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Il giallo sul corpo e sulle opere di Da Vinci. Così divenne (a torto) "francese" | Rec News dir. Zaira Bartucca Il giallo sul corpo e sulle opere di Da Vinci. Così divenne (a torto) "francese" | Rec News dir. Zaira Bartucca

ARTE & CULTURA

Leonardo, il primo uomo moderno

di Paolo Battaglia La Terra Borgese*

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«La vita bene spesa lunga è» (Codice Trivulziano). Chi scrisse queste parole, visse proprio secondo il suo criterio, per secoli, e non una vita sola, ma dieci, e continuerà a vivere ancora. Perché Leonardo da Vinci non fu soltanto uno dei grandi maestri del periodo aureo della pittura, ma un multiforme genio della scienza. Era uomo moderno, nato in quel mattino che nei nostri tempi chiamiamo Rinascimento; previde o inventò molto di ciò che, da allora, la scienza ha impiegato cinque interi secoli a scoprire.

PANORAMICA

Le più grandi scoperte di Leonardo rimasero ignorate nei suoi quaderni d’appunti: questi sono stati riordinati e pubblicati soltanto di recente, perché dopo la sua morte andarono sparpagliati di qua e di là (forse una metà si è perduta per sempre) e furono apprezzati dai collezionisti più come autografi che per il valore del loro contenuto. Autografi davvero insoliti, perché Leonardo era mancino e per di più aveva la strana abitudine di scrivere da destra a sinistra. Per leggere i suoi scritti, bisogna guardarli allo specchio. Fatto simbolico, divenne più tardi ambidestro.

LA MALINCONICA INFANZIA E IL RAPPORTO CON LA NATURA

Il piccolo Leonardo, crescendo nei poderi del padre vicino a Firenze, contemplò quelle meravigliose campagne finché la poesia delle pinete, dei ruscelli serpeggianti, dei dirupi, dei fiori silvestri gli penetrò nell’anima, per rivivere più tardi in quei mirabili paesaggi che fanno da sfondo ai suoi quadri. Amava la musica e suonava d’incanto, i versi gli sgorgavano facili dalle labbra. Ogni forma di vita gli era maestra.

APPRENDIMENTO E VIVACITÀ, LA CURIOSITÀ E LA SOCIALITÀ DI LEONARDO

Appena Piero da Vinci scoprì i primi disegni del ragazzino, lo mise a lavorare nella bottega fiorentina del Verrocchio. Verrocchio coltivava tutte le arti nelle quali Leonardo doveva ancora eccellere: pittura, scultura, architettura, musica, geometria e storia naturale. Frequentavano la bottega del Verrocchio altri giovani artisti, tra i quali Botticelli, che divennero i migliori amici di Leonardo. Discutevano di tutto, macchinavano beffe atroci, facevano la lotta, domavano cavalli; divertimento, quest’ultimo, prediletto da Leonardo. Si dice che fosse cosi forte da piegare un ferro di cavallo con una mano.

L’apprendista Leonardo si aggirava spesso per i cortili e per le chiese fiorentine a studiarvi i loro tesori artistici, oppure passeggiare con i matematici, con gli astronomi, con i geografi maggiori di quei tempi, assimilando tutta la loro scienza. Gli piaceva anche parlare, e sulla piazza del mercato si metteva bravamente ad arringare la folla, divisa fra la reverenza e l’ilarità, sognando ad occhi aperti e vantandosi di poter scavare gallerie sotto le montagne e trasportare gli edifici come stavano da un punto all’altro della città.

L’ARTE IN UNO CON LA SCIENZA, LA RICERCA, LA VITA E CON DIO

Leonardo studiò matematica e fisica, botanica e anatomia non come un soprappiù, ma come parte integrante della sua arte. Per lui non esistevano differenze essenziali fra arte e scienza: erano due modi di descrivere un unico universo divino. Quando si metteva a dipingere, Leonardo stendeva sulla realtà fredda e cruda lo splendido manto della bellezza. Nascondeva con la destrezza di un illusionista la sua sapienza, la sua tecnica senza pari, e dipingeva come un innamorato della vita. Per vedere quanto la amasse basta sfogliare gli albi dei suoi disegni, che sono centinaia.

Ecco apparirci su un foglio i volti contratti dei soldati in atto di uccidere o di morire, e su un altro una giovane donna che s’inginocchia a pregare. Qua ha colto la tensione nervosa nei tendini del collo di un vecchio mendicante, là la contentezza di un bimbo che gioca. Si dice che seguisse per giornate le persone di aspetto bello oppure grottesco, per studiarle.

A nessuna scienza Leonardo dedicò tanto tempo quanto all’anatomia. Dimostrò che i muscoli sono le leve che sappiamo, e rivelò che l’occhio è null’altro che una lente. Provò come il cuore sia una pompa idraulica e dimostrò che il polso è sincronizzato con i battiti del cuore. Le molte osservazioni fatte negli ospedali lo condussero a scoprire che l’indurimento delle arterie è causa di morte nell’età senile.

LEONARDO INGEGNERE BELLICO

Eppure fu come suonatore di liuto che Leonardo, sui 30 anni, venne raccomandato da Lorenzo il Magnifico a Ludovico il Moro. Quest’ultimo era il perfido, furbo, brutale tiranno di Milano. Leggendo la lettera che Leonardo gli scrisse per offrirgli i suoi servizi, si fregò le mani: quell’uomo poteva essergli utile, perché si dichiarava inventore di un ponte mobile leggero, utilissimo all’inseguimento del nemico; diceva di aver progettato delle pompe per prosciugare il fossato di castelli cinti d’assedio; era esperto nella colata di enormi cannoni e aveva dei progetti per la costruzione di un carro armato semovente che aprisse la strada alle fanterie.

LEONARDO INGEGNERE CIVILE E PITTORE DELLA NATURA

Quando Leonardo giunse dalla soleggiata Firenze alla grigia Milano, pensò all’installazione delle tubazioni per il bagno della duchessa e al ritratto della superba e fredda amante del Moro. Costruì pure una complessa rete di canali per la città e fece progetti, mai adottati, di strade a due livelli, capaci di smistare diversi generi di traffico. Quale esperto di fortificazioni militari, fu mandato sulle Alpi a munire le vallate contro le invasioni provenienti dal nord. E là, nella bella Engadina, vide il rorido getto delle cascate balzanti giù dai dirupi, seguì la traccia delle stratificazioni geologiche, colse commosso fiori e felci con quelle dita che dovevano poi farli rivivere in eterno sulla tela.

Da quelle sensazioni e dai ricordi d’infanzia nacque la Vergine delle Rocce, quadro in cui il paesaggio e la flora danno risalto, con la loro dolcezza silvestre, alla divinità della Madre, all’Angelo e al Bambino che piega la manina a benedire il suo compagno di giochi, San Giovanni.

Questo quadro fu ordinato da una confraternita religiosa di Milano per la misera somma di 20 ducati, ma Leonardo ritenne che l’opera compiuta ne valesse 100. I monaci si appellarono al contratto, ma Leonardo non consegnò il quadro. Quelli allora gli intentarono causa, e per 20 anni Leonardo lottò contro di loro in tutti i tribunali. Infine il re di Francia acquistò il quadro e lo mise nel suo palazzo del Louvre, a Parigi. Leonardo, tanto per rabbonire i monaci, aiutato dagli allievi, fece una copia del quadro, quella che è ora alla National Gallery di Londra.

I RESTAURI DEL CENACOLO

Il Cenacolo, che fu un tempo una delle opere più belle del mondo, fu dipinto da Leonardo su una parete del refettorio dei frati di Santa Maria delle Grazie a Milano, su un intonaco poco adatto al colore. Dopo soli 20 anni, l’umidità, diffondendosi per la parete, era causa di ammuffimenti e di incrostazioni che sfigurarono il dipinto. Più tardi fu perfino aperta una porta in quella parete; e quando la soldataglia napoleonica giunse a Milano, sparò contro il quadro. In seguito, generazioni di sedicenti restauratori deturparono l’opera. L’ultimo restauro – dopo di quello importante terminato nel 1954 da Mauro Pelliccioli, all’epoca il più grande restauratore italiano di opere d’arte, che lo riportò il più vicino possibile all’originale – durò 21 anni, fino al 1998, ad opera dalla celebre restauratrice specializzata in affreschi rinascimentali Pinin (Giuseppina) Brambilla Barcilon (1925-2020).

Ma se non fosse per i molti studi preparatori di Leonardo e per le copie fatte da altri artisti quando il dipinto era intatto, sapremmo ancora ben poco della passione con cui il Cenacolo fu concepito e della purezza con cui fu eseguito.

PERDITA, PITTURA, TECNICA, SCIENZA E PERSEVERANZA

La perdita di un’opera di Leonardo, e ne sono andate perdute molte, è gravissima, perché pochi dei suoi quadri sono compiuti, sebbene gli schizzi e gli studi si contino a migliaia. Quando Leonardo si decideva a prendere in mano il pennello era capace di lavorare per giorni e giorni, mangiando appena. Oppure se ne stava seduto per tutta una giornata davanti al quadro, dando sì e no tre pennellate. La mattina dopo era capacissimo di cancellare tutto e ricominciare da capo. Probabile che mai abbia considerato uno dei suoi quadri finito alla perfezione; e forse è per questo che non ha firmato quasi nulla.

UNA VITA SPESA A MEDITARE E PRECORRERE, L’INGEGNO

Leonardo, prima dei suoi tentativi di conquista dell’aria, studiò perché gli uccelli spicchino il volo contro vento e comprese perché l’ala profilata li aiuti a impennarsi in volo. Facendo esperimenti con dei modelli di carta, previde gli avvitamenti e le cadute a foglia morta, i tuffi in picchiata e le scivolate d’ala, e dette istruzioni particolareggiate per uscirne.

I più antichi disegni di Leonardo per una macchina volante fanno pensare a una libellula, oppure a un pipistrello. Capiva che le ali battessero, e a questo scopo progettò una carlinga articolata di pezzi di cuoio cuciti insieme. Non potendo disporre di altra forza motrice che di quella dell’uomo trasportato nella macchina, immaginò che il suo aviatore, steso bocconi nel telaio, remasse nell’aria con le ali.

In seguito e per primo, Leonardo ebbe l’idea di un’elica per la locomozione. Nel suo modello, l’elica gira in senso orizzontale, con la carlinga appesa sotto, come un elicottero. In un primo tempo pensò che l’aviatore dovesse premere su due pedali per mettere in moto le pale dell’elica. Ma nel suo modello di cartone ricorse invece, come forza motrice, a una molla fortemente carica. Secondo i suoi progetti, la macchina si sarebbe dovuta sollevare verticalmente. La teoria era giusta, ma, mancandogli un apparato motore leggero, non poté mai realizzarla.

E tuttavia sembra che riuscisse a compiere un tentativo di volo, su quello che doveva essere una specie di apparecchio per il volo a vela. Con molte precauzioni e in gran segretezza, quest’apparecchio fu costruito su un edificio alto e, secondo la notizia tramandata attraverso i secoli, venne infine lanciato, forse con Leonardo stesso a bordo! Ma quel volo fu un fiasco e, a quanto pare, Leonardo non rifece più il tentativo.

LA MENTE PROLIFICA

Leonardo progettò case portatili prefabbricate, macchine laminatrici, una macchina per fare le viti, un trattore a cingoli, una filatrice e una scavatrice. Fu il primo che montò un ago magnetico su un asse orizzontale, dandoci cosi la bussola che conosciamo oggi. Fu l’inventore di quello che oggi chiamiamo ingranaggio differenziale, e dell’anemometro (misuratore della velocità del vento).

Ideò uno scafandro e una cintura di salvataggio. Progettò grandi sottomarini, ma ne distrusse i disegni. Perché, disse, c’è troppa malvagità nel cuore degli uomini, e ad affidare loro simili segreti si rischia di far loro praticare l’assassinio anche in fondo al mare.

L’ARCHEOLOGO ASTRONOMO

Leonardo fu il primo scienziato a capire che i fossili sono le impronte di animali antichissimi, esistiti quando le rocce in cui si ritrovano erano soltanto sedimenti del fondo marino. Perché la Terra, disse, non contava solo 5000 anni di vita. I suoi studi geologici di precursore lo persuasero che l’Arno doveva aver impiegato 200.000 anni per formare le sue pianure alluvionali.

Un secolo prima dei telescopi e di Galileo, Leonardo aveva intuito che la Terra non è il centro dell’universo, ma si muove attorno al Sole descrivendo un’orbita ellittica; che la Terra è soltanto un pianeta e non appare più grande, entro il sistema solare, della Luna in confronto alla Terra stessa; che le stelle sono mondi remoti, immensamente più grandi di quel che sembrano e che anche il Sole è soltanto uno di essi.

L’UOMO, L’INDIVIDUO, LA PERSONA

Nessuna meraviglia che occhi capaci di veder tante cose avessero lo sguardo stanco. A giudicare dall’autoritratto eseguito intorno al 1510, Leonardo a 58 anni era un vecchio, dall’aspetto venerando e profondo, ma un poco deluso. Sembra che le molte vite che aveva cercato di vivere in una sola ne avessero consunto la fibra.

Inoltre era dovuto fuggire da Milano quando la città era stata occupata dai francesi e gli Sforza ne erano stati cacciati. Si rifugiò a Mantova, si spinse fino a Venezia, visse un periodo infelice a Roma, tornò a Firenze e, quando non ci fu più pericolo, di nuovo a Milano. Negli ultimi anni trascorsi in questa città, il Moro non gli aveva pagato lo stipendio, cosi dovette accettare lavori occasionali di ingegneria e commissioni saltuarie come artista libero.

Una di queste fu il ritratto di Lisa Gherardini, moglie di Messer Giocondo di Firenze, per cui il quadro, che è il suo ultimo capolavoro, ci è noto come Monna Lisa o La Gioconda. Sebbene fosse una gentildonna ricca e alla moda, Monna Lisa veste severamente di nero, senza neppure un anello, in segno di lutto per la morte recente del suo bambino. Aveva 21 anni quando cominciò a posare per quel ritratto, ma quando Leonardo cessò di lavorarci erano trascorsi sei anni. Incarnazione di uno dei sogni di Leonardo più che ritratto di donna vera e propria, Monna Lisa sorride enigmatica ad una misteriosa visione, che sembra appaia dietro chi guarda.

Misterioso è pure il fatto che il ritratto non sia mai stato consegnato. Leonardo lo portò con sé come la cosa più preziosa che avesse quando accettò l’invito del re Francesco I di andare a stabilirsi in Francia. Alla fine il re acquistò il quadro per 12.000 franchi, e lo fece collocare al Louvre.

Leonardo godette fra i contemporanei di una fama più vasta e insieme meno alta di quella che oggi lo circonda. Il profondo rispetto che noi nutriamo per la sua scienza non ebbe riscontro ai suoi tempi. Come artista, naturalmente, ebbe una fama superba, sebbene non senza rivali; dopotutto, viveva ai tempi di Botticelli, di Raffaello, di Michelangelo. Ma il popolo artista della Firenze quattrocentesca gli faceva codazzo per le vie, e quando veniva esposto uno dei suoi bozzetti, la gente si accalcava ad ammirarlo, come gli odierni maniaci del cinema quando c’è da vedere una star in persona. Signorie e personaggi ricchissimi se lo disputavano; i re gli chiedevano soltanto di onorare le loro corti; perché la persona di Leonardo era diventata oggetto di un vero culto.

Eppure, in cuor suo, Leonardo, di cui mi sento amico, fu un solitario. Forse non incontrò mai un’altra creatura capace di comprenderlo. Sorridente, la sua figura sembra ancora precederci, nei secoli, mentre ci affanniamo per raggiungere la lunga ombra che lui proietta dietro di sé. Gli ultimi anni di Leonardo trascorsero negli agi, ad Amboise, nella Francia centrale. I visitatori fingevano di non accorgersi che aveva le mani paralizzate; trovavano il suo spirito più vivo che mai, assorto nel nuovo piano di un canale dalle chiuse poderose, con una miriade d’idee già appuntate nei suoi quaderni. Mai la sua conversazione era stata più versatile, il suo aspetto più regale, il suo sorriso più pieno di comprensione. Forse perfino la morte sorrideva così, con quell’aureola di mistero e di saggezza che egli solo fra tutti seppe cogliere, quando venne a chiamarlo il 2 maggio 1519.

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ARTE & CULTURA

I segreti del Gotico

di Paolo Battaglia La Terra Borgese*

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I segreti del Gotico | Rec News dir. Zaira Bartucca

Visitare una cattedrale o un edificio ed essere in grado di distinguerne l’epoca richiede almeno una sommaria conoscenza dei caratteri architettonici delle varie epoche e, principalmente per l’inesperto, il sapere dove posare l’occhio per individuare tali caratteristiche.

Allora, se visitiamo una chiesa, gettiamo anzitutto un’occhiata alla parte esterna, osservandone la facciata, le finestre, i portali e i contrafforti, gli archi rampanti, i campanili, fissando la nostra attenzione alle loro caratteristiche; entreremo poi nell’interno, dove osserveremo la pianta della costruzione, le colonne, i capitelli, le volte, gli archi, cercando di captarne i principali particolari costruttivi; diciamo i principali particolari costruttivi poiché, va detto subito ed è importante, non dobbiamo pretendere di voler determinare l’epoca esatta di un’opera d’architettura basandoci esclusivamente sui caratteri stilistici che abbiamo sotto gli occhi.

Le chiese, specialmente, non sono state di solito costruite in “una sola stagione” e di frequente vi si trovano mescolati e gli stili di varie epoche e i vari sistemi costruttivi. Quanti soffitti e quante facciate, per esempio, sono stati rifatti per cause diverse ed eseguiti in epoche posteriori senza preoccuparsi di rispettare la struttura originaria!

Dopo aver cercato di individuare l’epoca del monumento che visitiamo cominceremo a meglio comprenderne la possanza dell’insieme e la bellezza dei particolari e, nella nostra pochezza, saremo più preparati e meno intimiditi di fronte alla creazione d’arte che ci dà tanta emozione.

Contrariamente alla credenza popolare che lo vuole tipica espressione dell’arte tedesca (anche il Vasari la chiama, impropriamente, “tedesca”), questo stile nacque in Francia e di là si diffuse in tutta l’Europa.

Si potrebbe dire che le nuove aspirazioni ed il raffinarsi della civiltà artistica, il senso religioso ancor più legato alle cerimonie del culto ed il desiderio, forse, di esprimere il misticismo in una sinfonia di linee lanciate verso l’alto con l’arco a sesto acuto che sembra voler ripetere il gesto delle mani congiunte nell’atto di pregare, siano stati il lievito che ha contribuito allo sviluppo del passaggio dalle forme romaniche al Gotico. Inoltre, rispetto al Romanico pesante e massiccio, perché rispondente a regole costruttive empiriche, il gotico si basa sul calcolo matematico, adottando le prime regole della statica; regole che saranno poi approfondite nel Rinascimento, dominato dal sommo Michelangelo, che all’austerità ed alla forza unirà forme leggiadre ed eleganti.

Caratteristico del Gotico è l’uso diffusissimo dell’arco a doppio centro, a sesto acuto, e lo slanciarsi verso l’alto delle strutture del fabbricato.

I contrafforti che prima erano quasi dissimulati poiché inderogabile necessità costruttiva, diventano, nel Gotico, parte integrante della decorazione, legano l’edificio come in una armatura che pare voglia fare individuare i punti dove è concentrato il gioco tra il peso e il sostegno.

L’arco a sesto acuto, lanciandosi verso l’alto, richiede che i piedritti sui quali appoggia siano ravvicinati e perciò le colonne si moltiplicano. Le finestre aumentano di numero e illuminano maggiormente gli interni.

I pilastri sono dei veri fasci di colonne verso le quali vanno a terminare i costoloni e i sottoarchi.

I capitelli finiscono per essere delle specie di nicchie dove sono solitamente posate delle statue.

La decorazione è ricca, esuberante di statue e di fregi di ogni dimensione con soggetti estremamente vari. La pianta, nell’architettura chiesastica, è quella basilicale dove però le campate crescendo di numero – per una necessità di una più fitta serie di pilastri – diventano spesso rettangolari con il lato più lungo volto verso la larghezza della navata centrale. L’abside è sostenuta dal coro poligonale circondato da cappelle e la cripta quasi sempre è sparita.

La tipica copertura è formata dalla volta a crociera. I campanili hanno una base quadrata, ma spesso più in alto sono ottagoni.

L’Arte Gotica è originaria della fine del XII secolo ed ha avuto il suo massimo splendore nel secolo XIV. Le varie forme di Gotico si raggruppano normalmente in gotico francese, tedesco, italiano, inglese e spagnolo. Ma mentre il Gotico francese e tedesco hanno tra loro una affinità dovuta alla priorità di adozione di questo stile, il Gotico italiano rifiuta, si può dire, gli elementi decorativi stranieri e finisce col diventare un gotico a sé, con caratteristiche rispecchianti il gusto latino (S. Maria del Fiore ne è un tipico esempio). In Italia solo il Duomo di Milano si può dire rispettoso delle più pure regole costruttive e decorative del Gotico francese e tedesco. Altra caratteristica del Gotico italiano è la pittura murale che Giotto introdusse abolendo in parte le superfici a grandi vetrate che avevano tolto lo spazio necessario alla pittura.

È necessario citare fra gli esempi tipici di arte gotica in Italia, veri incomparabili gioielli (oltre alla già citata S. Maria in Fiore ed il Duomo di Milano), la Cattedrale di Orvieto, la Chiesa di S. Francesco in Assisi, S. Petronio di Bologna, il Duomo di Siena, per tacere di numerose altre chiese.

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ARTE & CULTURA

Cucinotta a Rec News: “Il mio Sud nel nuovo film da protagonista” (Video e Gallery)

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Maria Grazia Cucinotta a Rec News: "Vi racconto il mio Sud nel nuovo film da protagonista" (Gallery) - Gli agnelli possono pascolare in pace anteprima
Foto ©Denys Shevchenko/REC NEWS

Maria Grazia Cucinotta è la protagonista del nuovo film di Beppe Cino “Gli agnelli possono pascolare in pace”, presentato ieri in anteprima a Roma al Cinema Caravaggio e nelle sale dall’11 aprile. Nella pellicola ambientata in Puglia è Alfonsina, donna ingenua con abitudini singolari che a un certo punto viene colta da sogni rivelatori.

Bidella in pensione devota al culto dei cari defunti e lontana dal fratello, sarà un inaspettato incontro con il Sacro a mettere ordine in tutti quegli aspetti della sua vita rimasti in ombra, e a svelare i legami e i segreti che animano il borgo pugliese dove abita. Abbiamo intervistato Maria Grazia Cucinotta a margine della proiezione dell’anteprima romana.

Quanto c’è di lei nel film “Gli agnelli possono pascolare in pace?

Di sicuro il Sud. Il Sud mi appartiene e di conseguenza c’è molto di questo suo modo di essere. Attaccata alla terra, attaccata agli affetti, attaccata alla verità. E’ anche un personaggio molto distante. E’ una bidella che ama Pasolini e sembra uscita un po’ fuori da una favola. Anche il mondo che la circonda sembra essere uscito fuori da un piccolo metaverso che si muove in un mondo moderno.

Il film ha un messaggio particolare?

Ce ne sono tanti di messaggi, tra l’altro attualissimi. Tutte le guerre sono dettate dai confini e dal potere e un po’ questo film parla proprio di questo e al fatto che tutti i confini e tutti i pregiudizi portano alla fine alla rabbia e alla non accettazione. E’ un messaggio molto importante. Tra le risate e queste visioni c’è una grande verità.

Progetti futuri che può anticiparci?

Questo film è in uscita quindi aspettiamo di vedere come va. L’11 uscirà in tutta Italia e speriamo che la gente torni al cinema.

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Premio Sila, i dieci autori selezionati incontrano il pubblico

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Premio Sila, i dieci autori selezionati incontrano il pubblico | Rec News dir. Zaira Bartucca
Comunicato Stampa

Dopo la pausa pasquale, riprendono gli appuntamenti con la presentazione dei dieci libri che concorrono per aggiudicarsi il Premio Sila ’49, riconoscimento letterario giunto alla sua dodicesima edizione. Lunedì 8 aprile, alle 18, la location dell’evento sarà la libreria Mondadori di Cosenza di Corso Mazzini. Protagonista dell’incontro Greta Pavan e il suo libro “Quasi niente sbagliato” (Bollati Boringhieri editore), un romanzo di formazione che racconta uno spaccato generazionale.

Giovedì 11 aprile sarà la volta di un altro libro della Decina 2024. Sempre alle 18, nei locali della libreria Ubik di Cosenza, Pierpaolo Vettori illustrerà al pubblico cosentino il suo “L’imperatore delle nuvole” (Neri Pozza editore).

IL PREMIO SILA’49

Nel 1949 veniva istituito il Premio Sila, per rispondere alla necessità di ricostruzione culturale, di rinascita materiale e intellettuale di una Italia e di una Calabria uscite dalla guerra. Nel maggio del 2010 è stata costituita la Fondazione Premio Sila allo scopo di avviare una nuova fase del prestigioso premio che vide le sue ultime edizioni negli anni novanta. Il Sila, tra i più antichi premi letterari italiani collocò, sin dalle sue prime edizioni, la Calabria nei circuiti culturali nazionali e nel vivo del dibattito tra correnti letterarie, scoprendo talenti e coinvolgendo nelle Giurie personalità come Giuseppe Ungaretti, Carlo Bo e Leonida Répaci.

Il nuovo Premio Sila ’49 vuole “riprendere le fila di un discorso interrotto per stimolare, in un periodo storico complesso e difficile, la ricostruzione di un tessuto sociale attraverso percorsi culturali che richiedono attenzione, sensibilità e partecipazione. Oggi più che mai si vuole ribadire il primato della cultura, della conoscenza, dell’esercizio dello spirito critico”.

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Gli arazzi che
hanno catturato
il gotha degli artisti
contemporanei

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Gli arazzi che hanno catturato il gotha degli artisti contemporanei | Rec News dir. Zaira Bartucca

Come cinque secoli fa, sono così rari e preziosi che ormai quasi nessuno più li realizza. Gli arazzi ad alto liccio, oggi, mantengono lo status di splendide e ricercate opere d’arte, ma si discostano dai colori piatti e dai soggetti mitologici delle manifatture secentesche. Oggi gli arazzi si sono evoluti, parlano una nuova lingua, attuale ed emozionante. Si ispirano all’arte contemporanea, hanno colori vibranti, cangianti, ricchi e corposi, grazie alla raffinata tecnica inventata a fine anni Cinquanta dall’appassionato d’arte Ugo Scassa.

Una occasione di ammirare la collezione di Arazzi Scassa sarà l’esclusivo evento fuori salone in programma martedì 16 aprile durante la Design Week ne La Boutique di via Gastone Pisoni 6.

La location accanto a via Manzoni, appena ristrutturata a firma dell’architetto Fabio Rotella, accoglierà meravigliosi arazzi e tappeti d’arte, realizzati da Arazzeria Scassa, su soggetti originali di artisti e designer contemporanei. 

Giuseppe Capogrossi, Paul Klee, Joan Mirò,  Umberto Mastroianni ed Andy Warhol sono gli autori che hanno ispirato le opere in esposizione, ma rappresentano solo un dodicesimo degli artisti che, in 60 anni di attività, hanno ispirato l’Arazzeria astigiana.

Massimo Bilotta, amministratore delegato dell’Azienda, interviene: «Sono davvero moltissimi gli artisti che hanno collaborato con mio zio, Ugo Scassa, dando vita a sodalizi artistici fecondi e duraturi, che, i certi casi, si sono trasformati in sincere amicizie».

Bilotta continua, elencando: «L’Arazzeria è stata ed è fucina di idee e luogo di incontro tra artisti e mecenati. Molti, davvero, sono stati i creativi incuriositi dalle potenzialità di un tessuto d’arte: da Ernst, Guttuso e Casorati, fino a Ezio Gribaudo, Giorgio de Chirico, Antonio Corpora, Corrado Cagli e Renzo Piano, per il quale abbiamo realizzato, tra gli altri, un tappeto monumentale che riproduce il progetto del Centre Pompidou di Parigi. Alcune amicizie hanno dato vita a collaborazioni stimolanti, come quella con Umberto Mastroianni, che si  estese a comprendere ben 22 arazzi».

«Sono molto felice di annunciare con questo evento ne La Boutique, durante la Design Week di Milano, la ripresa creativa ed energica delle attività all’interno di Arazzeria Scassa, dopo la temporanea sospensione, seguita alla scomparsa del fondatore e al Covid», prosegue Bilotta, che poi conclude: «Nell’elegante location al numero 6 di via Pisoni abbiamo progettato un evento dedicato agli amanti della bellezza e dell’arte, ai professionisti dell’arredamento e del design, con cui desideriamo colloquiare sempre più intensamente».

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