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Educazione finanziaria e nativi digitali, “c’è ancora molto da fare”

Oggi più che mai si pone l’accento su quella che è l’educazione finanziaria. In particolare è interessante studiare il rapporto tra quest’ultima e i cosiddetti nativi digitali. Chi sono? Si tratta delle nuove generazioni, nate nell’era della cosiddetta trasformazione digitale e abituate ad avere a che fare con internet e con tutte le nuove tecnologie. Tra questi si possono distinguere i cosiddetti nativi digitali “spuri”, nati a cavallo dell’inizio della transizione e che oggi hanno tra i 19 e i 25 anni, i Millenials che oggi hanno tra i 14 e i 18 anni e i nativi digitali veri e propri.
Fasce d’età differenti che, però, sono accomunate da un dettaglio: la necessità di approfondire i temi legati alla finanza. Si tratta di un’esigenza importante che, oggi come oggi, è anche facilitata dalle nuove tecnologie e dalla possibilità di avere sempre accesso alle informazioni. Tuttavia, nonostante questi strumenti sussistono dei gap da colmare. Grazie a una recente indagine condotta dall’Osservatorio sull’Educazione Finanziaria su un campione di 2500 under 30, si è scoperto che l’educazione in ambito finanziario non è uniforme e manca del tutto in alcuni casi.
Nello specifico, un articolo del Sole 24 Ore che ha riportato i risultati di questa indagine mette in luce un quadro con non poche ombre. Stando a quanto emerso, circa il 50% degli intervistati non riesce a calcolare un rendimento bancario o a convertire un tasso di interesse in somme. Non solo. Risulta essere scarsa la conoscenza della teoria finanziaria che concerne risparmio, potere d’acquisto e molto altro ancora.
Si tratta di concetti chiave che non solo possono essere utili nella vita quotidiana ma aiutano anche a difendersi da possibili truffe online e non solo. C’è molto da fare, quindi, poiché le nuove generazioni sono il futuro. Cosa fare? Sfruttare i vari strumenti a propria disposizione per migliorare le conoscenze dei nativi digitali in tema di economia e finanza.
L’evoluzione digitale ha permesso di avere accesso a molteplici tipologie di fonti di informazione, sia online che offline. Selezionarle scegliendo le migliori è un primo passo. Ad esempio, la guida di Affari Miei su dove investire è una delle fonti più approfondite per approcciare l’argomento.
Ricercare in rete questo tipo di informazioni e di approfondimenti è la soluzione migliore per riuscire ad apprendere tutto ciò che potrà portare a una indipendenza finanziaria più consapevole e più semplice. Questo deve essere l’obiettivo delle nuove generazioni e in particolare dei nativi digitali.
Rec News dir. Zaira Bartucca – recnews.it
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Rum da investimento, le bottiglie da non perdere nel 2023

Nell’immaginario collettivo è il distillato dei pirati, conservato in grandi botti, una bevanda per spiriti avventurosi. Nella realtà invece il rum è diventato uno dei chiodi fissi degli investitori, scalzando settori che sembravano più promettenti. Complice la facilità con cui si può avviare questo tipo di operazioni redditizie, le bottiglie di rum oggi si acquistano nelle aste di settore, si attende che il prezzo lieviti e si rivendono. Per comprendere la dimensione del fenomeno, basta dare un’occhiata ai dati del “Rumbase” di Velier, che hanno fotografato casi di incrementi di valore che sfiorano l’80% nel giro di appena 4 anni.

Le bottiglie da comprare subito e quelle da cercare
Certo, non tutte le bottiglie e non tutti i rum sono uguali. Per i neofiti resta sempre da capire come orientarsi, mentre gli investitori esperti sono alla ricerca di quell’occasione che potrebbe fare la differenza. Quel che è certo è che anche nel 2023 si conferma l’ascesa dei rum Tabai, in particolare il Diablo Cojuelo N.1 e N.2 e i rum Garras de Dragon Costa Rica e Repubblica Dominicana. Il loro prezzo in questo momento oscilla tra i 600 e gli 800 euro a bottiglia, ma secondo gli appassionati potrebbe lievitare nel giro di qualche mese. Da cercare sono invece le edizioni limitate che hanno reso nota l’etichetta Tabai, non solo per i rum.

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La storia dell’elisir di longevità preferito dalla Regina Elisabetta

Della Regina Elisabetta nelle ultime settimane si è detto davvero di tutto, ma forse non che una delle sue abitudini era quella di concedersi – in tarda mattinata prima del pranzo – qualche sorso di grappa con ghiaccio e limone. Questo elisir che si ricava dalla vinaccia delle uve vinificate ha, del resto, contribuito a fare la storia dei reali britannici. Nel 1953, proprio in occasione dell’incoronazione di Elisabetta II, i sovrani inglesi iniziano una partnership che dura fino a oggi con la storica distilleria Nardini (nata nel 1779) che contribuisce a far conoscere questo distillato squisitamente italiano nel resto del mondo.
Le declinazioni per indicare la grappa nel nostro Paese sono davvero tante: in Lombardia si chiama “gregia”, in Piemonte “branda”: di regione in regione, c’è chi la preferisce fruttata e arricchita da erbe e chi pura, ma quello che accomuna tutte è la lavorazione tradizionale che avrebbe radici antichissime: una leggenda attribuisce infatti la nascita di questo distillato a un legionario romano del I secolo a.C., che avrebbe importato dall’Egitto le tecniche di distillazione apprese.

Luigi Papo, storico, fa risalire la prima produzione vera e propria al 511 d.C. e la colloca in Friuli, dove le tecniche di distillazione del sidro di mele vennero usate anche per le vinacce. In epoca moderna è la Distilleria Nardini a iniziare la produzione di massa, introducendo il metodo di lavorazione “a vapore”. Fino a giungere ai giorni nostri, quando la grappa è diventato un accompagnamento da dessert consolidato, un oggetto da collezione, una bottiglia da farsi consegnare a domicilio o un’idea di regalo natalizio che non tradisce le aspettative.

Certo, non tutte sono uguali e orientarsi non sempre è facile: il consiglio è sempre quello di affidarsi a etichette Made in Italy che puntano tutto sulla qualità come l’azienda vinicola Tabai. Due opzioni che mettono davvero tutti d’accordo sono la Grappa Gran Riserva Barolo ad edizione limitata del 2015 in confezione di legno inciso (con un prezzo che si aggira sui 750 euro) e la Grappa di Barbaresco Gran Riserva Cuvée, sempre dell’annata 2015.
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Auto aziendali elettriche, “tendenza in crescita”

È in crescita il trend delle auto elettriche aziendali, almeno stando ai numeri che riguardano i primi sei mesi del 2022. La situazione, però, presenta luci e ombre: infatti le vendite a livello europeo rimangono su livelli non troppo alti, a dispetto degli incentivi che da qualche anno a questa parte sono stati offerti in vari Paesi europei. Se è vero che nel 2035 non potranno più essere vendute auto a diesel o a benzina, quindi, per il momento l’obiettivo appare ancora lontano. Il discorso è diverso, però, per le vetture elettriche aziendali.
Infatti in questo caso il comparto delle flotte ha cominciato a prestare molta attenzione, sia per il presente che in una prospettiva futura, alla mobilità a emissioni zero. Sono in aumento gli investimenti destinati ad aggiornare le flotte puntando sulle auto elettriche. Nel primo semestre di quest’anno sono aumentate le vendite a livello europeo di veicoli elettrici aziendali, con i numeri che dimostrano quanto tutto il settore sia attirato da questa tipologia di auto. Insomma, il settore va verso una graduale elettrificazione.
Una soluzione intelligente può essere senza dubbio quella del noleggio auto aziendali a breve termine, magari attraverso i servizi che vengono offerti da Maggiore.it. Questo, infatti, è il partner migliore a cui si possa fare riferimento, per esempio per consentire ai dipendenti di viaggiare durante le loro trasferte di lavoro a bordo di veicoli nuovi, sicuri e all’avanguardia. I pro che il noleggio offre in confronto all’acquisto sono noti, dal punto di vista economico ma non solo: per un’azienda, questa soluzione consente di non immobilizzare il capitale e di non dover stanziare cifre esagerate per l’acquisto di veicoli che, nel giro di breve tempo, sono destinati a svalutarsi. Il noleggio, inoltre, assicura un turnover dei mezzi a disposizione, il che vuol dire poter contare sempre su veicoli performanti e in linea con le esigenze che ci si propone di soddisfare.
Nel novero delle vetture elettriche aziendali, a guidare il mercato a livello europeo è il Gruppo Volkswagen, che può vantare un market share del 24%, tenendo conto non solo del marchio Volkswagen, ma anche di Porsche, di Cupra, di Skoda e di Audi. Per il colosso tedesco, in effetti, le flotte aziendali sembrano costituire uno dei più importanti ambiti per lo sviluppo e la crescita di una gamma di veicoli elettrici aziendali che pare espandersi sempre di più.
Rec News dir. Zaira Bartucca – recnews.it
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Come investire nei distillati di lusso e nei Rum Tabai

In tempi di insicurezza economica risparmiatori e investitori cercano di rivolgere la loro attenzione a beni sicuri, solidi, che possano assicurare un ritorno certo nel medio periodo. C’è chi guarda all’arte e all’antiquariato, chi ai titoli, chi – ancora – ai metalli. Il punto è che molti di questi beni sono connessi a una certa volatilità, e non sempre si ha la certezza che alla spesa subentri un guadagno.
Un settore di investimento che non tutti conoscono e che può dare molte soddisfazioni anche a chi non è intraprendente e non ha voglia di rischiare è quello dei distillati. Sui rum, in particolare, si va concentrando l’attenzione crescente degli investitori e dei collezionisti. L’Italia, da sempre in prima fila nell’agroalimentare, negli ultimi anni ha visto nascere prodotti per veri intenditori come il Rum Garras De Dragon e il Rum del Diablo Cojuelo dell’etichetta Tabai.
Due eccellenze Made in Italy che – c’è da dirlo – è difficile conservare intatte per la loro gradevolezza, ma lasciarli invecchiare oltre che al palato può regalare soddisfazioni come spiegato anche al portafogli. A settembre dopo le incursioni degli appassionati di stanza all’estero non è facile trovarne un’esemplare: gli ultimi hanno un prezzo che si attesta sui 600-650 euro che sta lievitando di anno in anno. Come per tutti i settori di investimento, anche qui bisogna essere rapidi.
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