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SOLUZIONI AL DEBITO

Anche il debitore senza alcuna risorsa può ottenere la cancellazione totale del debito

di Luca Barbuto*

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Tra gli strumenti di soluzione al debito introdotti con il Nuovo Codice della Crisi d’Impresa e dell’insolvenza desta sicuro interesse, quantomeno per il risvolto sociale che assume, l’esdebitazione del sovraindebitato incapiente disciplinato all’art. 283. La norma in esame prevede che il debitore persona fisica meritevole, che non sia in grado di offrire ai creditori alcuna utilità, diretta o indiretta, nemmeno in prospettiva futura, può accedere alla esdebitazione ottenendo così la liberazione dai debiti.

La ratio della norma consiste nell’offrire una seconda change a coloro che non avrebbero prospettiva alcuna di superare la crisi reimmettendo nel mercato soggetti potenzialmente produttivi. Si è così superata una lacuna della vecchia normativa di cui alla Legge 3/2012, laddove questa non prevedeva un apposito strumento di risoluzione per i soggetti incapaci totalmente di far fronte al debito. L’eccezionalità della misura sta ancora nel fatto che il sovraindebitato può accedere allo strumento in esame solo per una volta nella vita.

Ma quali sono i presupposti soggettivi ed oggettivi di accesso alla procedura?

Allo strumento in esame può accedere solo la persona fisica sovraindebitata ad eccezione quindi delle società, alle quali ovviamente il codice dedica altre apposite procedure. Ulteriore presupposto è la sussistenza della meritevolezza in capo al debitore, ovvero l’aver assunto le proprie obbligazioni con la dovuta diligenza e nella prospettiva di poterle adempiere. In tal senso deve ad esempio ritenersi escluso dal beneficio dell’esdebitazione, quale debitore incapiente, colui che abbia ripetutamente contratto debiti senza poter contare su un reddito sufficiente a farvi fronte, in presenza di precedenti esposizioni debitorie di cui nella domanda di esdebitazione non sia stata provata l’estinzione, e in evidente assenza di prospettive di incremento reddituale nel breve termine.

Ulteriore requisito è l’impossibilità del debitore di offrire alcuna utilità e/o risorsa economica da destinare ai creditori, condizione questa che deve sussistere anche in prospettiva futura. L’assenza di utilità, quale presupposto di accesso alla procedura, non deve tuttavia intendersi come assenza assoluta di reddito in capo alla persona fisica, laddove può considerarsi incapiente anche colui che dispone di reddito ma sufficiente al solo sostentamento proprio e della famiglia.

E’ evidente che anche in questi casi la persona fisica potrà accedere alla procedura non potendo disporre di alcuna utilità eccedente il fabbisogno personale, da offrire ai creditori. Secondo la giurisprudenza di merito, ai fini della valutazione del presupposto oggettivo che permette al debitore di accedere al beneficio dell’esdebitazione dell’incapiente, costituito dell’impossibilità “di offrire ai creditori alcuna utilità diretta o indiretta, nemmeno in prospettiva futura”, rilevano non soltanto le disponibilità reddituali, da calcolarsi al netto di quanto necessario al sostentamento del debitore e del proprio nucleo familiare, ma altresì le componenti attive del patrimonio quando siano liquidabili in modo da consentire una soddisfazione anche minima del ceto creditorio.

In ogni caso, al fine di non demandare al giudice valutazioni necessariamente molto discrezionali riguardo alla quantificazione delle spese per il sostentamento del debitore e dei suoi famigliari, che rischiano di essere eccessivamente soggettive, il legislatore ha individuato una formula fissa di reddito minimo che si può trattenere e va computato ai fini del sostenimento delle spese, con una valenza oggettiva, indipendente da quelli che sono i reali esborsi necessari nel singolo caso concreto. Esso coincide con l’ammontare dell’assegno sociale aumentato della metà e moltiplicato per il parametro di equivalenza previsto per l’ISEE in base al numero di componenti del nucleo familiare.

In presenza dei presupposti sopra indicati il soggetto sovraindebitato potrà ricorrere, con l’ausilio degli organismi di composizione della crisi, dinanzi il Tribunale competente da individuarsi nel luogo di residenza del ricorrente, il quale con decreto concederà l’esdebitazione previa verifica del requisito della meritevolezza, della assenza di atti in frode e della mancanza di dolo o colpa grave nella formazione dell’indebitamento. In sostanza la verifica del tribunale attiene sia alla fase genetica dell’assunzione del debito che alla successiva di determinazione dell’indebitamento che non deve essere causato da comportamenti dolosi o colposi del debitore.

In ultimo occorre segnalare una eccezione posta dall’art. 283 a tutela dei creditori, ovvero l’obbligo del debitore di pagamento dei debiti ove, nei quattro anni successivi al decreto di esdebitazione, sopravvengano utilità rilevanti, da cui detrarre le spese di mantenimento personale e familiare e quanto occorra alla produzione del reddito, tali da consentire il pagamento in misura non inferiore al 10%. Quindi, mentre il limite del reddito minimo è fisso e immediatamente determinabile, rendendo in qualche modo più semplice stabilire chi ha diritto alla esdebitazione dell’incapiente la scelta di colpire redditi sopravvenuti si verifica solo al lievitare del reddito non in maniera fissa ma proporzionale all’ammontare dei debiti.

In conclusione, lo strumento in esame offre concretamente una opportunità di ripartenza per la persona fisica meritevole di ottenere l’esdebitazione ed impossibilitata a far fronte alle obbligazioni assunte. 

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*Docente in materia di Sovraindebitamento e Crisi D'impresa presso l'Accademia Universitaria Studi Giuridici ed Europei (AUGE). Docente dell'Università Popolare di Milano. Formatore nei corsi di abilitazione per Gestore della crisi. Expertise in Diritto tributario, accertamenti, verifiche, contenzioso, crisi d'impresa (attestato conferito da Il Sole 24 Ore). E' titolare di studi a Roma, Milano, Cassino e Cosenza, premiati nel 2022 da Le Fonti Awards come Boutique professionale dell'anno in materia di sovraindebitamento e crisi d'impresa. Per Rec News cura la Rubrica "Il parere dell'esperto".

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Sovraindebitamento nel settore sportivo, i rimedi

di Luca Barbuto*

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Sovraindebitamento nel settore sportivo, i rimedi | Rec News dir. Zaira Bartucca

L’impatto della crisi economica ha investito, per quello che interessa il presente contributo, anche il settore sportivo, sia professionistico che dilettantistico, nelle varie forme delle associazioni sportive dilettantistiche (ASD) – delle società sportive dilettantistiche (SSD) ed infine delle società sportive professionistiche le quali si differenziano tra loro per essere le prime (ASD) caratterizzate da una organizzazione di più persone che decidono di associarsi stabilmente  per realizzare un interesse comune, cioè la gestione di una o più attività sportiva, senza scopo di lucro e per finalità di natura ideale, cioè praticate in forma dilettantistica; le seconde (SSD) caratterizzate dall’assenza del fine di lucro ma costituite nella forma di società di capitali, che esercitano attività sportiva dilettantistica; ed infine, le società professionistiche la cui attività viene svolta a titolo oneroso e in modo continuativo nelle discipline regolamentate dal CONI ed esercitata nelle forme di società per azioni (spa) e di società a responsabilità limitata (srl).

Il primo quesito da porsi, per giungere poi in concreto alle soluzioni praticabili sul tema della risoluzione del debito, è se le ASD e le SSD possono essere assoggettate a fallimento ed altre procedure concorsuali.

Normalmente le ASD risultano essere enti privi di scopo di lucro, il che potrebbe condurre ad affermare la non applicabilità, alle stesse, delle norme relative alle procedure concorsuali (fallimento, concordato preventivo), ma non sempre questa affermazione può essere considerata corretta posto che, l’orientamento dottrinale e quello giurisprudenziale offrono una risposta di segno opposto, nel senso che le ASD e le SSD sono potenzialmente sottoponibili ad una procedura fallimentare – infatti – se da un lato tali enti sono costituiti con una finalità che non comporta lo svolgimento di attività intesa in senso stretto come economica, non è da escludere tuttavia che l’attività economica sia effettivamente esercitata, anche in maniera eventualmente secondaria e strumentale rispetto a quella principale, con conseguente applicabilità della normativa fallimentare.

Per le Società Sportive Dilettantistiche la soluzione alla questione sembrerebbe invece più lineare dato che tali enti, costituiti come società di capitali o come cooperative, rientrano ancora più agevolmente nel novero delle imprese commerciali, con conseguente assoggettabilità delle stesse alle procedure concorsuali.

Ma quali strumenti possono essere utilizzati dalle entità sopra citate per risolvere la crisi da sovraindebitamento?

Di certo, per le realtà associative anzidette possono trovare applicazione gli strumenti di risoluzione della crisi introdotti dal Legislatore con il Nuovo Codice della Crisi D’Impresa e dell’insolvenza, in vigore dal 15 luglio 2022 quali, a titolo semplificativo, il concordato minore, la composizione negoziata della crisi ed ancora la liquidazione controllata strumenti che consentono concrete possibilità di abbattimento della esposizione debitoria, il superamento della situazione di sovraindebitamento del debitore, nonché la prosecuzione dell’attività.

Si ritiene invece non applicabile lo strumento della ristrutturazione dei debiti del consumatore posto che non è qualificabile come consumatore il soggetto in stato di sovraindebitamento le cui cause sono riconducibili al rivestito ruolo di Presidente di Associazione Sportiva Dilettantistica (A.S.D.). Secondo la giurisprudenza infatti, nell’associazione riconosciuta, l’attività esercitata può ben essere qualificata come “economica”, ossia potenzialmente in grado di produrre utile, il ché attribuirebbe la qualifica di imprenditore al soggetto rappresentante, per l’effetto, il carattere imprenditoriale negherebbe la possibilità di accedere ai benefici della ristrutturazione dei debiti del consumatore.

In conclusione, anche per le entità sopra descritte, ovvero associazioni e società sportive dilettantistiche esistono concreti rimedi per superare la crisi da sovraindebitamento e per la ripresa dell’attività con possibilità di definire l’esposizione debitoria in misura ridotta rispetto a quanto dovuto.

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Uscire dai debiti causati dalla ludopatia

di Luca Barbuto*

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Uscire dai debiti causati dalla ludopatia | Rec News dir. Zaira Bartucca

Il termine ludopatia indica una condizione di dipendenza dal gioco d’azzardo che si manifesta con bisogno crescente di giocare, ricerca di denaro da destinare al gioco per ottenere l’eccitazione desiderata, irrequietezza ed irritabilità nelle fasi di non gioco, presenza di pensieri insistenti inerenti le giocate passate e pianificazione delle future, desiderio di rientrare di quanto perduto, compromissione delle relazioni affettive e personali ed infine, ricerca continua di denaro da destinare al gioco anche a mezzo di ricorso al credito.

Ma quali sono i segnali e gli indici del gioco d’azzardo?

Un segnale importante è dato dall’aumento nella frequenza delle giocate, sempre più ravvicinate con un numero sempre maggiore di accessi ai luoghi del gioco, siano essi fisici o virtuali, oscillazione e discontinuità nell’umore che si manifesta con irritazione, ansia o tristezza, distrazione e distacco.

Segnali importanti si manifestano ovviamente anche in ambito lavorativo, scolastico e familiare, dove si registra un mutamento nelle abitudini alimentari e nella frequenza del sonno. Ovviamente compromessa è la sfera economica, posto che il soggetto ludopatico è alla continua ricerca di liquidità per sostenere le proprie giocate. Ricerca che induce prima a non provvedere al pagamento delle spese correnti, affitto, bollette, rate di mutuo e finanziamenti, successivamente a richiedere aiuto economico ad amici, familiari e infine a richiedere prestiti a istituzioni bancarie e finanziarie.

Quali sono i rimedi all’indebitamento causato dal gioco?

Orbene, occorre chiedersi se il soggetto ludopatico possa accedere agli strumenti disciplinati dal codice della crisi d’impresa per ottenere l’esdebitazione e la cancellazione dei debiti contratti a causa del gioco e se possa sussistere, nei casi di ludopatia, il requisito cosiddetto della “meritevolezza”, cioè l’assenza di colpa nella determinazione dell’indebitamento.

La risposta ci viene fornita dalla giurisprudenza formatasi sul punto, orientata positivamente nell’ammettere il soggetto ludopatico alle procedure da sovraindebitamento, a condizione che la ludopatia non integri una natura colposa, ma sia frutto di una effettiva patologia, preferibilmente oggetto di riscontro anche da parte dell’unità sanitaria locale.

Occorre infatti distinguere il debitore sovraindebitato quale soggetto semplicemente dedito al gioco d’azzardo, rispetto a colui che è affetto da un vero e proprio disturbo di gioco d’azzardo patologico.

In sostanza la giurisprudenza ammette, per il soggetto ludopatico, l’accesso alle procedure per l’esdebitazione laddove il sovraindebitamento sia stato causato da un accertato disturbo di gioco d’azzardo patologico, riconoscendo perciò l’assenza di colpa nella determinazione dell’indebitamento. Il sovraindebitato, pur avendo causato il proprio debito risulta avere tenuto detto comportamento incolpevolmente per effetto di una vera e propria patologia psichiatrica – la ludopatia, per la quale è necessario documentare l’esistenza volontaria di un percorso di cure.

Assume rilievo quindi il modo in cui il debitore stesso ha inteso affrontare la propria patologia: Si esclude quindi la natura colposa del credito sproporzionato ogniqualvolta il debitore abbia intrapreso un percorso di recupero che gli consenta di superare la patologia e quindi di neutralizzare definitivamente la fonte dei propri debiti. L’accezione negativa viene traslata dalla condotta dell’accesso al credito, alla condotta inerte di fronte alla patologia che ha condotto il debitore allo sproporzionato accesso al credito: al debitore ludopatico viene preclusa l’esdebitazione non tanto perché ha contratto debiti in modo sproporzionato, quanto perché non ha reagito e non reagisce in modo responsabile alla condizione personale che lo ha condotto a contrarre debiti sproporzionati.

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Emersione della crisi d’impresa:
obblighi dell’imprenditore

di Luca Barbuto*

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Emersione della crisi d'impresa, gli obblighi dell'imprenditore | Rec News dir. Zaira Bartucca

Il Legislatore, con il Codice della Crisi entrato in vigore il 15 luglio 2022, ha introdotto nel nostro ordinamento una serie di strumenti finalizzati alla risoluzione delle situazioni di crisi ed insolvenza, concetti questi definiti in maniera dettagliata all’art.2 rispettivamente come lo stato del debitore che rende probabile l’insolvenza e che si manifesta con l’inadeguatezza dei flussi di cassa a far fronte alle obbligazioni nei dodici mesi successivi (la crisi), e come lo stato del debitore che si manifesta con inadempimenti o altri fattori esteriori che dimostrano che il debitore non è più in grado di soddisfare regolarmente le proprie obbligazioni (l’insolvenza).

Al di là degli strumenti previsti dal Codice per la risoluzione delle situazioni conclamate di sovraindebitamento, il legislatore ha inteso porre degli obblighi in capo all’imprenditore individuale e collettivo, individuati dal combinato disposto di cui agli artt. 3 e 375 del CCII e dall’art. 2086 c.c. finalizzati alla prevenzione ed alla emersione tempestiva delle situazioni di crisi. In tal senso l’imprenditore è tenuto secondo il citato art. 3 a:

  • adottare misure idonee a rilevare tempestivamente lo stato di crisi e assumere senza indugio le iniziative necessarie per farvi fronte;
  • adottare un assetto organizzativo, amministrativo e contabile adeguato ai fini della rilevazione tempestiva dello stato di crisi.

L’art. 375 CCII ha riformulato l’art. 2086 c.c. il quale, secondo la nuova formulazione prevede che: l’imprenditore che operi in forma collettiva o societaria ha il dovere di istituire un  assetto organizzativo,  amministrativo e contabile adeguato alla natura e alle dimensioni dell’impresa, anche in funzione della rilevazione tempestiva della crisi dell’impresa e della perdita della continuità aziendale, nonché di attivarsi senza indugio per l’adozione e l’attuazione di uno degli strumenti previsti dall’ordinamento per il superamento della crisi e il  recupero  della continuità aziendale.” 

In buona sostanza l’amministratore dovrà predisporre e mantenere un assetto organizzativo adeguato ai fini della tempestiva rilevazione della crisi e, laddove questa venga rilevata, assumere ogni iniziativa idonea nell’individuazione delle misure funzionali ad affrontare e superare lo stato di crisi.

Di fatto, con gli articoli citati viene introdotta una sorta di nuova responsabilità per l’imprenditore al quale viene imposto di mettere in essere strumenti/servizi che siano in grado di rilevare tempestivamente i sintomi della crisi adottando indicatori in grado di cogliere i segnali di una crisi futura in modo tempestivo.

Ma quali sono i segnali di previsione della crisi?

I segnali di una probabile crisi vengono individuati dal Legislatore all’art.3, comma 4, lettere a-d ovvero:

  • esistenza di debiti per retribuzioni scadute da almeno trenta giorni pari ad oltre la metà dell’ammontare complessivo delle retribuzioni;
  • esistenza di debiti verso fornitori scaduti da almeno 90 giorni di ammontare superiore a quello dei debiti non scaduti;
  • esposizione debitoria nei confronti di banche e finanziarie, scadute da più di 60 giorni o che abbiano superato da almeno 60 giorni il limite degli affidamenti ottenuti purchè rappresentino almeno il 5% del totale delle esposizioni;
  • esistenza di esposizioni debitorie nei confronti creditori pubblici qualificati quali Inail, Inps, Agenzia delle entrate ed Agenzia delle Entrate riscossione, i quali, ai sensi dell’art. 25 novies hanno l’obbligo di segnalare, all’imprenditore l’esistenza di esposizioni debitorie per mancato versamento dei contributi previdenziali o il mancato pagamento dei premi assicurativi scaduti o ancora l’esistenza di un debito scaduto relativo ad Iva ed infine l’esistenza di crediti affidati per la riscossione.

Il legislatore ha pertanto non solo chiarito la funzione delle misure e degli assetti organizzativi a cui l’imprenditore dovrà adeguarsi in ottemperanza alle nuove norme dettate dal codice, anche ai fini di una sua esclusione da responsabilità, ma ha anche espressamente esplicitato i segnali di allarme ritenuti più significativi rispetto ad una possibile situazione di difficoltà in cui può venirsi a trovare l’impresa. Occorre quindi per il futuro, ed in particolare per le c.d. PMI, diffondere una cultura che induca l’imprenditore a dotare la propria azienda di modelli di governance e di sistemi di controllo interni più adeguati ad affrontare le nuove complessità nonché garantire la prospettiva della continuità aziendale.

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SOLUZIONI AL DEBITO

Difendersi dal pignoramento esattoriale. Quando è legittimo, effetti e casi pratici

di Luca Barbuto*

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Difendersi dal Pignoramento esattoriale. Quando è legittimo, effetti e casi pratici | Rec News dir. Zaira Bartucca

Capita sovente di ricevere da parte dell’Agente di Riscossione la notifica di un atto di pignoramento per cartelle esattoriali non pagate o ancor peggio di scoprire casualmente o a seguito di comunicazione della Banca, di avere un pignoramento sul proprio conto corrente sul quale l’Istituto di credito ha apposto un vincolo ed un blocco.

Per fare chiarezza sull’istituto oggetto di disamina, occorre premettere che il c.d. pignoramento esattoriale trova la sua disciplina nell’art 72-bis del d.P.R. n. 602 del 1973 – rubricato “disposizioni sulla riscossione delle imposte sui redditi” il quale prevede che, l’atto di pignoramento dei crediti del debitore verso terzi può contenere, in luogo della citazione secondo le regole ordinarie, l’ordine al terzo di pagare il credito direttamente al concessionario, fino a concorrenza del credito per cui si procede.

Il legislatore ha introdotto quindi una forma c.d. di pignoramento “diretto” a mezzo del quale l’Agente della Riscossione attiva la procedura di recupero forzoso del credito nel caso di sussistenza in capo al debitore, di debiti derivanti da cartelle esattoriali non pagate.

In concreto, l’agente della riscossione, con il pignoramento esattoriale impartisce ad un soggetto terzo, Banche o datore di lavoro, l’ordine di pagare il credito direttamente all’agente stesso entro il termine di 60 giorni dalla notifica dell’atto. L’ordine di pagamento diretto, rivolto dall’agente della riscossione, configura un vero e proprio processo esecutivo per espropriazione di crediti presso terzi, differenziandosi dalla procedura ordinaria essenzialmente per la possibilità del creditore di “ordinare” direttamente al terzo il pagamento delle somme pignorate senza dover attivare le procedure esecutive ordinarie dinanzi il Tribunale.

Per espressa previsione normativa sono tuttavia esclusi da tale forma di pignoramento i crediti pensionistici, i crediti alimentari, i sussidi e le somme dovute a titolo di stipendio, di salario o di altre indennità relative al rapporto di lavoro o di impiego, comprese quelle dovute a causa di licenziamento, le quali possono essere pignorate dall’agente della riscossione in misura pari ad un decimo per importi fino a 2.500 euro e in misura pari ad un settimo per importi superiori a 2.500 euro e non superiori a 5.000 euro.

Per quanto di interesse nella presente disamina occorre porsi l’interrogativo relativo a quali effetti pratici conseguono al pignoramento esattoriale decorso il termine di 60 gg. per l’adempimento del terzo in ragione della prassi, spesso attuata dalle banche, di far permanere il vincolo sul conto corrente oltre i limiti temporali indicati nella norma.

In primo luogo può accadere che l’ordine di pagamento rimanga inevaso dalla nostra Banca e quindi nessun riscontro venga fornito e nessun adempimento venga attuato dalla stessa, nel termine previsto di 60 gg. Orbene, in tali casi, l’agente della riscossione, dovrà attivarsi – secondo l’art. 72, comma 2, con le ordinarie norme esecutive e procedere quindi con la notifica di atto di citazione nei riguardi del terzo intimato e del debitore a comparire innanzi al giudice dell’esecuzione, in difetto il pignoramento perderà la sua efficacia, con l’obbligo del terzo di svincolare ogni limitazione apposta sul conto corrente.

Nell’ipotesi in cui il terzo adempia all’ordine e provveda al pagamento si avrà l’immediato effetto satisfattivo del credito e la procedura dovrà ritenersi definita e conclusa, anche in caso di pagamento parziale e non totalmente satisfattivo. In tale ultimo caso rimane comunque fermo l’obbligo del terzo di eseguire, sempre nei limiti temporali di 60 giorni, ulteriore pagamento nell’ipotesi in cui sopraggiungano ulteriori crediti in favore del debitore, proprio in ragione del termine di efficacia dell’ordine. Diverso orientamento ritiene tuttavia che il pagamento effettuato dal terzo determinerebbe immediatamente la chiusura della procedura espropriativa speciale venendo meno, quindi, la permanenza del vincolo oltre la data del versamento all’agente della riscossione.

Decorsi comunque i 60 gg. il terzo può ritenersi liberato dal vincolo in ragione del principio per il quale l’ordinamento esclude vincoli senza limiti temporali sicché non potrebbe prospettarsi, in mancanza di una specifica disposizione, una protrazione degli effetti del pignoramento. Potrebbe tuttavia ritenersi che, in applicazione analogica del disposto di cui all’art. 497 cpc l’agente della riscossione debba, in assenza di comunicazioni da parte del terzo, procedere nel termine ulteriore di 45 giorni, con il pignoramento ordinario, in mancanza, secondo il disposto dell’articolo sopra citato, il pignoramento perderebbe efficacia. Può affermarsi quindi che, il pignoramento esattoriale si sviluppa in due fasi: la prima si conclude con la dichiarazione negativa rispetto alla quale è onere dell’agente della riscossione avviare una seconda fase, costituita dal pignoramento ordinario. 

E’ pacifico comunque che il pignoramento esattoriale non può avere una durata ed effetti illimitati in danno del contribuente, diversamente da quanto accade nella prassi bancaria, laddove molto spesso l’istituto di credito vincola il rapporto oltre i termini indicati dalla norma con effetti pregiudizievoli per il cittadino. In presenta di tale condotta è opportuno sollecitare la Banca, tramite diffida legale, allo svincolo del conto corrente per inefficacia del pignoramento ed in difetto citare in giudizio la banca stessa, dinanzi il Tribunale competente per far dichiarare giudizialmente l’inefficacia del pignoramento.

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