli conviene distruggere l’organismo, ma stabilire una specie di patto di convivenza. E’ un patto biologico abbastanza importante. Una particella piccola come il virus cosa può fare per stabilire il quieto vivere? Può fare qualcosa che da una parte non distrugge la cellula in cui è penetrata, e dall’altra gli permette di non essere distrutto dalle difese immunitarie dell’organismo. Il virus cerca quindi la possibilità di “variare”. Il fine è quello. La possibilità è legata agli stessi anticorpi che poi si formano, a cui lui cerca di sfuggire.

Quindi si adatta per sopravvivere?
Esatto, è un patto biologico abbastanza fondamentale nell’ecologia totale, di tutti gli esseri.

E’ una cosa nuova che ci sia una variante di un virus o succede normalmente?
Succede normalmente, anzi per esempio succede spesso con il virus influenzale, ma anche a livello delle famiglie virali c’è sempre questa possibilità.

Quindi niente di nuovo sotto il sole.
No, assolutamente. D’altra parte si sta facendo tutto questo rumore adesso, ma nessuno ha detto che già a fine marzo quando eravamo in piena epidemia si era stabilita una variante che da aprile è stata prevalente e che già aveva sostituito la cosiddetta catena terminale, un aminoacido che poi era l’acido aspartico, con la glicina. Questo permetteva al virus di passare meglio nelle cellule. Non vuol dire comunque che fosse più virulento, più aggressivo o che desse fatti patologici maggiori.

Quindi non sono delle varianti così pericolose come si dice?
No, l’unica “pericolosità” è questa, cioè rispetto al precedente si cambiano gli anticorpi.


Invece le varianti ibride cosa sono?
Variante ibrida significa che c’è una parte di un virus e una di un altro. Per esempio i vaccini con vettore sono ibridi, possiamo anche parlare di chimere, ma siamo sempre là.

Per restare in tema di vaccini, molti manifestano preoccupazioni sul vaccino Pfizer-Biontech e su quello di Moderna, perché sono a mRNA. Può spiegarci cosa vuol dire?
Normalmente in qualsiasi cellula c’è la cosiddetta molecola della vita che è il DNA, poi su questo DNA in maniera speculare c’è un altro acido nucleico che si chiama RNA. Quest’ultimo porta le informazioni del DNA ai ribosomi, là dove si producono le proteine. Sono informazioni a RNA messaggero. Successivamente è possibile che intervenga un altro RNA messaggero, che sarebbe quello transfer. Se noi facciamo un nuovo vaccino utilizzando questo RNA messaggero, ovviamente a livello produttivo è relativamente più semplice rispetto a creare il vettore che dicevamo prima o un vaccino chimerico.

Alcuni medici hanno manifestato preoccupazioni rispetto a questo meccanismo, nel senso che hanno evidenziato come i vaccini a mRNA vadano poi ad incidere sullo stesso DNA, provocando malattie anche pericolose. Lei è d’accordo con questa lettura?
Non in questo modo semplice, perché già il bugiardino di questi vaccini parla del fatto che ci può essere anzitutto una certa sintomatologia. Per esempio mal di testa, mali articolari, muscolari, allergie come per tutti i vaccini. Non c’è solo l’mRNA, c’è anche altro materiale che viene somministrato. E poi dico la cosa forse più importante di questo aspetto: dobbiamo vedere in prospettiva. Ebbene, lo stesso bugiardino (il foglietto illustrativo, ndr) dice che questi vaccini possono provocare delle malattie auto-immuni.

Ecco, appunto.
Questi vaccini poi non vengono consigliati in gravidanza, presumibilmente perché nella prima fase di sperimentazione non c’è stato modo di provarne gli effetti. E poi soprattutto si consiglia di far passare almeno due mesi da un eventuale concepimento.

Eppure sono già stati somministrati a molte donne e ragazze in età fertile.
Si, questo è stato contrario a quello che bisognava fare, per esempio in Inghilterra hanno cominciato con gli anziani. Quando si è in età per così dire fertile, l’mRNA può potenzialmente integrarsi con le cellule. Escludere questo per principio non è giusto, perché bisogna proiettare il tutto nel tempo. Non c’è stato il tempo per provare. Io ho detto fin dall’inizio che questo RNA messaggero potrebbe addirittura simulare un altro RNA virus latente, oppure potrebbe fornire il codice proprio al nostro DNA, come accennava lei prima. Questi aspetti sembrano impossibili e vengono esclusi dai cosiddetti saccenti della biologia molecolare, ma proprio in questi giorni è uscito un lavoro dell’Università di Boston che ha dimostrato che questa cosa impossibile, è possibile. Si è dato così ragione a chi fin dall’inizio diceva che questo aspetto sperimentale che a questo punto è diventato pratico riguarda un po’ gli Ogm, gli organismi geneticamente modificati, che sono stati vietati proprio per i pericoli connessi al loro utilizzo.

Lei ha detto che questo aspetto da “sperimentale è diventato pratico”: cioè la somministrazione sta coincidendo con la sperimentazione umana? Siamo cavie? Vogliono modificare i nostri geni?
Come per tutte le cose serve esperienza, a partire dall’Oms che ha detto che ci volevano diciotto mesi per avere un vaccino. Anche per campagne vaccinali precedenti, non è mai successo che un prodotto fosse immesso in commercio dopo pochi mesi. Il vaccino potenzialmente potrebbe essere efficace, ma potrebbe non essere sicuro.

Da questo punto di vista la preoccupano i decessi sospetti e le reazioni avverse che si stanno verificando e che sono stati enucleati in molti report? Si parla già di oltre ottomila danneggiati nella sola Italia.
L’Italia per numero di danneggiati è al primo posto in Europa. Le altre Nazioni, Germania, Inghilterra, Spagna in particolare hanno un minor numero di casi. Anche negli Stati Uniti, dove sono stati prodotti questi vaccini a RNA messaggero, ci sono stati dei problemi. Sono state descritte varie situazioni: dall’anafilassi, una risposta allergica forte, alle paralisi facciali. Nei soggetti fragili, inoltre, si è riscontrato l’aumento delle patologie sussistenti.

Considerando questi dati, non è pericoloso continuare con la somministrazione di massa? Non è dannoso pensare a meccanismi come il Green Pass o il Covid Pass che possono potenzialmente moltiplicare i danni?
Certo, i danni potenzialmente possono moltiplicarsi. Chi adotta queste misure lo fa senza avere un’esperienza e senza avere una proiezione. Poi, non puoi tornare indietro nel momento in cui danneggia la gente. Non so se rendo l’idea.

Appunto. Da esperto: qual è il suo consiglio pratico per indirizzare chi ora si trova ai vertici decisionali?
Ci sono altri vaccini che utilizzano un virus attenuato o un virus disattivato che evita l’insorgere di patologie e permette comunque al corpo di produrre gli anticorpi. Una cosa classica, diversa dal vaccino che ha scombinato tutto il panorama, che è quello a mRNA. Esistono controindicazioni dimostrabili a livello scientifico, e la somministrazione fino a questo momento era stata limitata a prove per virus come Zika. La FDA che ha dato il nullaosta è riuscita a far passare dei motivi di emergenza. Ha parlato del 90-95% di efficacia, ma poi chi ha fatto i conti in tasca all’organismo è stato il professore Peter Doshi, esperto del Maryland che ha pubblicato sul British Journal of Medicine un editoriale. In pratica, se si esamina quello che è stato realmente presentato per avere l’approvazione, dunque tutti i soggetti coinvolti e il modo in cui erano stati controllati dopo la somministrazione, l’efficacia scende al 19-29%. Questo già pone un punto interrogativo.


Si parla tanto di vaccini, di quello americano, cinese, russo, ma spesso ci si dimentica di un’ovvietà: non è detto che una persona abbia tutta questa necessità di vaccinarsi.
Lei dice bene perché dobbiamo considerare che tutto sommato, tenendo presenti anche i dati cinesi dell’inizio, l’81% delle situazioni è caratterizzato da un banale raffreddore febbrile. Solo in alcuni casi si parla di una fase critica della malattia. Come per tutte le malattie, prima si interviene e meglio è, e questo purtroppo non è stato fatto.


Quindi non serve chiudere l’Italia e non serve mettere in campo determinate misure perché si tratta di un virus simile all’influenza, se preso in tempo?
Certo, ma tenga presente che è una cosa importante. Anche l’influenza può provocare delle encefaliti o altre patologie di organo. Questo virus può anche provocare alterazioni a livello vascolare, quelle che erano sfuggite inizialmente non facendo le autopsie. E’ stato inutile dare ossigeno o intubare questi soggetti: bisognava dare l’eparina. Con il cortisone, un anti-infiammatorio, si sarebbe poi evitata la tempesta dei mediatori linfocitari che sono quelli che intervengono nelle infiammazioni pesanti. Questo meccanismo non si verifica nei bambini, che non hanno una risposta alterata come quella dell’anziano.

Quindi per i bambini non dovrebbero preoccupare neppure le varianti che secondo alcuni dovrebbero impedire il ritorno a scuola?
Assolutamente, né le varianti né altro, perché i bambini sani non hanno alcun problema.

Oltre ai vaccini, è già partita la corsa agli anticorpi monoclonali. Cosa sono?
Tenga presente che l’anticorpo monoclonale era stato preparato per la prima SARS, però non era stato utilizzato perché l’epidemia era finita troppo presto, in sei mesi. L’anticorpo monoclonale si fa in culture di tessuto con la particella virale e poi si utilizzano questi anticorpi per la somministrazione. Per la SARS fu fatto utilizzando il furetto e poi i dati sono stati pubblicati nel 2004. Successivamente c’è stato bisogno di ricorrere agli anticorpi monoclonali e alla sieroterapia soprattutto per la MERS, la sindrome respiratoria del Medio Oriente, che aveva una letalità del 36%. L’istituto Pasteur ha dimostrato l’efficacia di questi anticorpi monoclonali, che avevano permesso la cura dei soggetti guariti. Si tratta in ogni caso di malattie che una volta che sono state inquadrate e diagnosticate, si possono curare.

Quindi non c’è bisogno di fare allarmismi: i soggetti sani reagiscono alle cure o sono protetti dal loro sistema immunitario.
Esatto, e quando si parla di anticorpi monoclonali si parla di cure. Finalmente sono stati prodotti. La prima fase dell’epidemia, che è stata quella controllata dai cinesi, è stata gestita con la sieroterapia, che è la cosa migliore. Negli Stati Uniti la sieroterapia è stata utilizzata come profilassi per gli operatori sanitari che potevano entrare in contatto con potenziali pazienti contagiosi. Anche gli anticorpi monoclonali sono legati, come i vaccini, alle varianti. C’è la possibilità che l’anticorpo monoclonale non funzioni con una determinata variante, perché magari è stato concepito per una variante precedente.

Accetterebbe un ipotetico incarico all’interno del Cts? Nessuno l’ha mai interpellata. Purtroppo, diremmo.
Beh, effettivamente io sono intervenuto nel ’73 nell’epidemia di Colera che si è verificata a Napoli. La cosa che mi dà più soddisfazione è però l’aver salvato i bambini di Napoli, nel ’79, isolando il virus sinciziale. Il male “oscuro” in questione era la bronchiolite. Ho scoperto la possibilità di intervenire a livello pediatrico: anche in quel caso i malati venivano mandati direttamente in rianimazione o intubati, con un peggioramento della situazione. Quando si è manifestato l’AIDS, sono stato tra i primi ad elaborare una metodica: si poteva così effettuare una diagnosi, prima del famoso e più gettonato test “Elisa”. I soggetti potevano essere trattati con il plasma, si poteva salvare e prolungare la loro vita. Da allora all’arrivo dei farmaci salvavita, nel ’97, passarono 14 anni. In tempi recenti per l’influenza aviaria e suina il Cotugno era al primo posto per numero di pazienti, perché venivano diagnosticati e curati subito.

Giulio Tarro insieme ad Albert Sabin | Rec News dir. Zaira Bartucca
Il Professore Giulio Tarro insieme ad Albert Sabin

Il suo è un curriculum invidiabile, non so lo è altrettanto quello di alcuni che sono sovraesposti mediaticamente. Possiamo dirlo tranquillamente.
E’ la realtà delle cose.

Allora noi ne approfittiamo per ottenere un consiglio per chi ci legge: come si può potenziare e migliorare il sistema immunitario – il migliore difensore dell’organismo – per essere più forti di fronte a possibili minacce esterne e per diventare più tranquilli di fronte al clima allarmista?
Lei ha ragione, anche i cinesi lo scorso anno quando sono venuti in Italia con una loro delegazione hanno parlato del sistema immunitario e dell’assunzione di vitamina C. Non in milligrammi, ma in grammi. C’è poi l’importanza della Vitamina D, che è stata anche studiata in Piemonte per la sua efficacia in termini di prevenzione. Poi c’è la lattoferrina, sono tutte sostanze che vanno in aiuto del sistema immunitario.

Dunque anche frutta, verdura e latte. L’anno scorso durante la nostra prima intervista ha consigliato anche l’attività fisica: uscire, correre, camminare, evitando di stare chiusi in casa isolandosi fisicamente e mentalmente e distruggendosi da soli la salute. L’aria aperta è una medicina, ci aveva detto.
Assolutamente si! Il virus non sta bene ai raggi ultravioletti del sole, che lo distrugge in pochi minuti. Al contatto col vento, con la brezza marina nelle giornate soleggiate, dove vuole che ci sia il virus?

Rec News dir. Zaira Bartucca – recnews.it

Direttore e Founder di Rec News, Giornalista. Inizia a scrivere nel 2010 per la versione cartacea dell'attuale Quotidiano del Sud. Presso la testata ottiene l'abilitazione per iscriversi all'Albo nazionale dei giornalisti, che avviene nel 2013. Dal 2015 è giornalista praticante. Ha firmato diverse inchieste per quotidiani, siti e settimanali sulla sanità calabrese, sulle ambiguità dell'Ordine dei giornalisti, sul sistema Riace, sui rapporti tra imprenditoria e Vaticano, sulle malattie professionali e sulle correlazioni tra determinati fattori ambientali e l'incidenza di particolari patologie. Più di recente, sull'affare Coronavirus e su "Milano come Bibbiano". Tra gli intervistati Gunter Pauli, Vittorio Sgarbi, Armando Siri, Gianmarco Centinaio, Michela Marzano, Antonello Caporale, Vito Crimi, Daniela Santanché. Premio Comunical 2014. Autrice de "I padroni di Riace - Storie di un sistema che ha messo in crisi le casse dello Stato". Sito: www.zairabartucca.it

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ARTE & CULTURA

Cucinotta a Rec News: “Il mio Sud nel nuovo film da protagonista” (Video e Gallery)

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Maria Grazia Cucinotta a Rec News: "Vi racconto il mio Sud nel nuovo film da protagonista" (Gallery) - Gli agnelli possono pascolare in pace anteprima
Foto ©Denys Shevchenko/REC NEWS

Maria Grazia Cucinotta è la protagonista del nuovo film di Beppe Cino “Gli agnelli possono pascolare in pace”, presentato ieri in anteprima a Roma al Cinema Caravaggio e nelle sale dall’11 aprile. Nella pellicola ambientata in Puglia è Alfonsina, donna ingenua con abitudini singolari che a un certo punto viene colta da sogni rivelatori.

Bidella in pensione devota al culto dei cari defunti e lontana dal fratello, sarà un inaspettato incontro con il Sacro a mettere ordine in tutti quegli aspetti della sua vita rimasti in ombra, e a svelare i legami e i segreti che animano il borgo pugliese dove abita. Abbiamo intervistato Maria Grazia Cucinotta a margine della proiezione dell’anteprima romana.

Quanto c’è di lei nel film “Gli agnelli possono pascolare in pace?

Di sicuro il Sud. Il Sud mi appartiene e di conseguenza c’è molto di questo suo modo di essere. Attaccata alla terra, attaccata agli affetti, attaccata alla verità. E’ anche un personaggio molto distante. E’ una bidella che ama Pasolini e sembra uscita un po’ fuori da una favola. Anche il mondo che la circonda sembra essere uscito fuori da un piccolo metaverso che si muove in un mondo moderno.

Il film ha un messaggio particolare?

Ce ne sono tanti di messaggi, tra l’altro attualissimi. Tutte le guerre sono dettate dai confini e dal potere e un po’ questo film parla proprio di questo e al fatto che tutti i confini e tutti i pregiudizi portano alla fine alla rabbia e alla non accettazione. E’ un messaggio molto importante. Tra le risate e queste visioni c’è una grande verità.

Progetti futuri che può anticiparci?

Questo film è in uscita quindi aspettiamo di vedere come va. L’11 uscirà in tutta Italia e speriamo che la gente torni al cinema.

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INTERVISTE

Reati contro i minori, intervista al ministro della Famiglia Eugenia Roccella (Video)

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Reati contro i minori, intervista al ministro della Famiglia Eugenia Roccella (Video) | Rec News dir. Zaira Bartucca
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INTERVISTE

Ddl Nordio, Caporale: «Non libera la magistratura dai suoi mali, ma colpisce la Giustizia giusta»

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Riforma Nordio, Caporale: "Non libera la magistratura dai suoi mali ma colpisce la Giustizia giusta" | Rec News dir. Zaira Bartucca

Il Ddl Nordio è forse l’eredità più consistente lasciata da Silvio Berlusconi. E’ infatti figlio di un modo preciso di intendere la Giustizia, le leggi, la magistratura. Per alcuni rappresenta l’ennesimo colpo inferto alla libertà di espressione, all’autonomia dei magistrati e allo stesso cittadino, che potrebbe essere maggiormente esposto a determinate fattispecie di reato che potrebbero essere depenalizzate. Ne abbiamo parlato con il giornalista Antonello Caporale.

Il giornalista Antonello Caporale

È davvero necessario abolire l’abuso di ufficio per tutelare quei sindaci che, a sentire la maggioranza, hanno le “mani legate”?

Io penso che la riforma viva di un bisogno ideologico. Anziché definire ulteriormente un reato che, è vero, è molto vago, lo hanno tolto di mezzo. Così facendo hanno mostrato il loro intento, che è quello di sminuire ulteriormente la magistratura.

Nordio è un ex magistrato.

Ma è come quei tabagisti che fumano, smettono poi finiscono con l’odiare le sigarette. Nordio è un magistrato ma odia i magistrati, ha utilizzato in modo massiccio le intercettazioni e da ministro le ha tagliate. Si è sempre proposto come l’alfiere della magistratura di destra ma dice che i magistrati fanno politica. La sua sembra una vita capovolta. C’è un’idea di fondo ideologica prima ancora che giudiziaria. E’ la stessa cosa che ho visto con la dichiarazione del lutto nazionale, che come sai viene dichiarata dal governo utilizzando la sua discrezionalità. In genere si fa per i martiri della mafia, ma in questo caso hanno voluto elevare la figura di Berlusconi.

Farà la fine di Craxi, un altro personaggio controverso che con il passare degli anni è diventato un’eroe nazionale. Si può dire che la Riforma Nordio sia un po’ l’ultimo lascito di Berlusconi, cioè la manifestazione ultima di un certo modo di intendere la Giustizia?

Possiamo anche dire per principio che i reati, la criminalità non esistono, ma restano comunque. Possiamo decretare sconfitta la mafia e la ‘ndrangheta, ma il pizzo c’è. Sono azioni temerarie, protervie e ingenue.

Prima hai parlato di intercettazioni. Secondo i detrattori del disegno di legge calerà una scure ulteriore sulla possibilità di informare liberamente.

Non sappiamo ancora cosa resterà e cosa verrà buttato della Riforma, che probabilmente sarà fatta a pezzi dalla Corte Costituzionale. Ma già con il solo fatto di aver annunciato una stretta sulla intercettazioni sono stati lanciati due messaggi. Uno alla magistratura, a cui in pratica è stato detto mettetevi in fila e capite che il vento è cambiato, e uno all’informazione, a cui si tenta di dire attenzione, perché non puoi più osare come prima. La magistratura, comunque, non è esente da mali. Con la riforma non si sta liberando la magistratura del proprio conformismo, delle proprie convenienze e del fatto che ci sono magistrati che non lavorano e non sono equi, ma si sta riducendo l’ampiezza della libertà dei magistrati. Avranno più margine quelli più convenzionali e collusi, meno quelli coraggiosi che hanno voglia di fare. Se ci fai caso si parla sempre di magistrati di destra e di sinistra, ma mai di chi lavora bene e di chi lavora male.

Erano forse più questi gli aspetti da riformare.

Appunto, invece si sceglie di trascurarli. Nessuno si domanda perché uno ha fatto cinque processi e un altro 55, oppure perché con l’aumentare dell’organico delle Forze dell’Ordine non si riducono i reati. Dovremmo essere più sicuri, e invece? Immagino che non sia un lavoro certosino, organico, sistemico, ma che sia un lavoro occasionale. Faccio quello che lavora, fingo per la televisione e poi chi si è visto si è visto. Arresto chi so già che non può stare dentro, indago persone su cui non ho nulla. Ci sono poi le querele temerarie, come quelle che sono capitate a me e ad altri giornalisti, che sono azioni di parassitismo giudiziario che diventano lecite, invece non lo sono affatto. La lotta però non è contro questi mali, ma contro la Giustizia giusta.

Dal punto di vista politico pensi che la Riforma possa essere in qualche modo divisiva oppure c’è un’intesa che va al di là degli schieramenti politici?

C’è sicuramente intesa, altrimenti il codice penale non sarebbe così cavilloso. Le leggi le fa il Parlamento e c’è interesse a rendere i processi pieni di cavilli, possibilità e subordinate. La politica teme la magistratura, a volte perché esagera a volte perché è un potere che controlla.

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Il racconto della figlia del 72enne di Guardia Piemontese deceduto dopo ore di odissea

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Il racconto della figlia del 72enne di Guardia Piemontese deceduto per un caso di malasanità | Rec News dir. Zaira Bartucca

Antonio Caroccia era un 72enne di Guardia Piemontese, un paesino in provincia di Cosenza, in Calabria. Riferiscono i familiari, assumeva dei farmaci ma godeva di buona salute, era attivo e non era affetto da nessuna patologia. Il 5 marzo dello scorso anno avverte un dolore all’altezza dei reni. E’ tardo pomeriggio, Antonio è vigile, cosciente, i familiari sono preoccupati ma nessuno si immagina quello che sarebbe successo da lì alle ore successive, con una diagnosi iniziale sbagliata, “circa due ore e mezzo di attesa presso il pronto soccorso della clinica Tirrenia Hospital” – racconta una componente della famiglia – assenza di ambulanze, posti letto per ottenere i quali è necessario fare opere di convincimento, esami mai giunti a destinazione. Che sarebbe successo se i medici non avessero erroneamente diagnosticato un infarto e se il signor Antonio fosse giunto subito nel reparto di Chirurgia? Secondo i familiari, il decesso forse poteva essere evitato. Una delle due figlie, Valentina, ci ha spiegato le motivazioni alla base di questo convincimento.

Lei sta portando avanti una battaglia per il riconoscimento di un caso di malasanità che potrebbe aver causato il decesso di suo padre. Ha avuto risposte dalle Istituzioni?

Il 28 marzo ho inviato una PEC al ministero della Salute, alla Procura della Repubblica presso il tribunale di Paola e Cosenza e al presidente della Regione Calabria in qualità di commissario ad acta della Sanità. Il ministero mi ha risposto l’11 aprile chiedendo alla Regione di relazionare sull’accaduto e domandando di mettermi a conoscenza degli esiti. La Regione ha scritto all’Asp di Cosenza limitandosi di fatto a fare da tramite, senza esprimersi sull’accaduto. Mi ha risposto allegando semplicemente i documenti ricevuti dall’Asp stessi, per giunta incompleti. Il tutto dopo circa tre mesi, durante i quali ho fatto numerosissimi solleciti telefonici e via mail.

Dal decesso di suo padre in poi è stata costretta ad appellarsi continuamente, oltre che alle istituzioni, alle strutture sanitarie coinvolte. Ha trovato disponibilità o chiusura?

Sostanzialmente dopo aver fatto più solleciti con le istituzioni ho trovato qualche forma di apertura. Il resto è stato un po’ sorprendente, anche per quello che riguarda le risposte del direttore della centrale operativa. Mi è capitato di fare presente il comportamento di un infermiere che con mio padre era stato sgarbato e poco professionale, ma la mia versione è stata messa in dubbio.

Sta dicendo che ha denunciato il comportamento di un infermiere e l’ospedale interessato non ne ha voluto saperne di più? Non è stata avviata nessuna indagine interna per comprendere se si era in presenza di una negligenza o di un disservizio?

No, assolutamente no. Anzi ho avuto l’impressione contraria, cioè che facessero da scudo a chi era intervenuto quella sera. Mi sono anzi sentita dire dal direttore della centrale operativa del 118 le testuali parole: “posto che ciò corrisponda a verità, come fa notare la scrivente signora Valentina Caroccia, rientra nei comportamenti personali del singolo, sicuramente censurabili, ma non perseguibili”.

Della vicenda che ha raccontato a Rec News ha fatto molta impressione l’atteggiamento di parte del personale sanitario coinvolto.

Abbiamo provato tanta rabbia, tanta tristezza e tanto dolore. Quando i sanitari sono venuti a casa per soccorrere mio padre non riuscivano a trovargli la vena e sgarbatamente gli davano dei comandi del tipo “Metti il braccio così”, strattonandolo. L’hanno poi portato giù sulla sedia a rotelle a petto nudo, faceva pure freddo perché era quasi sera. E’ stata mia madre a coprirlo. Alla Clinica Tirrenia Hospital doveva essere ricoverato, come testimoniano gli audio, su indicazione del medico del 118 intervenuto e del cardiologo dell’UTIC di Paola (la terapia intensiva cardiologica, nda), ma arrivati lì non volevano ricoverarlo, non ho capito per quale ragione. Il medico del 118 si è rivolto a mia madre e a mio zio dicendo: “Dovete insistere per fare uscire il posto”.

“Insistere per fare uscire il posto” è una frase strana.

Alla fine comunque è stato accettato presso il pronto soccorso della Tirrenia Hospital, ma quando i sanitari della stessa hanno ritenuto di dover trasferire mio padre presso l’ospedale Annunziata di Cosenza la clinica non era in possesso di alcuna ambulanza. Ho scavato per capire le motivazioni e chiesto spiegazioni, ma la clinica in tutta risposta mi ha scritto tramite legale facendo finta di non sapere che ero una parente diretta. Ho parlato anche con il vicedirettore della clinica Tirrenia Hospital perché in tutto questo è stato anche smarrito un esame che si chiama emogasanalisi che la clinica sostiene di aver effettuato e di aver consegnato all’ambulanza di Amantea che ha trasportato papà in un secondo momento. Sta di fatto che di quest’esame non c’è traccia.

Non si trova un esame di marzo del 2022?

Non si trova. Il vicedirettore sostiene che sia stato consegnato ma le cose sono tre: o non è stato effettuato, o è stato fatto e non è stato consegnato o è stato consegnato ed è stato smarrito. Al vicedirettore ho anche domandato come mai l’ambulanza non fosse disponibile e lui ha risposto che ne hanno solo una e che era impegnata per il trasferimento di un paziente leucemico a Reggio Calabria. Pensare che la Tricarico è l’unica clinica della costa tirrenica cosentina ad avere l’emodinamica. Mio padre del resto non doveva neppure essere lì, perché la diagnosi inziale di infarto si è poi rivelata sbagliata.

Negli audio vagliati da Rec News si sentono anche i sanitari che rispondono flemmatici e le attese lunghe intervallate dalla Primavera di Vivaldi…

Infatti si nota subito l’incapacità di comunicare e gestire l’urgenza. Si passano il telefono di persona in persona. Mancavano mezzi, preparazione e c’era pure chi rispondeva scocciato alla richiesta di intervento.

Suo padre è deceduto dopo un’Odissea durata ore e ore.

Era un codice rosso. Avrebbero dovuto mobilitarsi subito, non avere quell’atteggiamento rilassato passandosi il telefono di persona in persona.

C’è stato anche quel problema “di connessione” che ha impedito a un esame di arrivare a destinazione.

Quando si fa l’ECG a casa, a esito ottenuto c’è il consulto tra il medico che è sul posto, del medico che è in centrale operativa e del medico di turno all’UTIC di competenza, in questo caso l’UTIC di Paola. Però alla centrale operativa del 118 l’esame non è mai arrivato per mancanza di linea. E’ arrivato però, come documentano gli atti, all’UTIC di Paola, quindi gli unici due che hanno avuto modo di confrontarsi sono stati il medico del 118 che è venuto qua a casa e il cardiologo. Il medico non è stato assolutamente in grado di gestire la situazione. Mio padre era a casa lucido e cosciente, avvertiva un dolore all’altezza dei reni ma gli è stato diagnosticato un infarto. Quando è stato trasportato sulla seconda ambulanza già non rispondeva e secondo i referti aveva già i valori sballati. Dopo ore di attesa, due ore circa delle quali presso la Tirrenia Hospital, è deceduto.

Mi diceva che in un referto clinico anziché scrivere “sottorenale” hanno scritto “soprarenale”. Sono questioni di lana caprina oppure ha senso porsi delle domande?

Sì, ha senso porsi il quesito e stiamo seguendo anche tutta la parte medica per comprendere meglio come si sono svolti i fatti. Sappiamo che è arrivato in Chirurgia all’Annunziata in condizioni già critiche e che i medici hanno innestato le protesi. L’operazione è durata circa due ore e mezzo e da come si legge dalla cartella clinica ci sono stati due arresti cardiaci, uno dei quali ripreso con il defibrillatore. Hanno provato a recuperarlo, ma all’una e trenta di notte è stato constatato il decesso.

Nel caso di suo padre la diagnostica appare mancante o errata.

Sì, non gli è stata fatta la TAC a contrasto che avrebbe dovuto evidenziare le rotture subentrate che inizialmente non c’erano, e poi gli è stato diagnosticato, sbagliando, un infarto. Mio padre aveva bisogno di essere trasferito immediatamente, e sottolineo immediatamente, presso la struttura dove è stato operato, invece è stato perso inutilmente tanto tempo e non c’erano neppure i mezzi per effettuare il trasporto.

La prima diagnosi di suo padre è avvenuta tramite telemedicina, però il referto non è mai giunto a destinazione per un problema di connessione. Il timore è che determinate procedure macchinose che coinvolgono tanto personale sanitario e tante unità distanti tra loro, possano mettere in pericolo il paziente. Se si spezza un anello della catena, i rischi possono superare i vantaggi.

Ma se alla fine mi sono sentita dire “Ritieniti fortunata che quella sera c’era il medico con l’ambulanza”, perché la prima ambulanza è venuta 5 minuti dopo la chiamata, ma solo perché stava facendo rifornimento lì vicino. Mi sono vergognata per loro a sentire frasi del genere. Per riuscire a fare gli accessi agli atti che riguardano il decesso di mio padre mi sono trovata di fronte a telefoni sbattuti in faccia. Se scegli di fare il medico devi avere una vocazione, una passione, ma se poi non hai professionalità e sei perfino disumano, è meglio che cambi mestiere. Ora non c’è solo il dolore, ma anche la rabbia.

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