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“Le ossessioni della figlia di Kubrick: No Vax, complottista e antisemita”: è intitolata così un’invettiva che mi è stata segnalata dallo stesso bersaglio del discorrere, che il caso vuole sia anche una mia conoscenza. Ho deciso (autonomamente) di spendere qualche parole sull’argomento, nella convinzione che non si possa assistere in silenzio a un qualcosa che reputo – conoscendo Vivian – come inqualificabile e irricevibile. Anzitutto: “le ossessioni”. Quando ci si svena a favore dell’aborto, di chi attacca la famiglia naturale, delle mascherine, della farsa del virus, e ovviamente quando si fanno mille salamelecchi a favore dei democratici locali e d’oltralpe, si tratta di opinioni o di cronaca. Quando si esercita il proprio senso critico e ci si discosta anche di una virgola dalla narrazione dominante, si parla di “ossessioni”.

Ci si trasforma in una “paranoica”, “suprematista” e “negazionista” che però (e qui sta il problema) su Twitter ha un seguito di oltre 20mila persone. Almeno sette volte tanto rispetto al seguito dell’autore dell’invettiva. E qui forse si nota una puntina di invidia verso una donna che – pur non essendo del settore – dimostra acume e senso critico nel trattare notizie che altri, in maniera fin troppo semplicistica, prenderebbero come veline su cui accomodarsi senza uno straccio di analisi. Senza porsi domande e senza andare oltre la lettura di comodo passata da chi è gerarchicamente più in alto. Anche qui non si è andati oltre il “ritratto ufficiale”, che purtroppo nel tempo si è arricchito di speculazioni infondate e di bugie.

Vivian, come me, è vittima di campagne diffamatorie che nell’articolo sono riprese nella loro interezza, senza alcuna verifica. Sono parole proferite con troppa leggerezza, come se il destinatario fosse immateriale: invece esiste, e ha una reputazione da difendere. E’ questo l’intento: sporcare la reputazione di chi osa dissentire. E’ questo che fanno abitualmente i gerarchi del mainstream: buttare palle di fango in pozzi puliti, per poi prendere l’acqua sporca e imbottigliarla. C’è possibilità di piazzare bottiglie di acqua putrida sul mercato? Come no: ci si abbevera tutto il pubblico generalista, quello che non va al di là dei tg o dei titoli dei quotidiani di massa. Non è colpa della persone, ma di chi si trova in posizioni apicali e di chi agisce su commissione, in alcuni casi debitamente retribuito per un’opera di mistificazione che vale da straordinario. Qui non c’è stata neppure la volontà di metterci qualche elemento proprio: tutto è ricalcato da un articolo del Daily Beast, che Vivian ha commentato sui suoi social. La sua versione dei fatti, tuttavia, non è stata riportata.

Un piccolo retroscena. La mia strada e quella di Vivian si sono incontrate lo scorso anno, del tutto casualmente: da allora ci scriviamo con cadenza piuttosto regolare. A volte ci ritroviamo a fare lunghi botta e risposta: apprezzo molto la sua franchezza e la sua onestà intellettuale. In lei ho trovato una persona amichevole, equilibrata, coraggiosa, leale, brillante, perfino ironica. Soprattutto, umana. Mi sono sentita subito in sintonia con lei, perché credo che una cosa su tutte ci accomuni: la ricerca costante della verità. Nessuno ce l’ha in tasca, men che meno chi imbratta i siti di massa, spesso senza conoscere i tratti essenziali di quello che presenta. Nel caso di Vivian il fiasco è sonoro e, nonostante questo, già ripreso da almeno due siti che agiscono con altrettanta leggerezza. Non voglio pensare che esista una regia orchestrata, ma per esperienza personale so che l’idea di fondo è quella della valanga. Salirà, anziché scendere, come se sul pianeta “complottisti” non esistesse la forza di gravità.

Su Vivian posso dire che è una persona che difende strenuamente la vita, sottraendo tempo ad altri impegni. Rimane legata al suo lavoro di produttrice, e qualche volta ha manifestato la volontà di allontanarsi dai social. La sua voglia di far conoscere e di divulgare è però tale da non permetterle di mantenere questo proposito. Per fortuna. Ora più che mai dico che deve continuare: contro i cerotti, contro la censura, contro le invettive gratuite e le bugie. Sì, le bugie. Vivian lotta per i bambini, per la famiglia, per le nascite, per la libertà di scelta in materia sanitaria, e per i diritti fondamentali di ognuno: questo è in grado di capirlo chiunque si avvicini ai suoi post e a quello che scrive. Ancora di più lo capisce chi ha la fortuna di confrontarsi personalmente con lei.

Vivian si permette di criticare chi ormai è diventato intoccabile, e magari foraggia l’attività di certa stampa allineata: Bill Gates, George Soros, i democratici d’oltralpe. E’ anzitutto “colpevole” di dire quello che pensa: ormai la libertà di espressione è assimilabile a un delitto, ma solo se è discordante dalla narrazione dominante. Non è un “personaggio al limite”, come magari andrebbe definito chi grida contro l’odio e poi confeziona articoli che sono un’amalgama di hate speech, sessismo e intromissioni in vicende familiari e personali. Non è “antisemita”, o razzista, e non è indentificabile nel cumulo di stupidaggini che sono state scritte sul suo conto negli ultimi giorni. Sul suo rapporto con i trumpiani, Vivian ha sollecitato varie volte il 45esimo Presidente nel corso del suo mandato.

Lo ha fatto con appelli spesso accorati, appassionati, che non avevano un approccio politico né fanatico. Prima ancora che le bandiere, ho capito che a Vivian interessa una cosa: il miglioramento spirituale e sociale di ognuno. E così, come suo padre ha dato tanto al mondo del Cinema, lei sta dando tanto ad ognuno di noi con il suo lavoro costante, coerente ed orientato alla ricerca della verità. Per questo, comunque la si pensi bisogna dirle grazie, non attaccarla. Vivian ha smentito le voci che sono state scritte su di lei sui suoi social: è doveroso, per chi ha confezionato invettive a suo danno, dare conto anche del suo punto di vista.

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Dove seguire l’attività di Vivian Kubrick e dove interagire con lei?
Gab: @ViKu1111

Direttore e Founder di Rec News, Giornalista. Inizia a scrivere nel 2010 per la versione cartacea dell'attuale Quotidiano del Sud. Presso la testata ottiene l'abilitazione per iscriversi all'Albo nazionale dei giornalisti, che avviene nel 2013. Dal 2015 è giornalista praticante. Ha firmato diverse inchieste per quotidiani, siti e settimanali sulla sanità calabrese, sulle ambiguità dell'Ordine dei giornalisti, sul sistema Riace, sui rapporti tra imprenditoria e Vaticano, sulle malattie professionali e sulle correlazioni tra determinati fattori ambientali e l'incidenza di particolari patologie. Più di recente, sull'affare Coronavirus e su "Milano come Bibbiano". Tra gli intervistati Gunter Pauli, Vittorio Sgarbi, Armando Siri, Gianmarco Centinaio, Michela Marzano, Antonello Caporale, Vito Crimi, Daniela Santanché. Premio Comunical 2014. Autrice de "I padroni di Riace - Storie di un sistema che ha messo in crisi le casse dello Stato". Sito: www.zairabartucca.it

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OPINIONI

“I poveri mangiano meglio dei ricchi”. Sia data a Lollobrigida la possibilità di provare i benefici dell’indigenza

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"I poveri mangiano meglio dei ricchi". Sia data a Lollobrigida la possibilità di provare i benefici dell'indigenza | Rec News

“In Italia abbiamo un’educazione alimentare interclassista: spesso i poveri mangiano meglio, perché comprano dal produttore e a basso costo prodotti di qualità”. Lollobrigida lo ha detto davvero e, del resto, eravamo già a conoscenza delle qualità del ministro-cognato. E’ davvero una fortuna, non c’è che dire, fare parte della singolare èlite a cui si riferisce il ministro delle Politiche agricole, che è stata fotografata dall’Istat in maniera impietosa.

In Italia quindi a sentire il nipote della compianta Gina Lollobrigida esistono milioni di privilegiati che possono comprare le carote direttamente dai contadini, e che – contemporaneamente – hanno la fortuna di mandare i figli a scuola senza colazione, perché non possono permettersela. Che non hanno un lavoro, fanno fatica ad arrivare alla fine del mese e, ormai, devono scegliere tra il pagare la benzina e le bollette e tra il mettere il piatto in tavola.

Per questo c’è da dire grazie anche al governo di cui fa parte il ministro Lollobrigida che, al pari di quelli che li hanno preceduti, non ha la volontà o le competenze per portare l’Italia al di fuori del limbo economico a cui l’ha condannata l’Unione europea. Ma vuoi mettere, in ogni caso e pur nelle ristrettezze, il vantaggi di avere il contadino sempre lì, quasi onnipresente, che ti spaccia il poco che puoi permetterti a prezzi contenuti con un’attenzione particolare ai nutrienti presenti nella dieta mediterranea?

Sono lussi che Lollobrigida – adottato dalla politica fin da ragazzo – dovrebbe provare almeno una volta nella vita. Come accade in alcuni film, dovrebbe scambiare un mese della sua esistenza con qualcuno preso a caso dal Paese reale. Lasciargli il posto di frequentatore di ristoranti gestiti da chef stellati e catapultarsi all’interno di una famiglia come tante, a mangiare i piatti poveri della cucina italiana per l’occasione elogiati da Vissani. Che saranno gustosi e nutrienti e piacevoli da mangiare, ma quando si è liberi di farlo. Quando, cioè, non rappresentano l’unica possibilità.

Chissà che non ci si possa giovare dello scambio di identità e non si possa avere un ministro dell’Agricoltura – anche se per un periodo limitato – che sa di cosa parla e che si occupi dei veri problemi che il suo dicastero dovrebbe risolvere.

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OPINIONI

Che orrore parlare di maternità “solidale” e “commerciale”

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Che orrore parlare di maternità "solidale" e "commerciale" | Rec News dir. Zaira Bartucca

La si chiami GPA – gravidanza o gestazione per altri – maternità surrogata o utero in affitto, il risultato non cambia. Si tratta di una pratica grazie al Cielo illegale in Italia, che in altri Paesi – purtroppo – si continua a praticare. Portando con sé il suo strascico di sofferenze: quelle di una donna trattata come un’oggetto o come incubatrice, indigente e costretta dalle vicissitudini della vita a dare alla luce un figlio o una figlia che non potrà crescere e da cui dovrà separarsi.

Oppure le sofferenze riconducibili all’applicazione di questa pratica barbara, che spesso avviene in cliniche degli orrori di cui ci siamo già occupati. Ancora, le sofferenze a cui incorrono i nati da GPA, impossibilitati come sono a sapere chi sia la loro vera madre e, dunque, condannati ad avere un’identità a metà.

Un quadro ancor più desolante se si pensa che tutto ciò avviene in tempi in cui della condizione della donna si fa una bandiera, per poi tralasciare deliberatamente episodi di sfruttamento come questi. Non solo. C’è chi addirittura ci tiene a operare i doverosi distinguo, parlando di GPA “solidale” e “commerciale”. L’articolano in questi termini ormai tutti i media mainstream, le associazioni e anche alcuni partiti, facendo un po’ il verso alla legislazione britannica che da tempo permette la surroga “altruistica”, con tanto di “rimborsi” e compensi ammessi.

Questo per rispondere al tentativo – promosso da Fratelli d’Italia – di rendere l’utero in affitto reato universale. E’ di ieri la notizia del primo via libera della Camera alla proposta di legge della deputata Carolina Varchi. A guardarla di fretta ce ne sarebbe abbastanza per esultare. Ma prima di farlo bisognerebbe domandarsi cosa rimarrà, alla fine di tutto l’iter, di questa proposta di legge.

Ci si deve anzitutto augurare che non sia l’ennesimo cavallo di Troia per trasformare quello che oggi è un reato in una pratica da sfaldare, un domani, con una modifica dopo l’altra alla legge che sarà, oppure con la solita serie di sentenze strumentali che spesso si antepongono alle stesse leggi.

E’ forse in questo contesto che va inserito un dibattito preparatorio e una propaganda che cerca costantemente di avvicinare e rendere familiari determinati argomenti. Senza, si badi bene, mai demolirli, criticarli e chiamarli con i giusti termini, che sono quelli che non ammettono sfumature di sorta.

In questo intreccio sembrano muoversi, con gli stessi identici fini, sia i cerchiobottisti che quelli che danno platealmente all’utero in affitto una connotazione solidale e, dunque, in fin dei conti accettabile e positiva.

La GPA rimane comunque commerciale anche quando è altruistica (perché comunque prevede un pagamento e, letteralmente, la vendita del malcapitato bambino) ma per convenienza viene chiamata in un altro modo, così da darle un valore etico e morale che venga accettato dai più distratti. Che, spesso, non sanno nemmeno cosa si celi dietro determinati acronimi o dietro gli slogan della politica.

Se fa orrore l’idea di arrivare a commercializzare anche la Vita che nasce? Ovviamente sì, o, almeno, alle persone normali o per intenderci umane dovrebbe farne. Eppure l’opera di sdoganamento continua imperterrita senza che nessuno batta ciglio, anzi a utilizzare questi termini spesso sono proprio quelli che dicono di battersi contro l’utero in affitto.

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OPINIONI

È morto Berlusconi, ma non il berlusconismo

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È morto Berlusconi, non il berlusconismo | Rec News dir. Zaira Bartucca
Immagine EPA/JACEK TURCZYK POLAND OUT

Berlusconi non lascia solo un impero finanziario e un partito in cerca di leader. Se il lascito morale è stato quasi nullo, tanto è stato quello pratico. All’ex fondatore di Forza Italia devono praticamente tutto uno stuolo di politici rampanti strategicamente posizionati (che già sgomitavano dalla fondazione del Popolo delle Libertà e oggi si trovano a essere ministri e sottosegretari) e volti noti del giornalismo mainstream.

Se, dunque, è morto Berlusconi, lo stesso non si può dire del berlusconismo. Una sorta di movimento parallelo – sia esso sincero o fieramente utilitaristico – in cui militano decine di attivisti, che oggi comunque potrebbe avere vita più difficile. Lo raccontano le ultime considerazioni del senatore Gianfranco Micciché, che già dà il partito per estinto, ma anche le tensioni che si rincorrono per le varie successioni.

Una delle foto di rito del IV governo Berlusconi. A sin. l’attuale premier Giorgia Meloni (allora ministro alla Gioventù), al centro l’attuale governatore del Veneto Luca Zaia e poco distante l’attuale ministro per gli Affari europei Raffaele Fitto. A sinistra, l’attuale presidente del Senato Ignazio La Russa

Piaccia o meno la sua figura, Berlusconi – uomo controverso che ha incarnato lo spirito italiano con i suoi pregi e difetti – ha rappresentato un pezzo di storia nazionale e internazionale. Uomo visionario e di sistema, il suo approccio ha avuto impatto sul mondo produttivo, sul mondo dell’informazione e sul costume. A conti fatti, sulla società stessa, (purtroppo) riscritta e riprogrammata dai codici della tv commerciale. E’ questo, forse, il lascito più pesante.

Se c’è, infatti, una cosa che dovrebbe estinguersi del berlusconismo, è l’idea malsana che tutto l’illecito può diventare lecito dopo il giusto trattamento, nonché quel fardello che continua a gravare sull’autonomia di certi giornalisti e comunicatori che non sanno o non vogliono scrollarsi di dosso quel piglio di referenza verso il padrone che li ha portati a occupare i posti che occupano, tralasciando questioni di capitale importanza come la libertà di stampa e i diritti di critica e di cronaca.

Non è, certo, questo, il tempo della critica o peggio dell’odio fine a sé stesso che sta eviscerando chi non riesce ad avere rispetto nemmeno davanti alla morte. Ma dovrà di certo venire il tempo dei bilanci, e se è vero che Berlusconi ha avuto impatto sulla storia dei partiti e dell’Italia – un Paese che ha tentato di plasmare e ridurre a sua immagine e somiglianza – lo è altrettanto che chi si interfaccia con il centrodestra merita di più di un esercito di Yes man che in queste ore ricordano i personaggi in cerca di autore di pirandelliana memoria.

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OPINIONI

Alluvione in Emilia, l’ipocrita circo mediatico per nascondere la verità

E’ un bilancio da guerra quello dell’ultima alluvione in Emilia Romagna. Un copione destinato a ripetersi ancora e ancora, una volta in questo pezzo d’Italia e una volta in quell’altro

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Alluvione in Emilia, l'ipocrita circo mediatico per nascondere la verità | Rec News dir. Zaira Bartucca

Quattordici morti e 36mila sfollati. Abitazioni, strutture, aziende, fabbriche e campi da coltivazione distrutti, con il fango che inghiotte tutto e porta con sé devastazione e precarietà. E’ un bilancio da guerra quello dell’ultima alluvione in Emilia Romagna. Un copione destinato a ripetersi ancora e ancora, una volta in questo pezzo d’Italia e una volta in quell’altro, perché i miliardi stanziati dai vari governi per mitigare gli effetti del dissesto idrogeologico – sia esso frutto di comportamenti umani irrispettosi o di eventi naturali – non vengono mai impiegati dove servono.

Costruzione di dighe di contenimento, pulizia degli argini di fiumi e torrenti, prevenzione dell’abusivismo e suoi rimedi: nonostante le iniezioni continue di denaro (tanto), è ormai abitudine consolidata trascurare tutto, perché tanto poi a danni fatti si mette in moto la solita macchina dell’emergenza. Dopo l’acqua iniziano a piovere i miliardi, inizia il “magna magna” di chi controlla il business della solidarietà e si fa a gara a chi è più bravo a dire la frase a effetto per sostenere le popolazioni colpite, a chi fa la donazione più cospicua o a chi si intesta il gesto più eclatante.

Tutto doveroso, sia chiaro, ma non saranno certo 900 euro a testa o la premier in stivali a riportare in vita quattordici persone, oppure a restituire ai romagnoli le attività andate distrutte, forse per sempre. Senza contare che il circo mediatico che si è attivato fin da subito è tuttora teso a nascondere quello che conta davvero: le responsabilità. Quelle che negli ultimi anni – stando ai dati pubblicati da Legambiente – hanno fatto registrare dal 2010 a oggi 510 eventi alluvionali (per contare solo quelli censiti), con i relativi danni a cose e persone.

Si poteva evitare tutto questo? Di chi è la colpa? Cosa è mancato e continua a mancare? Cosa non hanno fatto e cosa hanno sbagliato gli enti che negli anni hanno amministrato i territori colpiti? E ancora: come evitare che catastrofi del genere si verifichino di nuovo? Perché se le alluvioni in Italia sono diventate la “nuova normalità” – per rubare un’espressione usata in epoca covid – si deve pensare che esista una certa volontà o quantomeno una qualche tolleranza verso questi fenomeni assolutamente prevedibili ed evitabili. Si sa che prima o poi pioverà, e oggettivamente esistono modi anche sofisticati per verificare se il territorio è pronto a gestire eventi piovosi di una certa portata. Se non lo è, basta intervenire, senza aspettare nuovi danni.

Scomodare il cambiamento climatico o “la siccità che rende i terreni impermeabili” non basta più, sono scuse che non possono reggere a lungo e soprattutto non possono bastare a chi ha perso tutto, tanto più che se le alluvioni in Europa sono un costume nazionale prettamente italiano un motivo ci deve essere.

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