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AL PRESIDENTE DEL TRIBUNALE DI ROMA
AL PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI ROMA
AL PRESIDENTE DELL’UNIONE DELLE CAMERE CIVILI
AL PRESIDENTE DELL’UNIONE DELLE CAMERE PENALI
AL CONSIGLIO DELL’ORDINE DEGLI AVVOCATI DI ROMA
AL CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE

LETTERA APERTA – APPELLO


Alle Signorie Vostre Illustrissime, ciascuno per le proprie competenze, per un immediato ripristino della legalità giuridica e giudiziaria, e per la salvaguardia delle funzioni difensive nei processi avverso:

  • L’eversione dell’ordinamento costituzionale; delle fonti del diritto e della legalità sostanziale;
  • La violazione dei diritti fondamentali della persona umana;
  • La limitazione della funzione difensiva, della libertà e dell’autonomia della professione forense;

Premesso:

il biennio trascorso in condizione di eccezione, di tolleranza e sopportazione, il decreto legge n. 1 del 7 gennaio 2022 ha superato il limite del giuridicamente accettabile, introducendo una normativa che incide in maniera insostenibile sullo svolgimento pratico delle attività assistenziali e difensive prestate quotidianamente da ogni avvocato. A prescindere dalle varie posizioni di carattere etico o ideologico, non può ignorarsi quale e quanta irragionevolezza pervada la disposizione di cui all’art. 9 sexies comma 4 DL 52/2021 come modificato dal DL 1/2022, laddove prevede che nei luoghi della giustizia possano accedere esclusivamente avvocati muniti di certificazione verde covid-19 (c.d. green pass), causando il rischio che una parte processuale venga deprivata del proprio difensore di fiducia mentre, invece, il comma 8 dell’art. 9 sexies cit., nel prevedere che parti e testimoni non siano soggetti a green pass o a screening, lascia impregiudicato il pericolo che possano contagiare gli altri presenti in aula, nei corridoi o nelle cancellerie.

Sul punto così si è appena (09/01/2021) espresso il Presidente dell’Ordine degli Avvocati di Milano Avv. Vinicio Nardo: «Comunque la si pensi su vaccini, contagi, varianti e tamponi, non si può sentire una legge che sostanzialmente dice “il legittimo impedimento non vale come legittimo impedimento”. E’ successo in passato con una poco gloriosa sentenza della cassazione, ma lì il tema era l’abuso del diritto. Qui invece parliamo di “esercizio” di un diritto. Ed il problema non è come sostituire il difensore senza pass. Il problema (ben più grave perché va alla radice dell’art. 24 della Costituzione) è privare il cittadino del diritto di scegliersi l’avvocato».

Allo stesso modo, avendo la norma affidato il fine di tutelare la “salute pubblica e mantenere adeguate condizioni di sicurezza” ad un certificato amministrativo rilasciato sulla base dell’esito negativo di un test di screening, il nuovo comma 4 dell’art. 9 sexies DL 52/21 pone una limitazione non solo irrazionale e discriminatoria, ma addirittura pericolosa per la salute altrui in ragione dell’ingresso nei tribunali consentito a soggetti (anche colleghi avvocati) contagiati e contagiosi muniti di un certificato verde a lunga scadenza – che quindi non effettuano alcuno screening – posto che è riconosciuto dalle autorità sanitarie che i sieri vaccinali non garantiscono né l’immunità né la sterilità.

Ciò ovviamente sarebbe di lampante evidenza per chiunque si ponga nella prospettiva della efficacia di una misura preventiva di natura sanitaria che tale non è, e questa nuova disciplina “emergenziale” lo dimostra. Anche la gestazione del testo normativo è stato malcelato da bozze che annunciavano un giusto periodo di adeguamento (come peraltro fatto nei precedenti decreti legge), senza considerare le note difficoltà delle farmacie e dei centri vaccinali per la elevata domanda di tamponi – oggi pure riservata a categorie prioritarie indicate dal Ministero della Salute – il tutto ignorato dall’adozione nottetempo di una disciplina che nuovamente ha tradito la fiducia nel patto sociale con l’imposizione di un obbligo deciso il venerdì 7 gennaio per farlo entrare in vigore il lunedì 10 gennaio.

Ma l’aggressione che la disciplina fa ai principi fondanti l’esercizio della professione forense è data dal nuovo comma 8 bis dell’art. 9 sexies del DL 52/21 introdotto dall’art. 3 DL 1/22 laddove dispone che “l’assenza del difensore conseguente al mancato possesso o alla mancata esibizione della certificazione verde COVID-19 di cui al comma 1 non costituisce impossibilità di comparire per legittimo impedimento.” In altri termini, non solo si priva il giudice dello ius dicere, della facoltà di stabilire la natura di un fatto concreto, giuridicamente rilevante e parte di un rapporto processuale, ma si limita gravemente l’avvocato nell’esercizio autonomo, libero e indipendente della propria funzione, che pertanto viene sottoposto ad un obbligo di trattamento tanto inutile (per come concepito) quanto gravoso (per l’attuale contesto sociale).

Impedire all’avvocato o al difensore di accedere agli uffici giudiziari comporta che la parte assistita in giudizio incorrerà in preclusioni processuali, delle quali risponderà, disciplinarmente e civilmente, lo stesso difensore, nonostante l’assenza sia riconducibile ad un fatto ad esso non imputabile. L’avvocato, dunque, in virtù di questa normativa, se non esibirà il certificato verde perderà il cliente e sarà esposto a responsabilità professionale, oltre che ricevere un danno alla propria reputazione che è alla base della professione forense.

Tale normativa colloca l’avvocato senza certificazione verde in posizione diseguale e peggiorativa rispetto agli altri lavoratori assoggettati allo stesso controllo per lavorare, atteso che essi, per espressa previsione normativa, non sono soggetti a provvedimento disciplinare e non perdono il posto di lavoro: è evidente, infatti, l’illegittimità dell’art. 3, comma 1, lett. b), del Decreto Legge del 7 gennaio 2022, n. 1, che, oltre a comportare una violazione del diritto di difesa, arrecherà un pregiudizio irreparabile alla Avvocatura tutta. La novella normativa, in questo modo, divide in due la categoria degli avvocati, assegnando solo a coloro in possesso di un certificato amministrativo la possibilità di poter accedere negli uffici giudiziari, di presenziare alle udienze e di esercitare doverosamente e liberamente la professione forense.

Solo l’idea dovrebbe far inorridire un giurista, figurarsi un avvocato del libero foro ed a fortiori l’ente rappresentativo della categoria forense, circondariale e nazionale, che non possono rimanere silenti innanzi all’asservimento della professione forense al possesso di una certificazione amministrativa posta quale condizione legittimante per l’accesso ai luoghi di giustizia ove si svolge il servizio costituzionale della tutela dei diritti dei cittadini. Invero, la menzionata disposizione normativa si pone in netto contrasto con gli artt. 111, 24 e 3 della Costituzione, come pure con il diritto sovranazionale. Impedire l’accesso agli uffici giudiziari agli avvocati e agli altri difensori sprovvisti della certificazione verde COVID – 19 si risolve, di fatto, in una violazione del diritto di difesa, definito dall’art. 24 della Costituzione “inviolabile”, e quindi non sottoponibile a condizione, nonché del principio del giusto processo espresso dall’art. 111 della Costituzione.

La difesa tecnica, che altro non è che estrinsecazione del diritto di difesa, non può essere in alcun modo impedita, proprio in virtù del principio di inviolabilità sancito dal citato art. 24 della Costituzione. L’art. 3, comma 1, lett. b) del Decreto Legge del 7 gennaio 2022, n. 1, ha come inesorabile effetto quello di privare i cittadini assistiti da un difensore, che per disparate ragioni potrebbe non essere in possesso della certificazione verde COVID – 19, della difesa tecnica in giudizio. È inutile qui menzionare le gravissime ripercussioni che siffatta privazione avrà sul diritto di difesa, essendo notorio il pregiudizio che deriverebbe dall’assenza del difensore in giudizio (decadenza, inammissibilità, improcedibilità e altre
preclusioni processuali relative alla difesa in giudizio).

CONSIDERATO CHE: Il D.P.R. n. 445 del 28 dicembre 2000 meglio noto come “Testo Unico delle disposizioni legislative e regolamenti in materia di documentazione amministrativa” stabilisce che tutti i cittadini che entrano in contatto con le pubbliche amministrazioni possono sostituire o, meglio, costituire i tradizionali certificati amministrativi o, comunque, i documenti concernenti stati, qualità personali e fatti, con dichiarazioni sostitutive dei certificati o documenti medesimi, che hanno la stessa efficacia e validità temporale dell’atto che vanno a sostituire.

Con le modifiche apportate dall’art. 15 Legge 12.11.2011 n. 183 all’art .40 del D.P.R. 445/2000 si è stabilito che “Le certificazioni rilasciate dalla pubblica amministrazione in ordine a stati, qualità personali e fatti sono valide e utilizzabili solo nei rapporti tra privati”, tant’è che sui certificati amministrativi è prevista, a pena di nullità dell’atto, l’apposizione della seguente formula “Il presente certificato non può essere prodotto agli organi della pubblica amministrazione o ai gestori di pubblici servizi” e che nei rapporti con gli organi della pubblica amministrazione e con i gestori di pubblici servizi, invece, “i certificati
amministrativi e gli atti di notorietà sono sempre sostituiti dalle dichiarazioni di cui agli articoli 46 e 47”.

L’art. 47 del D.P.R. 445/2000, al terzo comma, stabilisce che “fatte salve le eccezioni espressamente previste per legge, nei rapporti con la pubblica amministrazione e con i concessionari di pubblici servizi, tutti gli stati, le qualità personali e i fatti non espressamente indicati nell’articolo 46 sono comprovati dall’interessato mediante la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà“. L’art. 74 DPR 445/2000 qualifica il rifiuto del pubblico funzionario di ricevere l’autocertificazione come una violazione dei doveri d’ufficio. La c.d. autocertificazione, infine, è stata già ampiamente richiesta ed utilizzata nel contesto e dalla normativa emergenziale per l’attestazione di stati e condizioni personali – anche di natura sanitaria – e che la nuova disciplina introdotta con il DL 1/22 non pone alcun limite espresso o esclusione o abrogazione del T.U. 445/2000

Per premesso e considerato, AVVOCATI LIBERI COMUNICANO: Alle SS.LL. che dall’entrata in vigore dell’obbligo di possesso del c.d. green pass per l’accesso ai luoghi della giustizia, il possesso e l’esibizione del detto certificato sarà sostituito da un’autocertificazione di cui all’art. 47 D.P.R. 445/2000 con cui, previa auto-somministrazione di un test antigenico rapido, si attesterà, sotto la propria responsabilità penale, la condizione e lo stato di salute dell’avvocato (positività o negatività all’infezione da sars-cov-2). Si chiede pertanto ai capi degli uffici giudiziari in intestazione di informare adeguatamente il personale deputato al controllo all’ingresso dell’obbligo giuridico di accettare l’autocertificazione ai sensi e per gli effetti dell’art. 47 e 74 DPR 445/2000, e che il rifiuto consuma un illecito disciplinare, peraltro aggravato da ulteriore violazione se al rifiuto si aggiunga la pretesa dell’esibizione del certificato amministrativo sostituito.

CHIEDONO: se, come previsto dalla RU 953, chi sarà addetto ai controlli della certificazione verde e/o dell’autocertificazione sopra menzionata, abbia la qualifica di funzionario USMEF prevista da circolari del Ministero della Salute e facciano parte del NAS o siano in altro modo autorizzati dal Ministero. se, relativamente a tali incombenze, i soggetti delegati al controllo abbiano svolto i previsti corsi di aggiornamento del Ministero della Salute per le letture dei Q-code, per l’acquisizione ed il trattamento dei dati personali sensibilissimi presenti nel green pass o nell’autocertificazione, nonché sulla base di quale documento di delega siano incaricati del presente servizio.

AVVISANO: le pubbliche amministrazioni in indirizzo che verrà richiesto dall’avvocato, al momento dell’ingresso nei luoghi della giustizia, l’esibizione da parte del soggetto controllore della documentazione anzidetta e che, in caso di rifiuto, verrà proposto il relativo esposto/denuncia. Le pubbliche amministrazioni interessate che, sin da subito, eventuali ritardi o inadempimenti alle prestazioni professionali per cui gli avvocati sono tenuti ad accedere agli Uffici giudiziari, saranno posti a carico civilmente e penalmente di coloro che, eventualmente senza titolo, porranno in essere i comportamenti di ostacolo alla prestazione professionale forense.

DIFFIDANO: Le pubbliche amministrazioni in indirizzo a garantire la sicurezza sul lavoro a tutti gli operatori della giustizia, compresi gli avvocati, e compresi quelli non vaccinati per l’esposizione dei rischi da contagio con soggetti che, pur se vaccinati, siano portatori del virus senza che ciò venga rilevato all’ingresso con gli appositi test di screening obbligatorio solo per coloro che non si sono vaccinati, attuando in maniera efficiente e prudente ogni misura idonea a salvaguardare le finalità di cui al D.Lvo 81/08. In caso che a causa della acritica – irragionevole e pericolosa – applicazione della normativa introdotta aumenti il rischio e conduca al contagio l’avvocato non vaccinato per fatto od in occasione della sua vicinanza nelle aule di giustizia con soggetto infetto e contagioso ma non monitorato, si chiederanno i danni economici e materiali all’Autorità tenuta al controllo.

INVITANO: il Consiglio Dell’Ordine degli Avvocati di Roma ed il Consiglio Nazionale Forense a promuovere nei confronti dell’Autorità Giudiziaria e delle Pubbliche Amministrazioni il rispetto della legalità, della giustizia e dei principi fondanti l’attività forense, garantendo ad ogni avvocato la possibilità di esercitare liberamente – senza discriminazioni di sorta – la professione in conformità alla Costituzione, alla legge in vigore, al codice deontologico forense, alla proporzionalità ed adeguatezza delle misure emergenziali e, al contempo, l’equo bilanciamento della tutela della salute collettiva, di quella individuale e delle prerogative difensive, con l’avvertenza che, nell’eventualità che si persista nell’esigere una prestazione impossibile o eccessivamente onerosa, si adirà qualsiasi autorità giudiziaria nazionale o sovranazionale, civile e penale, cui denunciare i responsabili della violenza privata, dell’abuso d’ufficio e dell’interruzione di pubblico servizio che si verrà a consumare impedendo ad un avvocato l’accesso in Tribunale in condizioni personali di buona salute e di sicurezza sanitaria.

Con riserva di maggiore approfondimento della legittimità della normativa in questione.
*firmatari: Avv. Angelo Di Lorenzo, Avv. Roberto Martina, Avv. Giorgia Tripoli; Avv. Giovanni Calapaj; Avv. Elena Feresin, Avv. Federica Fantauzzo; Avv. Emilia Caruso; Avv. Antonietta Veneziano; Avv. Angela Coviello; Avv. Emilio De Stefano; Avv. Clorinda Ricci; Avv. Giovanni Carmagnola; Avv. Monica Ghiloni; Dr. Luca Mondelli; Avv. Maria Rosaria Faggiano; Avv. Nicolina Bellardita; Avv. Deborah Valent; Avv. Massimo Agerli; Avv. Vincenzo Nicoletti; Avv. Emanuele Di Martino; Avv. Eleonora Borelli; Avv. David D’Agostini; Avv. Silvia Pieroni; Avv. Francesca Villa; Avv. Grazia Porro; Avv. Rosa Di Dato; Avv. Teresa Rocco; Avv. Andrea Castellarin; Avv. Manuela Romano; Avv. Alessandra Zampini; Avv. Denise Serena Albano; Avv. Domenico Piccolo; Avv. Andrea Viel; Avv. Carmela Chicchinelli; Avv. Stefano Stochino; Avv. Stefano Galeani; Avv. Laura Barberio; Avv. Aldo Minghelli; Avv. Erica F. Filippini; Avv. Claudia Cova.

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federica

benissimo, speriamo si sveglino presto anche i Magistrati !

Gisella

Condivido pienamente con voi . L avvocatura non può continuare a rendersi complice con l attuale regime politico dell’ abbattimento dello Stato di diritto e della Democrazia

Roberto

Complimenti ! Condivido l’iniziativa con i purtroppo pochi colleghi del mio Foro di appartenenza che hanno ancora rispetto dei diritti costituzionali.

AVV. Emanuela Ferazzoli

Condivido ogni singola parola! Bisognerebbe poterlo estendere ad ogni Foro!

Pietro

Condivido pienamente

LETTERE

La Psicologia Artistica

di Paolo Battaglia La Terra Borgese*

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La Psicologia Artistica | Rec News dir. Zaira Bartucca

La psicologia ha da qualche tempo cercato di rendersi conto della natura dei fatti artistici in riferimento alla psiche umana, sollevando una serie di problemi ai quali, se non una soluzione, ha dato almeno una impostazione seria e chiara.

Il tentativo di spiegare psicologicamente l’arte e l’artista incontra naturalmente i suoi limiti in due ordini di fatti: il primo è che la psicologia non è ancora in grado di precisare metodi e soluzioni definitive rivolgendosi a un campo, l’interiorità umana, che proprio per sua natura è molto difficile a cogliere in modo sperimentale nella sua purezza.

Il secondo è che la psicologia artistica vale, in ogni caso, ad illuminare un tipo di condizioni dell’esperienza estetica dell’uomo, ma non già l’esperienza estetica nella sua complessità e varietà di piani: i suoi risultati saranno perciò inadeguati a una completa spiegazione del fenomeno artistico.

È tuttavia di grande importanza rivelare i problemi che la psicologia moderna ha sollevato nel campo dell’estetica. Tali studi sono stati condotti soprattutto negli USA in corrispondenza alla tendenza generale della cultura di quel Paese di risolvere con lo psicologismo l’intera vita spirituale. Una prima serie di questioni s’innesta all’osservazione dell’attività creativa. Si studia, in questo caso, il funzionamento della mente dell’artista nella misura in cui essa può essere sperimentata.

Si procede a distinguere diverse fasi: una di preparazione, una di incubazione, una di illuminazione, una di verifica, e si riconosce in questo processo un atteggiamento particolare dell’artista verso gli oggetti della sua esperienza; atteggiamento che, a confronto dell’uomo normale, rivela maggiore attività del soggetto e una sua tendenza a esprimere qualche cosa da sé. La fonte di questi studi è naturalmente costituita in gran parte dalle confessioni degli stessi artisti.

È per esempio comune a molti di essi lavorare per molto tempo alla ricerca di una felice intuizione che rischiari tutta l’opera e che si verifichi solo più tardi e improvvisamente; dunque la psicologia forma l’ipotesi che il cosiddetto lavoro senza frutto sia in realtà necessario perché un meccanismo psichico si organizzi e riesca, alla fine, a produrre un risultato positivo. Un altro genere di analisi è rivolto a scoprire le reazioni psicologiche dell’artista nel corso della stessa esecuzione dell’opera: le bozze, le correzioni, le prove, i rifacimenti possono testimoniare il succedersi di reazioni emotive che hanno guidato il lavoro dell’artista e che la psicologia cerca di rintracciare e spiegare.

L’indagine psicologica si rivolge poi all’ambiente culturale e sociale in cui vive l’artista e cerca di trarre un duplice ordine di conclusioni: anzitutto accertare l’influenza dell’ambiente sulla formazione mentale dell’artista, e, in secondo luogo, scoprire come l’artista stesso reagisca alle condizioni in cui gli è stato dato di vivere. In questo caso possono costituire materia di informazioni alla scienza sia le opere, sia il comportamento dell’artista nelle sue relazioni sociali.

Ancora, la psicologia studia il formarsi del gusto e il particolare sviluppo che la mentalità dell’artista segue per arrivare a compiere la propria destinazione estetica. In definitiva, questa parte della psicologia artistica si pone il problema di indagare le condizioni fisiopsichiche della creazione artistica e che cosa le faccia differire dalla struttura psicologica dell’uomo normale.

Una seconda serie di ricerche si appunta invece ai valori estetici delle opere d’arte per sapere a quali reazioni psicologiche corrisponda nel contemplare l’esperienza della bellezza. Si tratta, in altre parole, di vedere quali sono le qualità di un’opera che suscitano in noi emozioni tali per cui noi affermiamo di trovarci dinnanzi alla bellezza artistica. Si possono allora distinguere, nel fenomeno della contemplazione, gli elementi riguardanti l’atteggiamento dello spettatore (visione disinteressata, intuizione, catarsi ecc.) e vedere a quali elementi obiettivi si debba riferirli.

L’estetica sperimentale studia appunto la forma oggettiva e le singole emozioni e reazioni che possono suscitare in noi e che, coi processi della psicologia, possono essere controllate e verificate. Studi di tal genere si propongono per esempio di accertare il valore emotivo delle pure forme geometriche (il perfetto rettangolo, la migliore croce, il profilo dorato), la piacevolezza dei colori, l’espressività delle linee e gli effetti della musica.

A proposito di quest’ultima, in particolare, sono state condotte indagini per rilevare il riflesso della melodia e del ritmo sui processi organici, l’umore che essi suscitano, l’uniforme tonalità sentimentale che creano nell’uditorio, il valore altamente emotivo del tempo veloce e del tempo lento con le particolari variazioni dei ritmi. A sua volta di fronte alla musica si distinguono i vari atteggiamenti dell’ascoltatore: c’è il tipo intersoggettivo che reagisce con impulso eccitativo, il tipo associativo che analizza e critica gli elementi della composizione, il tipo caratterizzatore che interpreta con qualità umane (morbidezza, allegria, misticismo) la musica stessa.

Allo stesso modo la recitazione e la lettura dei versi del periodo in prosa, la particolare cadenza della voce, la pausa, ecc. sono altrettanti piani d’indagine per uno studio che voglia fissare i riflessi psicologici della poesia e della letteratura. Analoghe ricerche vengono pure condotte per ogni altra arte.

Il termine «psicologia artistica» vale anche a significare la psicologia dei personaggi nelle opere di letteratura, specie nel romanzo. In tal caso si possono distinguere la posizione naturalistica che tende a riprodurre esattamente i movimenti fisiopsichici dell’agire umano e quella idealizzante che risolve i problemi psicologici in schemi ideali, per cui si sviluppa una psicologia che non è più quella dell’uomo reale, ma è un elemento della composizione artistica a cui concorre e alle cui leggi estetiche si sottomette. La psicologia diviene la forma stessa in cui si ordina l’agire dell’uomo nella letteratura.

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LA SEGNALAZIONE

“Mia sorella sottoposta senza motivo a quattro TSO”

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"Io, minacciato e obbligato a più di una decina di TSO, solo perché ho risposto a un vicino" | Rec News dir. Zaira Bartucca

Buongiorno gentilissima redazione. Vorrei narrarvi la storia di mia sorella di 54 anni, 4 tso e altrettanti ASO. Ultimo oggi, con obbligo iniezione con farmaco psichiatrico. È partito tutto da alcuni parenti che hanno segnalato al CPS di San Donato Milanese, dopodiché da anni siamo bersagliate da continue pressioni a fare cure inadeguate. Per evitare i TSO mia sorella ha dovuto accettare di fare questa iniezione mensile. Ci siamo rivolti a diverse associazioni e anche ad avvocati chiedendo aiuto, ma nulla è servito.

Mia sorella, M.M., ha fatto una relazione psichiatrica ed è stata riconosciuta sana di mente, ma dall’ospedale di Melegnano sostengono il contrario. Per loro mia sorella non è sana di mente, per loro è una persona schizofrenica e paranoide. Non hanno mai fatto una perizia che dimostri questa loro teoria, ma comunque loro continuano a fare ricoveri forzati e a propinare tutti questi farmaci che comunque nel tempo hanno lasciato i loro segni. Io stessa che non ho subito una violenza come il TSO ma ne subisco indirettamente gli effetti mi sento impotente, avvilita, priva di forze e sconfitta davanti a un sistema che ritengo sia dittatoriale.

Perché priva non solo la persona ma tutta la famiglia delle libertà di scelta di andare dal medico che ispira fiducia e scegliere le cure con piena consapevolezza. Chiedo a voi di pubblicare questa lettera e attendo vostre notizie speranzosa, ringraziando porgo cordiali saluti. A.M.

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LETTERE

Realizzare il sogno di Basaglia

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Realizzare il sogno di Basaglia | Rec News dir. Zaira Bartucca

A meno di una settimana dalla scomparsa del giovane di Lampedusa, che ha preferito gettarsi in mare dal traghetto piuttosto che subire un TSO, si è conclusa a Milano la mostra multimediale “Controllo sociale e psichiatria: violazioni dei diritti umani”. L’evento, organizzato dal Comitato dei Cittadini per i Diritti Umani (CCDU), ha attirato oltre mille visitatori in cinque giorni, molti dei quali hanno voluto esprimere parole di ringraziamento e di complimenti sul libro degli ospiti, e si è concluso con un convegno intitolato “180 – una riforma incompiuta”. 

Dopo i saluti del presidente del CCDU, avv. Enrico del Core, che ha voluto ricordare l’importanza vitale del diritto alla difesa nell’ordinamento costituzionale, il vicepresidente Alberto Brugnettini ha aperto i lavori ricordando le forti critiche e i dubbi espressi a suo tempo da Franco Basaglia nei confronti di una legge che, pur fregiandosi del suo nome, riproponeva le logiche manicomiali cambiandone solo il nome. 

I primi a parlare sono stati Fabio, che ha riferito i gravi maltrattamenti cui è stato soggetto suo fratello durante la sua lunga esperienza nei servizi psichiatrici ospedalieri, le angherie e i soprusi di cui è stato testimone oculare, e le condizioni ignobili in cui vivono i degenti – costantemente sotto il ricatto della contenzione se non fanno i bravi. 

Fabio ha concluso chiedendo che la medicina faccia un passo indietro e ammetta di non saper curare il disagio mentale. Maria Cristina Soldi, ha raccontato l’incredibile e dolorosa vicenda di suo fratello Andrea, ucciso a Torino nel 2015 durante un TSO. La vicenda legale si è chiusa recentemente con la condanna definitiva dei responsabili, ma resta l’amarezza per quanto è accaduto e per i particolari – assieme tragici e grotteschi. 

Andrea Soldi se ne stava tranquillamente seduto sulla panchina di un parco torinese quando lo hanno avvicinato due psichiatri chiedendogli di seguire uno di loro per un trattamento sanitario. Andrea avrebbe volentieri seguito il secondo psichiatra, di cui si fidava, ma fu obbligato con la forza a seguire l’altro. Sdraiato a pancia in giù e con le mani legate dietro alla schiena, Andrea morì soffocato durante il trasporto in ambulanza. I familiari si sentirono dire dai medici che il loro congiunto era morto d’infarto, per poi scoprire l’amara verità dalla stampa. 

La dottoressa Eleonora Alecci, psicologa e psicoterapeuta con un passato in un reparto psichiatrico in cui si praticava la contenzione, ha confermato che i fatti riferiti da Fabio sono la routine quotidiana, e ha ribadito il suo impegno verso il superamento di queste pratiche, impegnandosi in un programma di addestramento del personale medico e infermieristico, come anche spiegato nel corso di un suo recente intervento al congresso della Società Italiana di Psichiatria.  

La dottoressa Maria Rosaria D’Oronzo, collaboratrice per molti anni di Giorgio Antonucci – il medico e psicoterapeuta che liberò i “matti” del manicomio di Imola dimostrando al mondo intero che è possibile alleviare la sofferenza mentale senza usare forza o coercizione – ha ricordato il lavoro di Antonucci, e il suo profilo di umanitario, ben documentati nell’archivio online di cui la dottoressa D’Oronzo è curatrice. 

L’avvocato Michele Capano, dell’Associazione Radicale Diritti alla Follia e del Direttivo Radicale, ha denunciato l’incredibile contraddizione della legge italiana, che da una parte ha ratificato le risoluzioni ONU per la cessazione delle pratiche coercitive in psichiatria, e dall’altra mantiene in vigore una legge che le consente. L’Associazione Diritti alla Follia e il Comitato dei Cittadini per i Diritti Umani intendono lavorare assieme, e coinvolgere altre associazioni e individui, per una riforma della 180 in senso garantista, che superi questa contraddizione e realizzi il sogno basagliano. 

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LETTERE

Caro premier, si ricordi di tutti i totalitarismi

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Caro futuro premier, si ricordi delle foibe e di tutti i totalitarismi | Rec News dir. Zaira Bartucca

Egregio Signor Presidente, da italiani, sia per scelta sia per nascita, non possiamo che essere contenti per l’esercizio di democrazia registrato con le elezioni dello scorso 25 settembre. Finalmente saremo guidati da un governo espressione del voto popolare e non da uno maturato da accordi di Palazzo, come accaduto negli ultimi anni.               

Abbiamo ascoltato con grande interesse, in questi giorni, le dichiarazioni degli esponenti della maggioranza appena eletta e che lei, signor presidente, avrà l’onore e l’onere di guidare. Da tali esponenti, in queste ore, è stato espresso ripetutamente un concetto che ci sentiamo di condividere totalmente: uno Stato è tanto più credibile ed è tanto più considerato, quanto più onora e rispetta i Trattati internazionali che esso stesso ha sottoscritto.

Noi crediamo che sia arrivato, alfine, il momento di rispettare quei Trattati che non sono stati ottemperati fino ad oggi, provocando, in tal modo, un grave danno al mondo dell’Esodo Giuliano-Dalmata. Ci riferiamo al Trattato di Pace di Parigi del 1947 il quale, al punto 9 dell’allegato XIV, stabilisce che: “I beni degli italiani residenti nei Territori ceduti […] non potranno essere trattenuti o liquidati […], ma dovranno essere restituiti ai rispettivi proprietari”.

Come sappiamo a tale Trattato, ampiamente disatteso, seguirono diversi accordi bilaterali tra Italia e Jugoslavia – accordi del 23/05/1949, 23/12/1950, 18/12/1954 – tutti poi tramutati in Leggi attuative, che in sintesi sancivano il pagamento dei debiti di guerra dell’Italia nei confronti delle Jugoslavia utilizzando i beni degli Esuli a fronte dell’impegno dello Stato italiano di un successivo risarcimento per l’esproprio perpetrato.

Ebbene, gli Esuli istriani, fiumani e dalmati ed i loro discendenti, sono ancora in attesa di un “equo indennizzo”, avendo percepito solo una minima parte di quanto promesso. Si tratta di un indennizzo che, secondo i nostri calcoli, si aggira intorno ai 4,5 miliardi di euro. Una cifra che sembra enorme, ma che se confrontata con l’attuale debito pubblico (ad oggi pari a circa 2770 miliardi) rappresenta l’1,6 per mille.

Quanto fin qui non è solo una questione di vile danaro, si tratta, piuttosto, di un’espressione di civiltà attesa da lunghi decenni da un intero popolo. Gli Esuli e i loro discendenti si sono rifatti una vita in Patria, eppure resta l’insopportabile retrogusto amaro nella consapevolezza di essere stati ignobilmente usati per questioni geopolitiche giocate sulla propria pelle.

La vita della nostra Gente è stata tutta in salita per troppo tempo, anche dal punto di vista culturale. Sempre a dover giustificare la propria identità, sentendosi dire che la sofferenza patita era il giusto scotto per colpe di altri. Il giustificazionismo è un concetto terribile che porta allo stupro della ragione, definendo accettabile l’eliminazione di un qualcosa o qualcuno – magari per mezzo di una foiba -, su cui far ricadere i misfatti di qualcun altro.

Per questi motivi auspichiamo anche l’emendamento della Legge 167/2017 che punisce la propaganda, l’istigazione e l’incitamento al razzismo e chiediamo l’inserimento di una menzione specifica al negazionismo e giustificazionismo per i crimini commessi in Istria, Fiume e Dalmazia in merito alla persecuzione anti-italiana avvenuta a guerra finita. Così come auspichiamo che possa essere emendata la Legge 178/1951 che disciplina il conferimento delle onorificenze al Merito della Repubblica, senza la quale non è possibile la revoca del cavalierato assegnato al Maresciallo Tito, causa di dolore e sofferenza non solo per la nostra Gente, ma per centinaia di migliaia di persone che si opponevano alla dittatura comunista jugoslava.

A tale proposito vogliamo ricordare il pronunciamento del 19 settembre 2019 in cui il Parlamento Europeo – presieduto da David Sassoli – approvò a larghissima maggioranza (89%) la risoluzione: “Importanza della memoria europea per il futuro dell’Europa”, che condanna tutti i totalitarismi del XX secolo, equiparando in tal modo il comunismo al nazismo. L’attuale maggioranza, così come maturata il 25 Settembre, ha dimostrato nel tempo grande sensibilità ai temi qui riportati. Confidiamo nella sua futura opera.

*Esule di seconda generazione nato al Villaggio Giuliano-Dalmata di Roma nel 1959. Past-President FederEsuli – Federazione delle Associazioni degli Esuli istriani, fiumani e dalmati  – Vicepresidente Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia – Consigliere Associazioni Dalmati Italiani nel Mondo – Fondatore MondoEsuli – Movimento per la memoria e la promozione di Istria, Quarnaro e Dalmazia»

Rec News dir. Zaira Bartucca – recnews.it

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