
Siri chiaro su Tso, vaccini e Dpcm: “Conte scherza col fuoco, c’è rischio di una insurrezione popolare”
Il senatore: “Non tollereremo nessuna ulteriore limitazione alle libertà. Siamo agli sgoccioli: l’occupazione ad oltranza del Parlamento e l’invito ai cittadini alla disobbedienza civile sono a un passo”
L’Annus horribilis che stiamo vivendo non è fatto solo di virus, ma di colpi bassi alla democrazia, invocazioni di Tso di massa, obblighi insensati. Abbiamo parlato di questo e di altro con il senatore della Lega Armando Siri.
Il tema dell’obbligatorietà vaccinale si è presentato con forza negli ultimi mesi. Qual è la posizione del suo partito?
Io sono un liberale, quindi per me si può parlare solo di libertà di scelta, a maggior ragione se si tratta di presidi medico-sanitari. Non ho nulla contro il vaccino, se qualcuno lo vuole fare ha diritto di farlo, però guai a imporre un trattamento sanitario. Conte si è lasciato sfuggire l’ipotesi di un TSO agli italiani per il vaccino, ma non si rende conto che scherza col fuoco. Siamo un popolo resiliente, non lobotomizzato. Anche Matteo Salvini su questo è stato chiarissimo: la Lega è contraria alla somministrazione obbligatoria del vaccino.
C’è sintonia su questo argomento con il resto della coalizione di centro-destra?
Su questo punto c’è ampia condivisione.
In questi giorni è partita la consegna per l’Italia delle dosi Pfizer-Biontech. Stando a quanto rendono noto le stesse aziende, la peculiarità di questo vaccino è la possibilità di modificare l’RNA. Chi si assumerà le responsabilità in caso di reazioni avverse?
La Gran Bretagna è il primo Paese d’Europa ad avere a disposizione il vaccino per i propri cittadini che lo chiedono, qui in Italia per ora se ne parla ma ancora non esiste un cronoprogramma per la distribuzione. Come già spiegato da medici, ricercatori e scienziati questo vaccino è definito a RNA Messaggero o mRNA e utilizza una tecnica genetica nuova a differenza dei vaccini tradizionali. Sull’efficacia terapeutica si è già detto che sarà come un vaccino antinfluenzale, ovvero non garantisce un’immunità definitiva ma stagionale. Si parla di circa un 90% di protezione dai sintomi della malattia Covid-19. Per quel che so ad assumersi la responsabilità per le reazioni avverse da vaccinazioni è lo Stato, che quando sottoscrive il contratto con le case farmaceutiche le manleva totalmente da ogni responsabilità. È un tema spinoso. Non voglio demonizzare i vaccini in toto, perché non sarebbe giusto. Però di sicuro intorno a questo tema ci sono zone d’ombra che preoccupano e insospettiscono i cittadini. Lo Stato sembra incapace di fare luce su questi aspetti controversi e si limita a dire “fidati di me”. Toppo poco per questa Epoca, poteva andare bene nel Secolo scorso.
Ieri il premier mentre annunciava l’ultimo Dpcm ha parlato dell’eventualità di somministrare un Tso a chi non accetterà un vaccino. Cosa ne pensa? La rassicura quel “faremo di tutto per evitarlo”?
Il TSO va fatto a lui e a questo Governo che si ostina a vessare senza la minima ragione logica albergatori, ristoratori, baristi, organizzatori di eventi e congressi, piscine, palestre, e tantissime altre categorie economiche. Tutte imprese che hanno speso parecchi soldi per mettersi a norma sulle disposizioni anti contagio. E comunque il virus, lo dicono centinaia di studi internazionali, non si trasmette tramite la normale socialità ma in luoghi specifici come RSA e Ospedali. Non solo, è stato ampiamente dimostrato che laddove non si sono assunte restrizioni i risultati della curva epidemiologica sono esattamente sovrapponibili ai contesti in cui invece si è scelto di chiudere tutto. È evidente che il Governo persegua un accanimento ideologico contro le imprese che non ha nulla a che fare con la salute dei cittadini. Persino componenti molto autorevoli del CTS di Palazzo Chigi lo hanno confermato pubblicamente.
Il progetto di un passaporto sanitario che permette di viaggiare, entrare in un negozio, fare vita sociale solo a chi dimostra di non avere il covid19, esiste già. Si chiama “Common Pass” ed è finanziato, tra gli altri, dal World economic Forum. Da lì al prevedere l’obbligatorietà vaccinale, il passo è breve.
Il passo è breve ma fatale. In Italia c’è una Costituzione che nonostante ultimamente sia stata sfregiata e umiliata è l’ultimo baluardo a presidio dei principi dello Stato di Diritto che abbiamo ereditato dal passato grazie a tanti sacrifici e battaglie. Non tollereremo nessuna ulteriore limitazione alle libertà. Siamo già agli sgoccioli e l’occupazione ad oltranza del Parlamento e l’invito ai cittadini alla disobbedienza civile sono a un passo. Nonostante la gravità delle lesioni subite dall’Ordinamento Costituzionale abbiamo fino ad ora mantenuto senso di responsabilità e in qualche caso collaborazione per evitare derive pericolose che possono ulteriormente compromettere il tessuto sociale ed economico del Paese, però a tutto c’è un limite.
Cosa risponderebbe a chi parla di progetti sottesi all’azione di governo? Il coronavirus è una scusa per giungere a determinati obiettivi in un certo lasso di tempo o sparirà come è stato con Sars e Mers?
Non amo alimentare retropensieri. Le Istituzioni sono uno specchio, come la politica. Magari non tutti ci vediamo riflessi lì dentro ma di sicuro se ci vediamo spettinati non possiamo cambiare l’immagine pettinando lo specchio. Il coronavirus a differenza della Mers e della precedente Sars, che non sono stati così tanto contagiosi, rimarrà ancora in circolazione, ma quel che conta è sapere che nel 99% dei casi può essere curato. Sentendo i medici e gli scienziati (che litigando così tanto tra di loro certamente non hanno dato un gran bel esempio di autorevolezza e credibilità) si può immaginare che nel giro di un paio d’anni potrà essere quasi del tutto debellato. Me lo auguro.
E’ innegabile che a partire dall’emergenza si sia iniziato a proporre con sempre più insistenza il tema della digitalizzazione. Per alcuni è un’opportunità, per altri il 5G potrebbe esporre a rischi salutari. Le cito per tutti il parere del presidente del Cts dell’ISDE Agostino Di Ciaula, che ha parlato addirittura di alterazioni cellulari, dei geni e cromosomiche. Il fattore salute è stato abbastanza considerato per quanto riguarda la tabella di marcia?
Anche questo è un tema spinoso e suscettibile di condizionamenti irrazionali. La tecnologia non è di per se malevola, semmai è l’uso che se ne fa che può esserlo. Non è escluso che questo avvenga, del resto si sa che il peggior nemico dell’Uomo è l’Uomo stesso. Però l’evoluzione ci dovrebbe dare l’opportunità di emanciparci da questa condizione. Un tempo il coltello era utilizzato solo per uccidere, oggi sappiamo invece che serve soprattutto per tagliare le pietanze. Mi auguro che la stessa consapevolezza valga per la tecnologia 5G. Certo lo Stato e le sue Istituzioni dovrebbero vigilare affinché ogni progresso sia a favore dell’Uomo e non contro di esso. Se lo Stato siamo noi, non abbassiamo la guardia sui nostri limiti e i nostri eccessi.
Gli accordi che riguardano il Green New Deal e la digitalizzazione salveranno l’economia nazionale o non basterà? Che fine faranno le PMI, chi non è legato alla grande distribuzione e chi per un motivo o per l’altro non potrà stare al passo?
Digitale in inglese significa numero, in italiano significa dita. Come vede le parole hanno un peso. Il digitale inteso all’anglosassone è relativo alla realtà virtuale creata da codici alfanumerici e può aiutare l’Uomo a semplificare i processi organizzativi. Ma anche qui vale il concetto dell’uso. Un sistema digitale che semplifica la burocrazia è utile, mentre uno che fa sparire il denaro e lo trasforma in un bit è alienante. Di fatto, però, il mondo sembra andare in quella direzione e gli Stati sono assenti o impreparati, in particolare l’Italia. Non sappiamo tutelare i nostri dati sensibili, non sappiamo imporre il rispetto delle Leggi Fondamentali ai grandi players mondiali di internet, non sappiamo stabilire e difendere la proprietà delle infrastrutture tecnologiche. Lo Stato si comporta come Re Luigi XVI a Versailles, che non si era accorto che il mondo era cambiato, l’economia si era trasformata da agricola a mercantile e per lui non c’era più posto. Oggi che siamo passati dall’analogico al digitale, per lo Stato c’è ancora posto? Questa è la domanda che dovrebbe preoccuparci. Corriamo il grave rischio di vedere scomparire tutto ciò che abbiamo conquistato nei secoli. La politica non discute e non si confronta su questi temi e quando lo fa è spesso vittima di frasi fatte e pregiudizi. Le imprese si difendono se prima ancora si difende un modello di convivenza sociale, economico e civile. Altrimenti andare avanti a spizzichi e bocconi sulla contingenza, ci porterà di sicuro dritti in una nuova dimensione di realtà. Quella che le grandi multinazionali della Silicon Valley hanno progettato occupando uno spazio lasciato vuoto dalla Coscienza Civica.
Per quanto ancora l’Italia sarà retta dai Dpcm? E’ sufficiente chiedere di essere ascoltati se dall’altro lato c’è un premier come Conte? Perché nessuno parla di sfiducia?
Noi a differenza del Governo rispettiamo la Costituzione e gli organi dell’Ordinamento democratico, primo fra tutti il Parlamento. Facciamo tutto ciò che la Costituzione ci concede di fare. Andare oltre significherebbe scivolare sul terreno pericoloso di una deriva autoritaria, che è il solco che il Governo sta lambendo in questi mesi. Non ci mettiamo al loro livello e difendiamo la dialettica democratica all’interno delle Istituzioni. Che ci piaccia oppure no, finché in Parlamento la maggioranza avrà i numeri possiamo incidere ben poco. Questa è l’amara verità. Abbiamo chiesto al Capo dello Stato una particolare vigilanza sugli atti del Governo, soprattuto sui provvedimenti che incidono fortemente sui diritti costituzionalmente garantiti. Certo, ripeto ancora una volta, tutto ha un limite e se il Governo proseguirà nel solco al confine dell’autoritarismo, non possiamo escludere che ci sia una reazione spontanea, pacifica, ma ferma dei cittadini che potrebbe sfociare in atti di disobbedienza civile e che non potrà che avere tutto il nostro sostegno.
INTERVISTE
Reati contro i minori, intervista al ministro della Famiglia Eugenia Roccella (Video)
INTERVISTE
Ddl Nordio, Caporale: «Non libera la magistratura dai suoi mali, ma colpisce la Giustizia giusta»

Il Ddl Nordio è forse l’eredità più consistente lasciata da Silvio Berlusconi. E’ infatti figlio di un modo preciso di intendere la Giustizia, le leggi, la magistratura. Per alcuni rappresenta l’ennesimo colpo inferto alla libertà di espressione, all’autonomia dei magistrati e allo stesso cittadino, che potrebbe essere maggiormente esposto a determinate fattispecie di reato che potrebbero essere depenalizzate. Ne abbiamo parlato con il giornalista Antonello Caporale.

Il giornalista Antonello Caporale
È davvero necessario abolire l’abuso di ufficio per tutelare quei sindaci che, a sentire la maggioranza, hanno le “mani legate”?
Io penso che la riforma viva di un bisogno ideologico. Anziché definire ulteriormente un reato che, è vero, è molto vago, lo hanno tolto di mezzo. Così facendo hanno mostrato il loro intento, che è quello di sminuire ulteriormente la magistratura.
Nordio è un ex magistrato.
Ma è come quei tabagisti che fumano, smettono poi finiscono con l’odiare le sigarette. Nordio è un magistrato ma odia i magistrati, ha utilizzato in modo massiccio le intercettazioni e da ministro le ha tagliate. Si è sempre proposto come l’alfiere della magistratura di destra ma dice che i magistrati fanno politica. La sua sembra una vita capovolta. C’è un’idea di fondo ideologica prima ancora che giudiziaria. E’ la stessa cosa che ho visto con la dichiarazione del lutto nazionale, che come sai viene dichiarata dal governo utilizzando la sua discrezionalità. In genere si fa per i martiri della mafia, ma in questo caso hanno voluto elevare la figura di Berlusconi.
Farà la fine di Craxi, un altro personaggio controverso che con il passare degli anni è diventato un’eroe nazionale. Si può dire che la Riforma Nordio sia un po’ l’ultimo lascito di Berlusconi, cioè la manifestazione ultima di un certo modo di intendere la Giustizia?
Possiamo anche dire per principio che i reati, la criminalità non esistono, ma restano comunque. Possiamo decretare sconfitta la mafia e la ‘ndrangheta, ma il pizzo c’è. Sono azioni temerarie, protervie e ingenue.
Prima hai parlato di intercettazioni. Secondo i detrattori del disegno di legge calerà una scure ulteriore sulla possibilità di informare liberamente.
Non sappiamo ancora cosa resterà e cosa verrà buttato della Riforma, che probabilmente sarà fatta a pezzi dalla Corte Costituzionale. Ma già con il solo fatto di aver annunciato una stretta sulla intercettazioni sono stati lanciati due messaggi. Uno alla magistratura, a cui in pratica è stato detto mettetevi in fila e capite che il vento è cambiato, e uno all’informazione, a cui si tenta di dire attenzione, perché non puoi più osare come prima. La magistratura, comunque, non è esente da mali. Con la riforma non si sta liberando la magistratura del proprio conformismo, delle proprie convenienze e del fatto che ci sono magistrati che non lavorano e non sono equi, ma si sta riducendo l’ampiezza della libertà dei magistrati. Avranno più margine quelli più convenzionali e collusi, meno quelli coraggiosi che hanno voglia di fare. Se ci fai caso si parla sempre di magistrati di destra e di sinistra, ma mai di chi lavora bene e di chi lavora male.
Erano forse più questi gli aspetti da riformare.
Appunto, invece si sceglie di trascurarli. Nessuno si domanda perché uno ha fatto cinque processi e un altro 55, oppure perché con l’aumentare dell’organico delle Forze dell’Ordine non si riducono i reati. Dovremmo essere più sicuri, e invece? Immagino che non sia un lavoro certosino, organico, sistemico, ma che sia un lavoro occasionale. Faccio quello che lavora, fingo per la televisione e poi chi si è visto si è visto. Arresto chi so già che non può stare dentro, indago persone su cui non ho nulla. Ci sono poi le querele temerarie, come quelle che sono capitate a me e ad altri giornalisti, che sono azioni di parassitismo giudiziario che diventano lecite, invece non lo sono affatto. La lotta però non è contro questi mali, ma contro la Giustizia giusta.
Dal punto di vista politico pensi che la Riforma possa essere in qualche modo divisiva oppure c’è un’intesa che va al di là degli schieramenti politici?
C’è sicuramente intesa, altrimenti il codice penale non sarebbe così cavilloso. Le leggi le fa il Parlamento e c’è interesse a rendere i processi pieni di cavilli, possibilità e subordinate. La politica teme la magistratura, a volte perché esagera a volte perché è un potere che controlla.
INTERVISTE
Il racconto della figlia del 72enne di Guardia Piemontese deceduto dopo ore di odissea

Antonio Caroccia era un 72enne di Guardia Piemontese, un paesino in provincia di Cosenza, in Calabria. Riferiscono i familiari, assumeva dei farmaci ma godeva di buona salute, era attivo e non era affetto da nessuna patologia. Il 5 marzo dello scorso anno avverte un dolore all’altezza dei reni. E’ tardo pomeriggio, Antonio è vigile, cosciente, i familiari sono preoccupati ma nessuno si immagina quello che sarebbe successo da lì alle ore successive, con una diagnosi iniziale sbagliata, “circa due ore e mezzo di attesa presso il pronto soccorso della clinica Tirrenia Hospital” – racconta una componente della famiglia – assenza di ambulanze, posti letto per ottenere i quali è necessario fare opere di convincimento, esami mai giunti a destinazione. Che sarebbe successo se i medici non avessero erroneamente diagnosticato un infarto e se il signor Antonio fosse giunto subito nel reparto di Chirurgia? Secondo i familiari, il decesso forse poteva essere evitato. Una delle due figlie, Valentina, ci ha spiegato le motivazioni alla base di questo convincimento.
Lei sta portando avanti una battaglia per il riconoscimento di un caso di malasanità che potrebbe aver causato il decesso di suo padre. Ha avuto risposte dalle Istituzioni?
Il 28 marzo ho inviato una PEC al ministero della Salute, alla Procura della Repubblica presso il tribunale di Paola e Cosenza e al presidente della Regione Calabria in qualità di commissario ad acta della Sanità. Il ministero mi ha risposto l’11 aprile chiedendo alla Regione di relazionare sull’accaduto e domandando di mettermi a conoscenza degli esiti. La Regione ha scritto all’Asp di Cosenza limitandosi di fatto a fare da tramite, senza esprimersi sull’accaduto. Mi ha risposto allegando semplicemente i documenti ricevuti dall’Asp stessi, per giunta incompleti. Il tutto dopo circa tre mesi, durante i quali ho fatto numerosissimi solleciti telefonici e via mail.
Dal decesso di suo padre in poi è stata costretta ad appellarsi continuamente, oltre che alle istituzioni, alle strutture sanitarie coinvolte. Ha trovato disponibilità o chiusura?
Sostanzialmente dopo aver fatto più solleciti con le istituzioni ho trovato qualche forma di apertura. Il resto è stato un po’ sorprendente, anche per quello che riguarda le risposte del direttore della centrale operativa. Mi è capitato di fare presente il comportamento di un infermiere che con mio padre era stato sgarbato e poco professionale, ma la mia versione è stata messa in dubbio.
Sta dicendo che ha denunciato il comportamento di un infermiere e l’ospedale interessato non ne ha voluto saperne di più? Non è stata avviata nessuna indagine interna per comprendere se si era in presenza di una negligenza o di un disservizio?
No, assolutamente no. Anzi ho avuto l’impressione contraria, cioè che facessero da scudo a chi era intervenuto quella sera. Mi sono anzi sentita dire dal direttore della centrale operativa del 118 le testuali parole: “posto che ciò corrisponda a verità, come fa notare la scrivente signora Valentina Caroccia, rientra nei comportamenti personali del singolo, sicuramente censurabili, ma non perseguibili”.
Della vicenda che ha raccontato a Rec News ha fatto molta impressione l’atteggiamento di parte del personale sanitario coinvolto.
Abbiamo provato tanta rabbia, tanta tristezza e tanto dolore. Quando i sanitari sono venuti a casa per soccorrere mio padre non riuscivano a trovargli la vena e sgarbatamente gli davano dei comandi del tipo “Metti il braccio così”, strattonandolo. L’hanno poi portato giù sulla sedia a rotelle a petto nudo, faceva pure freddo perché era quasi sera. E’ stata mia madre a coprirlo. Alla Clinica Tirrenia Hospital doveva essere ricoverato, come testimoniano gli audio, su indicazione del medico del 118 intervenuto e del cardiologo dell’UTIC di Paola (la terapia intensiva cardiologica, nda), ma arrivati lì non volevano ricoverarlo, non ho capito per quale ragione. Il medico del 118 si è rivolto a mia madre e a mio zio dicendo: “Dovete insistere per fare uscire il posto”.
“Insistere per fare uscire il posto” è una frase strana.
Alla fine comunque è stato accettato presso il pronto soccorso della Tirrenia Hospital, ma quando i sanitari della stessa hanno ritenuto di dover trasferire mio padre presso l’ospedale Annunziata di Cosenza la clinica non era in possesso di alcuna ambulanza. Ho scavato per capire le motivazioni e chiesto spiegazioni, ma la clinica in tutta risposta mi ha scritto tramite legale facendo finta di non sapere che ero una parente diretta. Ho parlato anche con il vicedirettore della clinica Tirrenia Hospital perché in tutto questo è stato anche smarrito un esame che si chiama emogasanalisi che la clinica sostiene di aver effettuato e di aver consegnato all’ambulanza di Amantea che ha trasportato papà in un secondo momento. Sta di fatto che di quest’esame non c’è traccia.
Non si trova un esame di marzo del 2022?
Non si trova. Il vicedirettore sostiene che sia stato consegnato ma le cose sono tre: o non è stato effettuato, o è stato fatto e non è stato consegnato o è stato consegnato ed è stato smarrito. Al vicedirettore ho anche domandato come mai l’ambulanza non fosse disponibile e lui ha risposto che ne hanno solo una e che era impegnata per il trasferimento di un paziente leucemico a Reggio Calabria. Pensare che la Tricarico è l’unica clinica della costa tirrenica cosentina ad avere l’emodinamica. Mio padre del resto non doveva neppure essere lì, perché la diagnosi inziale di infarto si è poi rivelata sbagliata.
Negli audio vagliati da Rec News si sentono anche i sanitari che rispondono flemmatici e le attese lunghe intervallate dalla Primavera di Vivaldi…
Infatti si nota subito l’incapacità di comunicare e gestire l’urgenza. Si passano il telefono di persona in persona. Mancavano mezzi, preparazione e c’era pure chi rispondeva scocciato alla richiesta di intervento.
Suo padre è deceduto dopo un’Odissea durata ore e ore.
Era un codice rosso. Avrebbero dovuto mobilitarsi subito, non avere quell’atteggiamento rilassato passandosi il telefono di persona in persona.
C’è stato anche quel problema “di connessione” che ha impedito a un esame di arrivare a destinazione.
Quando si fa l’ECG a casa, a esito ottenuto c’è il consulto tra il medico che è sul posto, del medico che è in centrale operativa e del medico di turno all’UTIC di competenza, in questo caso l’UTIC di Paola. Però alla centrale operativa del 118 l’esame non è mai arrivato per mancanza di linea. E’ arrivato però, come documentano gli atti, all’UTIC di Paola, quindi gli unici due che hanno avuto modo di confrontarsi sono stati il medico del 118 che è venuto qua a casa e il cardiologo. Il medico non è stato assolutamente in grado di gestire la situazione. Mio padre era a casa lucido e cosciente, avvertiva un dolore all’altezza dei reni ma gli è stato diagnosticato un infarto. Quando è stato trasportato sulla seconda ambulanza già non rispondeva e secondo i referti aveva già i valori sballati. Dopo ore di attesa, due ore circa delle quali presso la Tirrenia Hospital, è deceduto.
Mi diceva che in un referto clinico anziché scrivere “sottorenale” hanno scritto “soprarenale”. Sono questioni di lana caprina oppure ha senso porsi delle domande?
Sì, ha senso porsi il quesito e stiamo seguendo anche tutta la parte medica per comprendere meglio come si sono svolti i fatti. Sappiamo che è arrivato in Chirurgia all’Annunziata in condizioni già critiche e che i medici hanno innestato le protesi. L’operazione è durata circa due ore e mezzo e da come si legge dalla cartella clinica ci sono stati due arresti cardiaci, uno dei quali ripreso con il defibrillatore. Hanno provato a recuperarlo, ma all’una e trenta di notte è stato constatato il decesso.
Nel caso di suo padre la diagnostica appare mancante o errata.
Sì, non gli è stata fatta la TAC a contrasto che avrebbe dovuto evidenziare le rotture subentrate che inizialmente non c’erano, e poi gli è stato diagnosticato, sbagliando, un infarto. Mio padre aveva bisogno di essere trasferito immediatamente, e sottolineo immediatamente, presso la struttura dove è stato operato, invece è stato perso inutilmente tanto tempo e non c’erano neppure i mezzi per effettuare il trasporto.
La prima diagnosi di suo padre è avvenuta tramite telemedicina, però il referto non è mai giunto a destinazione per un problema di connessione. Il timore è che determinate procedure macchinose che coinvolgono tanto personale sanitario e tante unità distanti tra loro, possano mettere in pericolo il paziente. Se si spezza un anello della catena, i rischi possono superare i vantaggi.
Ma se alla fine mi sono sentita dire “Ritieniti fortunata che quella sera c’era il medico con l’ambulanza”, perché la prima ambulanza è venuta 5 minuti dopo la chiamata, ma solo perché stava facendo rifornimento lì vicino. Mi sono vergognata per loro a sentire frasi del genere. Per riuscire a fare gli accessi agli atti che riguardano il decesso di mio padre mi sono trovata di fronte a telefoni sbattuti in faccia. Se scegli di fare il medico devi avere una vocazione, una passione, ma se poi non hai professionalità e sei perfino disumano, è meglio che cambi mestiere. Ora non c’è solo il dolore, ma anche la rabbia.
INTERVISTE
“Io, la tv che vorrei e quella volta sul set”. Chiacchierando con Giorgia Trasselli
L’attrice ci svela un inedito lato anti-mainstream: il passato universitario movimentato, i teatri “off” e la distanza con un certo tipo di format televisivi. La passione per Tolstoj e Dostoevskij: “Ho sofferto per l’esclusione dei russi dagli eventi culturali e sportivi. Come se un domani l’Italia impazzisse e qualcuno volesse cancellare Pirandello”

Giorgia Trasselli oggi, figura rassicurante e iconica di quadretto familiare all’italiana: sta tornando a casa da Trieste e ad attenderla, mi dice, ci sono i nipotini ancora avvolti dal clima di festa, alle prese con i regali. “Il 19 abbiamo avuto un compleanno”, racconta. E’ reduce da un viaggio più lungo del previsto che ci ha portato a scambiare qualche Whatsapp per poter posticipare l’intervista. Devo – sommessamente – smentire quello che ha ironicamente scritto Lello Arena nella sua prefazione di “Mi scusi, lei fa teatro?”: non ho visto errori nei suoi messaggi, nemmeno considerandoli con l’occhio clinico del mestiere. Ovviamente nemmeno volendolo potrei correggere la “Tata” meno conosciuta, quella che ha tradotto Cocteau dal francese e butta lì l’etimologia latina di “divertire” come se nulla fosse.
I ritratti che colleghi e registi fanno di Giorgia sono tutti più che edificanti: un’attrice ancorata ai valori e un tornado in grado di rivoluzionare ogni set. Il simbolo di una tv pulita: non urlata, non spiattellata, che non ha bisogno di fare leva sugli istinti peggiori. La Trasselli meno conosciuta è anche “anti-mainstream”, in qualche misura: ha avuto un passato universitario movimentato, ha frequentato i teatri “in” ma non ha disdegnato quelli “off” quando ne valeva la pena. Ha una passione per un certo tipo di autori letterari e teatrali e mantiene le dovute distanze, ci svela, da un certo tipo di format commerciali.
Sicuramente nessuno si permetterebbe mai di dire che recita con i piedi, però nei fatti è successo…
(Ride) E’ vero, il primo film fatto con i piedi, è vero! Eravamo alla Pro Deo che oggi si chiama Luiss. Il regista cercava dei bei piedi per un cortometraggio. In pratica si trattava di una storia d’amore tra due piedi femminili e due piedi maschili. Quindi sì, il mio esordio cinematografico è stato fatto con i piedi.
Un episodio che fa parte di una carriera sfaccettata. Cosa le hanno lasciato i vari personaggi che ha interpretato e quanto c’è della vera Giorgia in ognuno di loro?
Credo che ci sia un pezzo della vera Giorgia, di come io sono nella vita nell’essenza del quotidiano, in ogni personaggio. In fin dei conti noi prestiamo il nostro volto ma anche la psiche, perché quando parliamo di sentimenti e di intenzioni e ci mettiamo in contatto con un personaggio che comunque ha un’anima. Cediamo una parte di noi a questo personaggio. Anche qui ci facciamo due risate, spero: anni fa in tempi di AIDS quando non era il caso dicevo: dai, il nostro lavoro in fondo è un po’ una trasfusione di sangue…Aiuto, dai, no! (ride). Però un po’ è vero, è bello quando si perdono un po’ i confini tra la persona e il personaggio. Quindi, per rispondere alla tua domanda, c’è una parte di me in tutto quello che ho fatto. Se prendiamo cento Romeo, cento Giulietta e cento Desdemona, alla fine ognuna sarà diversa perché ognuno mette del suo, anche se si tratta della stessa storia e delle stesse parole. E’ tutto scritto lì, ma siamo noi a dare vita al personaggio, a dargli l’impressione.

Nonostante tutta questa volontà di caratterizzare i personaggi riesce sempre ad apparire genuina, spontanea.
Arrivare è difficile. In teoria dovrebbe essere tutto semplice, ma la semplicità è molto difficile da ottenere. A volte mi capita di vedere un attore o un attrice e di avere l’impressione che stia lì con noi. Quando il palcoscenico o la macchina da presa diventano casa. E’ bello quando il pubblico ti dice questo, ma il punto è proprio quello che dicevi tu, che cioè quella semplicità è frutto di molto lavoro.
I suoi colleghi dipingono il suo carattere come solare, capace di animare ogni cosa. Però lei racconta anche che in privato è attraversata da una sorta di malinconia.
C’è questo: quando sono sola sono un po’ malinconica, lo riconosco. Ho un sacco di nostalgie e infatti ogni tanto mi devo fare un bagno di fiducia per il presente e per il futuro. Mi dicono che sono brava a incoraggiare gli altri, però poi quando tocca a me torno ad “Ah, quanto era bello prima”. Insomma, ecco la nostalgia. O la malinconia che è questa strana cosa, questo languore che non è proprio tristezza, ma è uno stato di cose normali. Non so a cosa sia dovuto. Però poi mi basta che ci sia una persona, un amico e tutto questo passa. In questi momenti sono veramente sola con me stessa. Adesso sto parlando con te e mi sto chiarendo forse un po’.
Non mi mostro allegra, divertente e divertita a tutti i costi, ma sono le persone che mi danno la carica quando ci si trova in compagnia e in armonia. Lo stare insieme, fare una battuta…ah, ecco. Io non so fare le battute a comando, mi terrorizzano queste trasmissioni dove i cosiddetti personaggi devono per forza avere la battuta giusta al tempo giusto. Per carità! A me non viene mai, mi viene sempre dopo sette secoli! Perché sto lì che guardo e ascolto e poi mi distraggo, e poi quando tocca a me…che ne so? La battuta a me viene quando sto bene, quando sto insieme agli altri.
Ma poi la simpatia è fatta di tante cose, non solo di battute. Ci sono caratteri che la suscitano a pelle: come nel suo caso, riescono a passare con facilità dalla simpatia all’empatia e a tirare fuori il meglio delle persone. E’ una gran dote, dovrebbe darle la fiducia che dice a volte le manchi.
Grazie, grazie! Ci provo.
Ha citato la televisione. Il modo di fare tv è molto cambiato negli ultimi anni. C’è una crisi di valori che sembra attraversare anche il piccolo schermo: è così?
Posso dire con serenità che quello che crediamo che non esiste, esiste eccome. Il declino c’è, per forza. Tutti si giustificano chiamando in causa gli ascolti e la pubblicità, che secondo alcuni impediscono di mettere le cose serie. E’ come se fare le cose serie significa fare i barbosi, i noiosi. E quindi ci dobbiamo accontentare di quattro poveracci che sono buttati lì a mostrarsi in mutande o a dire quattro frescacce. Io non vedo certe cose, ma non perché sia snob. Non lo sono come persona ma forse in certe scelte, perché per me la forma è sostanza. Io non credo che essere gentili e cortesi, ammirare le cose belle e desiderare le cose belle sia formale, credo che sia sostanziale.
Sono convinta che non dobbiamo abbassare la qualità, i desideri, le passioni degli esseri umani. L’arte, il divertimento, la commedia brillante, il varietà, la canzone, la canzonetta: tutto secondo me deve cercare di elevare. Andiamo a vedere che teatro facciamo, che televisione c’è: questa cosa dei litigi continui e di persone così tristi e squallide che sanno solo dare il peggio di sé stessi, e magari invece avrebbero tanto di migliore da raccontare al pubblico. E poi permettimi di dire quello che sento da banale spettatrice: mancano i testi, i dialoghi. E’ difficile scrivere belle storie e belle fiction. Sono grata alla televisione ma a “quella” televisione di quel periodo che mi ha dato successo, per quanto quest’ultimo sia un concetto relativo. Credo che bisognerebbe dare più spazio agli autori brillanti e in gamba, sono sicura che ce ne sono tantissimi. Prendiamo Casa Vianello: è stata scritta da Raimondo, da Sandro Continenza, Giambattista Avellino e Alberto Consarino. Erano autori che stavano lì a fare, rifare, cancellare. Si parlava e si facevano riunioni per cercare di dare qualcosa anche in una commedia brillante. Non stavamo facendo Ben-Hur o Cleopatra, certo…
Ma anche lì c’era uno studio dei soggetti. Mi ha colpito il fatto che gli autori studiassero anche i fatti di cronaca e di attualità per avere lo spunto per le situazioni e per i personaggi collaterali. Alla fine tutto filava liscio e suscitava ilarità, quindi si può dire che funzionava. Oggi forse si punta più su prodotti che tentano di fare leva sui comportamenti più bassi.
E’ sempre una questione di soldi, ma se per quelli devo andare a vendermi l’anima al diavolo o la mamma al mercato diventa eccessivo. Oggi i tradimenti e lo spettegolezzo hanno fatto sparire la commedia all’italiana, che si basava anche su temi come questi ma aveva un altro approccio ed era interpretata da mostri sacri. Sordi, Agus, Valeri, Panelli, Taranto: Attori ed attrici che erano molto avanti rispetto a quello che si può immaginare, avevano una comicità all’avanguardia e non erano mai volgari.
Si è sempre detto che la tv ha plasmato la società moderna, ma che società si costruisce se non si offre mai qualche alternativa di livello? Se si offrisse qualcosa di diverso forse la risposta non sarebbe così cattiva.
Ma sì, è inutile dire “noi diamo quello che il pubblico vuole”: se non dai alternative, cosa vuoi che preferisca? Non si pensa, non si ragiona. La parola “divertire” deriva dal latino “divertere”, che vuol dire spostare l’attenzione da una cosa all’altra. Quindi il divertimento è creare una situazione, non limitarsi a sghignazzare delle cose più varie. Posso dire che sono comunque felicissima di fare televisione e di interpretare la Bice in Fosca Innocenti. Abbiamo iniziato di nuovo le riprese e sto lavorando con colleghi fantastici come Vanessa Incontrada, Francesco Arca, Cecilia Dazzi e Desirée Noferini.
A teatro ha interpretato Cocò Chanel.
E’ stata una delle cose che mi sono inventata basandomi sulle mie letture, sui miei studi e sulle mie idee. Anche se timorosa, ho cercato di coinvolgere gli altri colleghi. Mi sono lanciata e ho portato questa avventura fino in fondo, e tutto grazie a un libro prestato da un amico. La Francia, la traduzione del Fantasma di Marsiglia, il meta-teatro, quanto ricordi! Mi sono basata anche sulla figura di Cocò Chanel. Che posso dire? Sono stata felice. Tocchi le corde di tante vite: ecco cosa ci dà di meraviglioso il nostro lavoro.
In passato è stata una divoratrice dei libri di Tolstoj e Dostoevskij, ha portato in teatro Čechov: secondo lei è giusto escludere gli atleti russi dalle competizioni, gli artisti dalle mostre e i cantanti dagli eventi? L’arte e lo sport non dovrebbero un po’ depurarsi dalla politica?
Devo dire che mi ha fatto male che alcuni russi siano stati esclusi dagli aventi culturali, sportivi e musicali. La Russia non è Putin e non è solo quello che sta succedendo. Ci ha dato cose fantastiche. E come se a un certo punto l’Italia impazzisse e qualcuno volesse cancellare Pirandello. Una buona separazione ci vuole. E’ il solito vecchio discorso del fare sempre di tutta l’erba un fascio.
Non si rischia di instaurare precedenti pericolosi e di tornare a un clima di persecuzione culturale?
Eh, hai capito?! Andiamo a bruciare i libri in piazza, che facciamo? Per carità di Dio. Non sono idee felici.
Gliela faccio la domanda che le fanno tutti su Casa Vianello o no? La faccio, ma mi racconti un episodio particolare, un bel ricordo che le è rimasto.
E’ stato tutto bellissimo, regnava l’allegria e l’armonia, la semplicità ma non la superficialità. In un episodio Sandra voleva che mi fidanzassi con un muratore che circolava per casa. Nella trama c’era l’organizzazione di un pranzo, con la Tata tutta in ghingheri e Sandra e Raimondo che spiavano dalla cucina. A un certo punto cadevano a terra, assieme a una porta. Dopo aver girato l’episodio il commento di Raimondo fu stupendo: “Guarda questa che ci fa fare a 130 anni in due!”. Non so quanto abbiamo riso, non lo dimenticherò mai.
Rec News dir. Zaira Bartucca – recnews.it