

RN WALL
Più attenzione alle periferie, al commercio locale e ai prodotti a Km zero
di Edoardo Bortolotto*
La riqualificazione delle periferie presuppone un forte sostegno al piccolo commercio e all’artigianato di quartiere cercando di indirizzare i cittadini verso negozi di prodotti tipici, a Km zero e di produzione propria. La ripartenza del commercio non può prescindere anche da una seria lotta all’abusivismo e alla concorrenza sleale. Dovremo coinvolgere direttamente i negozianti, le associazioni o enti di categoria, nell’organizzazione delle varie manifestazioni sia in centro storico che nei quartieri.
Le Botteghe e le attività storiche con continuità per oltre 40 anni, anche in luoghi diversi, devono beneficiare di una tutela e di incentivi maggiori per non cancellare la memoria e le tradizioni che sempre più volgono l’interesse al commercio elettronico. Stessa attenzione a quelli non storici, che hanno bisogno di incentivi di varia natura quale riduzione di imposte o incentivi alla illuminazione e per l’imposta comunale sulla pubblicità portandola fino al 90% anziché l’attuale 80%.
Riqualificare il centro e le periferie vuol dire anche, come spiegato oggi nel mio intervento presso ConfCooperative di Vicenza, intervenire sugli immobili in stato di degrado per far fronte alla domanda abitativa ormai proveniente anche dalla popolazione studentesco-universitaria. Nel caso delle cooperative emergono criticità a loro spese e rischio. Pensiamo solo agli appalti che dovranno essere assolutamente commisurati ai costi di gestione o il rischio sarà l’offerta al ribasso con decadenza della qualità delle opere e della manodopera. Al contrario si rischia di scivolare nella logica delle offerte a ribasso.

Pubblicato il rapporto del Comitato Europeo per la Prevenzione della Tortura e delle Pene e Trattamenti Inumani o Degradanti (CPT), un’emanazione del Consiglio d’Europa, sul risultato dell’ispezione in quattro reparti psichiatrici italiani. Ne esce un quadro inquietante, clamorosamente in contrasto con la narrativa prevalente che dipinge il Belpaese come un paradiso psichiatrico.
Il CPT esegue ispezioni quadriennali in tutti i paesi della Comunità Europea per verificare l’adeguatezza agli standard comunitari nei loro ambiti di competenza (psichiatria, residenze per anziani, carceri e immigrazione). Dal 2004 in poi, le ispezioni del CPT in Italia si sono sempre concluse con raccomandazioni, regolarmente ignorate, di risolvere le gravi carenze.
Le ispezioni, svolte tra marzo e aprile 2022 in quattro reparti psichiatrici ospedalieri (Milano Niguarda, Melegnano, Cinisello Balsamo e Roma San Camillo) rivelano un’incapacità di staccarsi dal modello manicomiale. Queste, punto per punto, le critiche rivolte all’Italia dal Comitato Europeo per la Prevenzione della Tortura:
· Eccessivo uso della contenzione fisica in tutti gli SPDC visitati (con punte in Lombardia, dove l’otto percento dei pazienti ricoverati in psichiatria è legato – centinaia di pazienti ogni anno)
· Eccessiva durata della contenzione fisica (in media diversi giorni) in contrasto con lo standard CPT, che non esclude la contenzione, ma la vede come strumento da usare in pochi casi e per un tempo limitato.
· Eccessivo ricorso, nella contenzione, allo ‘stato di necessità’ (art 54 del codice penale: stabilisce l’impunibilità di chi commetta un reato spinto dalla necessità di salvare sé o altri). Ciò rappresenta un cortocircuito giuridico, che annulla i diritti dei pazienti.
· Uso della contenzione su pazienti ‘volontari’ in violazione delle raccomandazioni del Comitato per la Prevenzione della Tortura, che non contemplano questa possibilità. Grottesca la risposta pervenuta al CPT: se aprissimo una procedura di TSO ogni volta che leghiamo un paziente peggioreremmo le statistiche dei TSO! Questo, oltre a rappresentare un controsenso (perché mai si dovrebbe legare un paziente volontario?) priva le persone soggette a contenzione di ogni strumento giuridico di difesa.
· Mancanza di una vera tutela giuridica nei TSO perché il giudice tutelare, in barba alle raccomandazioni reiterate dal CPT ogni quadriennio dal 2004 a oggi, svolge una funzione meramente burocratica, paragonabile al timbrare una lettera in un ufficio postale: firma un modulo prestampato, senza mai entrare nel merito, valutare il caso specifico né vedere personalmente il malcapitato – nemmeno tramite video. Lo standard europeo, utilizzato in quasi tutti i Paesi della UE, compresi quelli dell’est, prevede invece che il giudice veda la persona e ascolti le sue ragioni, non solo in occasione del primo TSO ma anche prima di ogni eventuale rinnovo.
· Mancanza di informazioni ai pazienti. Molti di quelli intervistati dal CPT erano incoscienti del loro stato giuridico, non sapevano se fossero volontari o sotto TSO, e non erano consapevoli dei loro diritti. In quasi tutti i paesi UE, compresi quelli dell’ex Jugoslavia, nei reparti di psichiatria sono presenti brochure con spiegazione della procedura e dei diritti del paziente.
· Condizioni igieniche inadeguate (soprattutto al San Camillo, ma anche in Lombardia) e assoluta mancanza di accesso a zone di verde e all’aria aperta, anche questo in contrasto con lo standard prevalente in Europa (est e ovest) e con quanto richiesto dal CPT.
· Assenza o inadeguatezza di alternative terapeutiche all’uso di farmaci (attività ricreative o riabilitative o terapeutiche) per tutti gli SPDC ispezionati, in netto contrasto con lo standard europeo.
Secondo il Comitato dei Cittadini per i Diritti Umani, la riforma dei servizi di salute mentale in senso garantista non è più rinviabile. La normativa attuale, erroneamente chiamata ‘legge Basaglia’ ha semplicemente riprodotto la prassi manicomiale in ambito ospedaliero. I servizi di salute mentale dovrebbero adeguarsi alle raccomandazioni preveniente dalle autorità internazionali (Ufficio dei Diritti Umani delle Nazioni Unite, Organizzazione Mondiale della Sanità, Convenzione Europea sui Diritti delle Persone con Disabilità e Comitato per la Prevenzione della Tortura) che richiedono a gran voce il rispetto dei diritti umani, l’abolizione delle pratiche coercitive e il superamento del modello organicista-farmaceutico.

Non bastano interventi tampone, serve un piano di investimenti che vada ad ampliare i posti degli studentati, anche riutilizzando immobili pubblici attualmente in disuso. Ad oggi solo il 5% degli studenti trova una risposta abitativa in queste strutture. Il tema della questione abitativa è per tutti i giovani cruciale. Il grido d’allarme che arriva dagli studenti purtroppo diventa ancora più intenso nel momento in cui le ragazze e i ragazzi devono affrontare la sfida del mercato del lavoro. La speranza di una vita autonoma, purtroppo, è diventata sempre più complessa.
Ad oggi, l’aspettativa di molti giovani di uscire dal nucleo familiare di appartenenza è sempre più lontana. I dati relativi al nostro Paese testimoniano che in media i giovani riescono a lasciare la casa dei propri genitori solo intorno al trentesimo anno di età, ancora ben al di sopra della media europea, che si attesta a 26,5 anni.
Strettamente correlato al tema dell’emancipazione economica e familiare, alle criticità legate al mercato del lavoro e all’incertezza economica, si sommano quelle proprie di un mercato immobiliare caratterizzato, almeno nelle grandi aree urbane, da valori di mercato “disallineati” rispetto a quelli delle retribuzioni e da una tendenziale crescita dei prezzi.
Per questo motivo, proprio per venire incontro all’autonomia abitativa dei giovani, il Consiglio Nazionale dei Giovani ha avanzato, sin dal periodo di crisi pandemica, tra le altre, la proposta di istituire un Fondo per gli affitti da destinare ai giovani con ISEE medio-bassi. La nostra proposta è stata sottoposta al parere dei più giovani rilevandone un forte sostegno. Nei prossimi giorni incontreremo le associazioni e i rappresentanti degli studenti per avviare insieme un’ulteriore riflessione.
RN WALL
I risparmiatori truffati di BPVI materia di propaganda elettorale

Di Edoardo Bortolotto, deputato Enrico Cappelletti e senatrice Barbara Guidolin –
Le dichiarazioni del Ministro Giorgetti di concedere, bontà sua, ai risparmiatori truffati di BPVI e Veneto Banca “forse 300 milioni di euro” di ulteriori indennizzi, rilasciate per ingraziarsi l’audience Veneta in chiusura di campagna elettorale, sono un boomerang pazzesco, considerato che in campagna elettorale le forze politiche di maggioranza avevano promesso, anche per iscritto, di indennizzare i risparmiatori per l’intero importo loro dovuto per legge.
Ricordiamo che nottetempo, in legge di bilancio, governo e maggioranza presentarono un emendamento per azzerare il fondo di indennizzo, poi ritirato solo a seguito delle proteste di M5S ed associazioni. E ricordiamo che ad un ordine del giorno del M5S, che impegnava il Governo a procedere sollecitamente con gli indennizzi, la maggioranza alla Camera votò interamente contro, parlamentari veneti compresi. Solo a seguito dell’insorgere delle associazioni di risparmiatori, esasperati per essersi sentiti presi in giro ancora una volta, la maggioranza fece un mezzo passo indietro approvando un ulteriore atto di indirizzo che andava nella giusta direzione.
Credo tuttavia che la gente, si sia resa conto di un fatto ben preciso: con il M5S al governo sono arrivati nei conti correnti dei truffati – per lo più Veneti – oltre un miliardo di euro di indennizzi. Non era mai successo nella storia d’Italia. Con il centro destra al governo non solo non è stato loro concesso più nulla, ma sono stati pure bloccati i 500 milioni residui, già disposti per legge. Bloccati salvo, in chiusura di campagna elettorale, le parole del Ministro che aprono alla possibilità di un umiliante indennizzo…. inspiegabilmente ridotto di 200 milioni.
OPINIONI
Non convince il presidenzialismo, né il premierato
“In una democrazia l’importante non è la governabilità, ma la rappresentanza” – di Vincenzo Musacchio

L’Italia è una Repubblica parlamentare con una forma di governo dove gli elettori votano i rappresentanti del Parlamento, i quali poi nomineranno il Presidente della Repubblica. Quest’ultimo nomina il Presidente del Consiglio dei Ministri, che presiede il Governo. Nella Repubblica presidenziale gli elettori (cioè il Popolo) eleggono direttamente il Presidente della Repubblica, il quale diventa sia Capo dello Stato, che del Governo. Un tipico esempio di questa forma di governo è in vigore negli Stati Uniti. Il Premierato è una “pseudo-forma di governo” non ben definita basata sulla legittimazione popolare del Capo di Governo (Premier).
Quale che sia il metodo di designazione di quest’ultimo e la qualificazione costituzionale del ruolo, ciò che determina la natura della sua leadership (e degli assetti di regime politico che ne conseguono) è il tipo di rapporti di potere che lo legano al Governo, da una parte, e al Parlamento, dall’altra: per cui si parla di premierato “forte” o “debole”, a seconda del modo e del grado di autonomia e di supremazia nel rapporto Governo-Parlamento. In Italia una forma di premierato forte l’abbiamo vissuta già più volte.
Quale delle tre forme di governo, presidenziale, parlamentare o premierato, sia più idonea ad avvicinare l’Italia ai Paesi in cui la democrazia funziona da secoli? La mia scelta cade sulla forma parlamentare. È l’opzione più democratica e più italiana anche se non ha espresso mai a pieno le sue potenzialità per le degenerazioni dei partiti che da centro di interessi pluralistici sono divenuti poi partitocratici originando una precaria governabilità e crisi politiche frequenti.
Una democrazia rappresentativa, per funzionare, potrebbe anche essere bipartitica. Del tema, del resto, ne discussero anche i nostri Padri Costituenti con l’obiettivo di semplificare il quadro politico frammentario. Mi appello a tal proposito a Piero Calamandrei che in sede Costituente così disse: «Come si fa a far funzionare una democrazia che non possa contare sul sistema dei due partiti, ma che deve funzionare sfruttando o attenuando gli inconvenienti di quella pluralità di partiti la quale non può governare altro che attraverso un governo di coalizione?».
Ora il centrodestra, forte di un ampio consenso popolare, ci riprova con l’opzione presidenzialista, ma senza porre pregiudizi o preclusioni su altri modelli di riforma che mettano comunque i cittadini al centro delle scelte. Io sono per il legame diretto tra elettore ed eletto con le preferenze e con un bipartitismo alla inglese per superare definitivamente la stagione degli esecutivi che sovrastano il potere legislativo. Se riforma ci sarà spero sia con una maggioranza dei due terzi del Parlamento, evitando il rischio della demolizione con i referendum confermativi. La vera forza di una democrazia a mio parere non si gioca sulla governabilità ma sulla rappresentanza.
-
POLITICAArticolo
Alluvione Emilia e PNRR, De Raho: “Al lavoro per capire se le Istituzioni hanno appoggiato la criminalità organizzata”
-
VISIONI UNDERGROUNDArticolo
Che fine hanno fatto i P.O.D. dopo la damnatio memoriae a cui il mainstream ha tentato di relegarli
-
SPACEArticolo
Astronomi entusiasti. C’è una nuova Supernova sulla piazza