
Spunta “il piano B” della Meloni (che Rec News aveva già anticipato)
Un patto di ferro tra la leader di Fratelli di’Italia Giorgia Meloni e l’attuale leader del Pd Enrico Letta. Rec News ne ha parlato in esclusiva lo scorso 15 luglio, quando ha rivelato le “prove tecniche di intese larghe o per meglio dire innaturali”. Oggi, quasi un mese dopo, sul Giornale d’Italia è spuntato un interessante “insight riservato” – in realtà noto a chi ha referenti nel partito – a firma di Marco Antonellis, che in sostanza conferma ben tre anticipazioni del sito che state leggendo
Un patto tra la leader di Fratelli di’Italia Giorgia Meloni e l’attuale leader del Pd Enrico Letta. Rec News ne ha parlato in esclusiva lo scorso 15 luglio, quando ha rivelato le “prove tecniche di intese larghe o per meglio dire innaturali”. Oggi, quasi un mese dopo, sul Giornale d’Italia è spuntato un interessante “insight riservato” – in realtà noto a chi ha referenti nel partito – a firma di Marco Antonellis, che in sostanza conferma ben tre anticipazioni del sito che state leggendo: l’unione di intenti tra le due figure politiche solo apparentemente agli antipodi, la volontà di Meloni di desalvinizzare il futuro governo e la possibilità di un Draghi bis, attorno a cui si svilupperebbe l’alleanza della strana coppia.
“Io e Enrico Letta siamo un po’ come Sandra e Raimondo della politica italiana”, commentava qualche mese fa Giorgia Meloni a latere della presentazione del libro “Pedagogia e politica, costruire comunità pensanti” di Luciano Violante, Pietrangelo Buttafuoco ed Emiliana Mannese.
Scrive ora Il Giornale d’Italia:
Ai piani alti di Fratelli d’Italia cominciano a fare i piani A e i piani B. Il piano A prevede una vittoria abbondante del centrodestra con il conseguente approdo di Giorgia Meloni a palazzo Chigi. Il piano B è un po’ più complesso ma non meno interessante. Anzi, tra i consiglieri di Fdi se ne comincia a parlare visto che si ritiene che Berlusconi e Salvini possano crollare in campagna elettorale e quindi rendere vani gli sforzi della Meloni di arrivare a palazzo Chigi.
Insomma, se per colpa di Forza Italia e della Lega che stanno riproponendo campagne elettorali vecchie di anni il centrodestra non dovesse ottenere una vittoria degna di questo nome ecco che si sta già pensando ad un’alternativa che certamente troverebbe le orecchie attente di Sergio Mattarella: verificare la possibilità di un’alleanza tra i due partiti che usciranno vincitori dalle prossime elezioni, ovvero Fratelli d’Italia e il PD di Enrico Letta. Da soli potrebbero superare tranquillamente il 45% e con il contorno di qualche centrista (Calenda, Toti, Lupi, Di Maio, Renzi) non avrebbero problemi a rimettere in piedi la grande coalizione, stavolta però tagliando le ali estreme ovvero Salvini e Conte (non Forza Italia perché Silvio Berlusconi farebbe il diavolo a quattro per essere della partita anche dopo aver defenestrato Mario Draghi).
A quel punto sarebbe un gioco da ragazzi per Sergio Mattarella chiedere a Mario Draghi di restare a palazzo Chigi con un doppio vantaggio per Giorgia Meloni ed Enrico Letta: potrebbero ridisegnare le coalizioni di centro-destra e centro-sinistra a loro immagine e somiglianza disfacendosi da un lato di Matteo Salvini (Berlusconi tanto ormai è a fine corsa) e dall’altro di Giuseppe Conte. Ma avrebbero anche un altro grande vantaggio: sarebbe Mario Draghi a togliere le castagne dal fuoco almeno per i prossimi due o tre anni che saranno quelli più duri per la probabile recessione e in attesa che finisca la guerra tra Russia e Ucraina. Successivamente sarebbe molto più facile per la politica tornare a governare il paese da palazzo Chigi. Non senza però aver spedito Mario Draghi al Quirinale.
Già, perché questa è la postilla dell’accordone che si va delineando ai piani alti dei partiti. Il piano B prevederebbe infatti anche delle riforme costituzionali tra cui quella in senso presidenziale (o comunque il rafforzamento dei poteri del governo) tanto cara a Giorgia Meloni. Riforme che una volta approvate manderebbe necessariamente a casa Sergio Mattarella. A quel punto sarebbe Mario Draghi a salire al Colle e Giorgia potrebbe tranquillamente approdare a palazzo Chigi. Ma in una situazione certamente più facile di quella che troverebbe andando al governo in autunno. E magari come “cadeau” troverebbe anche un repubblicano alla Casa Bianca, cosa che gli faciliterebbe non poco il compito.
In sostanza il piano B di Fratelli d’Italia prevede l’epurazione di uno degli alleati di coalizione. Messo Matteo Salvini gentilmente alla porta dopo averlo sfruttato dove serviva in campagna elettorale, Meloni potrebbe finalmente assecondare le sue ambizioni sul presidenzialismo e la premiership. Si presterebbe, a quel punto, a un secondo governo Draghi cui lascerebbe tutte le gatte da pelare (la leader di Fratelli d’Italia tuttora non nasconde il suo appoggio incondizionato al “banchiere centrale senza cuore”) e si accomoderebbe, alla fine del tortuoso percorso politico, sulla poltrona di Palazzo Chigi.
Quello che però non viene considerato nello scenario, è che il passaggio verso il presidenzialismo auspicato proprio dalla leader di Fratelli d’Italia per assecondare le radici missine del partito, non sarebbe così automatico. Di certo non basterebbe il tentativo di accentrare tutto il potere nelle mani del premier, a meno che non ci si voglia prestare a un golpe istituzionale. Ci sarebbe da depennare la figura del presidente della Repubblica e a conti fatti servirebbe una riscrittura completa di tutta una parte della Costituzione, e non è detto che l’iter di per sé molto lungo trovi d’accordo tutti i partiti. Anche se c’è da dire che il Parlamento già depotenziato dai tagli si potrebbe rivelare funzionale alle mire della Meloni.
Rec News dir. Zaira Bartucca – recnews.it
POLITICA
Infiltrazioni nei flussi migratori e contrasto dei reati online contro i minori. Piantedosi fa il punto con l’omologo giapponese

Questa mattina il Ministro dell’Interno Matteo Piantedosi ha avuto una call preparatoria, in vista della prossima ministeriale G7 che si terrà in Giappone a Mito, con il ministro dell’Interno giapponese Yoshifumi Matsumura.
“Piena sintonia tra le nostre agende e durante la Presidenza italiana nel 2024 garantiremo continuità ai temi in discussione, portando avanti numerosi punti in comune. Innanzitutto promuoveremo il dibattito sulle principali minacce provenienti dalla criminalità organizzata transnazionale, e in quest’ambito proporremo di approfondire in particolare il tema del contrasto ai trafficanti di migranti e alla tratta di esseri umani” ha dichiarato Piantedosi.
Altro tema al centro del colloquio, il contrasto al terrorismo e la prevenzione del rischio di possibili infiltrazioni di terroristi nei flussi migratori illegali. Nel corso del colloquio i due ministri hanno affrontato anche altri temi quali l’Intelligenza Artificiale, le minacce provenienti dal web quali lo sfruttamento sessuale dei minori online, il contrasto al narcotraffico.

L’associazione ambientalista Fare Verde ETS ODV ha espresso “forti perplessità” in merito alla premiazione ricevuta da Acea Ambiente per l’impianto di San Vittore del Lazio alla fiera eco-green sull’economia circolare Ecomondo 2023, anche in considerazione delle “numerose segnalazioni alla Commissione Europea e alla varie procure inerenti la scarsa sostenibilità dell’impianto e addirittura la presunta erronea classificazione ad “impianto a recupero energetico”.
“L’area dove è ubicato l’impianto – fanno sapere dall’associazione – è considerata area di risanamento per ciò che concerne i PM10. Lo stesso sembrerebbe non essere autorizzabile ad operazioni a recupero energetico e quindi assimilabile a “termovalorizzazione”, ma in maniera inverosimile risulta piuttosto essere un semplice inceneritore a terra. Che un semplice inceneritore possa essere premiato ad una fiera “eco-green” – rimarcano gli interessati – è alquanto esilarante, soprattutto in considerazione del fatto che l’impianto è causa di un problema di doppio inquinamento, scaturito dal mancato utilizzo ogni anno di enormi quantitativi di energia termica che in Comuni ad alta densità di popolazione devono poi essere prodotti attraverso combustibili fossili, pellet, lega ecc., e di “triplo inquinamento” dovuto al fatto che la maggior parte dei rifiuti trattati provengano dal Comune Roma distante circa 150 km da San Vittore”.
“Circa 15.000 viaggi all”anno su appositi camion adibiti al trasporto di rifiuti conducono – concludono dall’associazione – a un’immissione in atmosfera di una quantità di anidride carbonica superiore a quella direttamente derivante dall’attività dell’inceneritore stesso. Senza alcun pregiudizio e convinti del fatto che gli organizzatori non potevano essere a conoscenza di quanto esposto, si invita gli stessi ad effettuare valutazioni più attente e conformi”.
POLITICA
Pass, varchi con tornelli e pagamenti. L’accesso alla Serenissima non sarà più libero

Dal 2024 l’ingresso nella Serenissima non sarà più libero. E’ quanto ha stabilito il “Regolamento per l’istituzione e la disciplina del Contributo di accesso, con o senza vettore, alla Città antica del Comune di Venezia e alle altre Isole minori della Laguna” approvato con la delibera dello scorso 12 settembre dai due terzi del consiglio comunale. Il regolamento dispone – per il prossimo anno – l’introduzione del “Venice Pass”. Si parla di varchi con tornelli d’ingresso nei punti strategici della città e del pagamento di un biglietto che varierà dai 3 ai 10 euro a persona, a seconda del giorno e dell’affluenza. Previsti controlli e multe che oscillano dai 30 ai 500 euro per chi non si conforma e non espone il QR Code che gli verrà assegnato.
Non c’è, però, solo il regolamento approvato dal Comune che introduce dei blocchi fisici all’ingresso della città. Perché dopo il contestato via libera di Palazzo Dandolo Farsetti è stato tutto un fioccare di app e servizi associati all’idea di limitare l’accesso ai luoghi cult di Venezia e a fare, con l’occasione, cassa facile. Per esempio è sbucata l’omonima app “Venice Pass“, che fa capo al circuito Italy Pass che sta già interessando città come Roma e Napoli. Prevede tre forme di abbonamento, la più costosa delle quali arriva a 99.90 euro – visite incluse – per cinque giorni di permanenza nella città lagunare. C’è poi il “Venezia è Unica City Pass“, acquistabile direttamente dal sito del Comune e personalizzabile in base ai luoghi e alle attività scelti.
Nuovi Pass, insomma, per limitare l’accesso a determinati luoghi. Questa volta a farne le spese sarà chi vorrà visitare liberamente Venezia o i cosiddetti turisti “mordi e fuggi”, che una volta giunti presso i luoghi strategici della Serenissima si troveranno di fronte a eloquenti varchi e tornelli che gli sbarreranno la strada. Il regolamento oltre a porre evidenti discriminazioni di base tra chi può accedere liberamente a Venezia e chi no, introduce anche le “giornate a bollino nero”, quelle cioè caratterizzate da una maggiore affluenza in cui si pagherà l’importo massimo e ci sarà un limite fissato di persone che possono accedere.
Alcuni potranno avere l’esenzione, ma solo registrandosi a una piattaforma
Si legge, poi, sul sito del Comune di Venezia: “Si è stabilito che il Contributo di accesso dovrà essere corrisposto da ogni persona fisica, di età superiore ai 14 anni, che acceda alla Città antica del Comune di Venezia, salvo che non rientri nelle categorie di esclusioni ed esenzioni”. Le prime riguardano residenti, lavoratori, studenti e chi ha pagato l’IMU al Comune di Venezia, le seconde chi risiede in strutture ricettive, chi deve curarsi, chi partecipa a gare sportive e chi fa parte delle Forze dell’Ordine. Per chi può essere esentato, tuttavia, il privilegio non sarà automatico, ma subordinato alla registrazione online su una piattaforma dedicata che servirà a programmare la visita in anticipo.
Si direbbe che il Venice Pass e il relativo regolamento costituiscano un altro precedente pericoloso in fatto di mancato rispetto delle libertà costituzionalmente garantite, ma c’è un aspetto confortante. L’applicazione del regolamento – programmata per la primavera dell’anno prossimo – sarà preceduta da una fase sperimentale della durata di 30 giorni spalmati su un anno, che servirà a “valutare l’efficacia del nuovo sistema di accesso” e, probabilmente, anche il grado di accettazione della misura draconiana. Non è da escludersi, dunque, che possa rivelarsi un flop, esattamente come le altre iniziative simili che lo hanno preceduto.

Durante un’intervista nel programma L’Italia s’è desta di Radio Cusano, il costituzionalista Fulco Lanchester ha commentato il disegno di legge per tentare di introdurre in Italia l’elezione diretta del presidente del Consiglio. “Notiamo bene – ha detto – che già a inizio di agosto l’onorevole Matteo Renzi aveva presentato un progetto simile ma molto differente” (quello del “sindaco d’Italia” relativo alla modifica degli articoli 92 e 94, ndr).
“Gli somigliava, ma qui ci sono almeno sette punti di problematicità. Si è voluto, in verità, trovare l’identità tra masse e capo. Quindi è un progetto che confligge con gli standard del costituzionalismo democratico basato sull’equilibrio e sulla separazione dei poteri, distrugge la collaborazione elastica tra gli organi costituzionali di indirizzo attivo, ma soprattutto – ha sottolineato – istituisce un obbligo di mandato imperativo dei parlamentari in violazione dell’articolo 67 della Costituzione”
“Per la prima volta si inseriscono, all’interno del testo costituzionale, le previsioni confuse e inusitate di un sistema elettorale maggioritario con premio del 55% senza stabilire la soglia minima. E vi sono sentenze della Corte Costituzionale, in particolare la sentenza 35 del 2017, che hanno dichiarato l’Italicum incostituzionale proprio per questo motivo”, ha spiegato Lanchester elencando le diverse criticità all’interno della riforma.
“Si ritorna al sistema ipotizzato dall’on. Silvio Berlusconi nel 2004/05, quando diceva che alla Camera avrebbero dovuto votare soltanto i presidenti dei gruppi parlamentari perché in realtà rappresentano l’azionariato principale. Poi, non si affronta il problema della legislazione elettorale di contorno, il finanziamento, il rimborso delle spese elettorale, l’eguaglianza delle opportunità fra i concorrenti. Per questo motivo – ha continuato – credo che il progetto abbia ancora bisogno di un’elaborazione. È stato fatto, in realtà, anche per motivi pubblicitari in vista delle prossime elezioni europee, per caratterizzare un indirizzo che altrimenti sarebbe stato oscurato dalle difficoltà economiche e di comunicazione che si sono evidenziate in settimana”.
Si è infine parlato dei punti riguardanti i senatori a vita e i governi tecnici, a tal proposito Fulco Lanchester ha precisato: “Per quanto riguarda i senatori a vita, si elimina il secondo comma dell’articolo 59 e dunque la possibilità per il capo dello Stato di nominare 5 senatori a vita. Per quanto riguarda il secondo argomento, il governo tecnico deriva da problemi di instabilità del sistema dei partiti e dall’astensionismo elettorale. Sono tutti problemi che devono essere risolti ricostruendo il rapporto fra corpo elettorale, il sistema dei partiti e le istituzioni”.
“La sovranità appartiene al popolo che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione”: c’è sempre questo problema. Alcuni sottolineano che la sovranità appartiene al popolo e altri mettono in evidenza che la Costituzione dice che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione. Questo progetto salta dall’articolo 1 all’articolo 94, evidenziando un circuito di identificazione tra corpo elettorale e il potere di indirizzo concentrato nel Presidente del Consiglio e nel suo governo. In realtà – ha concluso Lanchester – il sistema è liberaldemocratico, e il costituzionalismo liberaldemocratico è basato sulla separazione dei poteri e anche sul fatto che ci possano essere delle vie di uscita”.