Il 10 marzo è uscito Ciao, il nuovo singolo di SindroMe scritto da Davide Napoleone, Michele Pecora, Viviana Colombo, Jacopo Federici, arrangiamenti e realizzazione blesss e Michele Pecora, registrato presso gli studi Diesis Chiaravalle da Matteo Pecora e studi blesss, etichetta Starpoint Corporation.“Ho interpretato e indossato con piacere un brano nel quale mi sento a casa”, le parole di Sara Paniccià, in arte SindroMe. “Un brano che credo sia universale: un incontro casuale con le paranoie buone di quando si è attratti da qualcuno che non si conosce ancora bene. L’adrenalina che sentiamo quando si capisce che è scattato qualcosa, senza avere ancora cognizione di quello che sarà, con un ritmo che rende l’idea della tensione emotiva”.
L’incontro, avvenuto alcuni anni fa al Premio Ravera tra Sara Paniccià e il cantautore e musicista Michele Pecora, ha dato il via ad una amicizia e un sodalizio artistico importante che ha dato i suoi frutti e dopo In tempo da te e Meraviglioso disordine, con Ciao trova diverse conferme. Dichiara Michele Pecora: “Un brano attualissimo che è nelle sue corde, con cui Sara dimostra una maturità artistica importante. Un percorso di studio e di ricerca che ha affrontato con molta umiltà, passione e desiderio di trovare la propria direzione, con determinazione e pazienza”. Il video (in alto) è nato dall’idea e con la direzione artistica di Melissa Di Matteo, la regia di Vito Montesano e la produzione di Orazio Cerino.

Il Boterismo nasce per un puro caso stilistico. Esso, infatti, altro non è che un’evoluzione di un punto strategico – come vedremo più avanti – trasformata in un’arte del tutto personale nell’ambito delle espressioni contemporanee, cioè l’arte sviluppata per puro caso dal pittore e scultore colombiano Fernando Botero appena scomparso (Medellin, 19 aprile 1932 – Monaco, 15 settembre 2023); assai noto in campo internazionale e spesso ingiustamente criticato in malo modo.
Piero della Francesca, Tiziano e l’avanguardia francese
Ventunenne, Botero, si reca a Firenze per approfondire lo stile artistico italiano. Ad attirarlo sono soprattutto le opere di Piero della Francesca e quelle di Tiziano, il cui fascino influenzerà i suoi quadri che, tuttavia, non riscuoteranno il successo sperato. Immeritatamente, ma questa è un’altra faccenda. Infatti quando Fernando, qualche tempo dopo, decide di tornare in Colombia, dove tiene un’esposizione che mostri chiaramente la sua influenza italiana, le sue opere non sono per nulla bene accolte; anche perché, giusto a quel tempo, gli ambienti artistici colombiani sono sotto l’influenza dell’avanguardia francese.
Botero va in Messico e – dal caso – nasce il Boterismo
Nel 1956 Fernando Botero si reca a Città del Messico con la prima moglie Gloria Zea (collezionista d’arte e mecenate che per più di quattro decenni, fino al 2016, ha diretto il Museo de Arte Moderno di Bogotá). Lì incontra il movimento artistico del muralismo messicano, e s’interessa particolarmente all’uso esagerato del colore da parte dell’artista Rufino Tamayo. Epperò col tempo Botero si allontana dal muralismo, e ritorna alle sue influenze italiane. Ed è giusto a Città del Messico che avviene l’incredibile: inizia a creare le figure e gli esseri voluminosi che noi tutti conosciamo. È, infatti, mentre vive in quella capitale, che Botero dipinge un mandolino con una buca insolitamente piccola, permettendo allo strumento di assumere improvvisamente proporzioni esagerate. Da allora, il suo lavoro ruotò attorno al gioco dei volumi, partorendo il Boterismo.
Il linguaggio di Botero e l’esordio a New York
È in realtà da questa indagine che Botero scopre il proprio linguaggio, evidente per la prima volta negli oggetti delle sue nature morte. Ed è in seguito che inizia a creare personaggi umani che interagiscono con i suoi oggetti, cosa che lo porta ad esporre a New York.
Le polemiche lavoro di Botero
Ciò che dipingeva Botero è dunque volume, e la forma ne è la sensualità, come lui stesso affermava. Bacchetto volentieri quegli autori, ahinoi, di testi scolastici, che intravedono nell’obesità dei soggetti boteriani una sarcastica critica alla moderna civiltà dei consumi statunitensi, caratterizzati da eccessi alimentari di cibo spazzatura.
ARTE & CULTURA
This is Wonderland a Roma, tra limiti e alto potenziale

This is Wonderland – allestimento itinerante e luminoso – quest’estate è sbarcato anche a Roma. Praticamente identico all’Alice in Wonderland – Garden of Lights che nel 2020 ha illuminato Cracovia, tanto da far pensare a una sorta di riciclo dello spettacolo. Niente di male, tanto più che la cornice romana – quella del laghetto dell’Eur con il giardino delle cascate e 40.000 metri quadri di parco verdeggiante – è di per sé inimitabile.
Un giro conviene farlo, anche perché This is Wonderland doveva finire oggi e invece è stato prorogato per tutto ottobre. Può, dunque, essere visitato e vissuto da chi non ha potuto andarci in estate. Con la consapevolezza che comunque non è tutto oro quello che luccica. Per starci bene, infatti, bisogna fare pace con il concetto di attesa. Attesa per entrarci, divisi in serpentoni umani spartiti in base agli orari di ingresso, con turni ogni 15 minuti. Attesa per controllare il biglietto (cartaceo o online, si attende comunque) e attesa per comprendere un percorso che è tutt’altro che lineare.
All’interno quello che si trova è discretamente suggestivo, ma non mozzafiato come si potrebbe desumere dal sito ufficiale dell’evento. Un limite evidente è che quasi ovunque manchino spazi di condivisione, anche solo per fare una foto o sedersi. Il luogo, inoltre, nonostante il tentativo di regolare gli ingressi, rimane affollato a tutti gli orari, con la conseguenza che avvicinarsi alle installazioni luminose è un’impresa. Altra pecca è che non sembrano esserci, come afferma l’organizzazione, centinaia di artisti di calibro provenienti da tutto il mondo, ma solo una manciata di performers da photo opportunity.
Tutto sommato, pur considerando i limiti, se ci si trova a Roma non si può non andarci, se non altro perché il laghetto dell’EUR e la sua atmosfera regalano in ogni caso un panorama di tutto rispetto, che rende la location scelta vincente rispetto a quelle delle altre capitali europee che hanno ospitato lo spettacolo itinerante.
ARTE & CULTURA
Caccia ai talenti. Attesa per il verdetto del “Je so pazzo” Music Festival

Radio Roma, la prima radio televisione di Roma e del Lazio, sempre presente nei grandi show edeventi musicali dell’estate. Il prossimo sabato 9 settembre alle ore 20 su “Radio Roma Television” (LCN 14 DTT) e in contemporanea sul canale nazionale “Radio Roma Network” (LCN 222 DTT) sarà trasmessa la Finalissima dell’ultima edizione di JE SO PAZZO Music Festival, organizzata dallo staff di Dreaming the Future Srl e svoltasi domenica 23 luglio a Grottaferrata con il patrocinio del Comune: una programmazione intensa di esibizioni e spettacoli che si sono alternati nel corso della settimana dal 17 al 23 luglio, lungo 7 giorni di divertimento, passione e talento che hanno tenuto catalizzato un caloroso pubblico di oltre 4mila persone, in trepidante attesa del verdetto finale.
Giunta alla sua ottava edizione, la Manifestazione si pregia della Direzione Artistica del Maestro Adriano Pennino, noto produttore e direttore d’orchestra che vanta numerose presenze sul palco del Festival di Sanremo. A decretare i vincitori una giuria di altissima qualità formata, oltre al Maestro Pennino, dal carismatico rapper Clementino che ha coinvolto i presenti scendendo tra la folla, dal cantautore Nello Daniele (fratello dell’amatissimo Pino), dal Producer multiplatino Fausto Cogliati e dalla soprano Sabrina Messina.
Tanti gli artisti presenti sul palco, oltre alla pregevole giuria: i cantautori Nakay, Lorenz Simonetti, Namida, Asia del Prete, Francesca Russo, Benedetta Catenacci, e il Duo Polo/Perrone. Ad aprire la serata, la coreografia di ballo realizzata dalle danzatrici dell’Ateneo Arte e Danza di Grottaferrata di Francesca Raponi.
JE SO PAZZO Music Festival si conferma dunque come una grande occasione di divertimento per grandi e piccini, ed inoltre per tutti i telespettatori di Radio Roma, Radio ufficiale Media Partner dell’evento, grazie al contributo irrinunciabile di tutta la squadra tecnica e alla preziosa partecipazione della speaker in prima linea Eleonora Pezzella.
Nel corso della Finalissima si sono esibiti i vincitori delle varie categorie e dei premi speciali, che si sono contesi il titolo del vincitore assoluto. E poi, molti altri riconoscimenti, tra cui: il Premio Social, il Premio Internazionale, il Premio Presenza Scenica, il Premio Main Sponsor, il Premio Miglior Testo Inedito, il Premio della Critica, il Premio Interpretazione e il Premio Je So Pazzo. Un’ulteriore giuria di professionisti del settore musicale, composta da Rosa Bulfaro, Benedetto d’Aguanno, Mariangela Rizza, Johanna Pezone, MariaTotaro e Cristian Gallana, ha decretato il Premio Onda di JE SO PAZZO Music Festival, mentre sabato 22 luglio è stata la volta delle Finali Nazionali del Premio Musicale Milleculture, dedicato proprio a Pino Daniele e che ha visto la commissione artistica impegnata in una selezione difficilissima, data l’eccezionale qualità delle proposte in sfida.
Ma per rivivere sul piccolo schermo le emozioni della finale e ripercorrere le imperdibili performance dei protagonisti, non mancate all’appuntamento su Radio Roma: un’esperienza e un’opportunità unica per entrare nel vivo dell’atmosfera di una serata magica fatta di voci e di note, di spettacolo, sogni e talenti, grazie ai tanti speciali interpreti – ospiti big e cantanti emergenti – che hanno trasformato il palco in una cornice di puro intrattenimento e passione musicale.
Radio Roma è la prima radio tv di Roma e del Lazio: la serata finale sarà trasmessa sabato 9 settembre alle 20 sul canale 14 di Radio Roma Television e in tutta Italia su Radio Roma Network, canale 222 del Digitale Terrestre. Dopo la messa in onda, la versione integrale dello spettacolo sarà inoltre disponibile su www.radioroma.it.
ARTE & CULTURA
Venduta Villa Selva a Firenze. Appartenne a una principessa russa

E’ stata venduta una delle magnifiche ville storiche di Via San Leonardo a Firenze, conosciuta come Villa Selva e Guasto o Villa Dolgoroukoff, dal nome della misteriosa principessa russa a cui appartenne agli inizi del Novecento. Situata in una delle più prestigiose zone di Firenze, a due passi da Piazzale Michelangelo e a soli dieci minuti dal centro della città, la villa è stata venduta tramite trattativa riservatissima un cliente che è riuscito ad acquistare tutta la proprietà, complessivamente di 2 mila mq di interni e 20 mila mq di esterni, dopo che nel secolo scorso era stata suddivisa in più appartamenti.
Benché la maestosa facciata presenti le caratteristiche architettoniche tipiche delle ville del XVII secolo, ricche di decorazioni barocche, la sua origine è più antica: ai primi del XV secolo risulta di proprietà della famiglia Galilei, che la venderanno nel 1480 a Bernardo di Simone Canigiani, personaggio noto nella Firenze del tempo per aver rivestito ruoli di governo, nonché amico intimo del filosofo e umanista Marsilio Ficino.
Nel 1562 la figlia di un altro Bernardo Canigiani la portava in dote alla nobile famiglia dei Rucellai. Seguiranno nei secoli numerosi passaggi di proprietà fino ad arrivare agli inizi del Novecento alla principessa russa Dolgoroukoff e poi nel 1919 per via ereditaria ai Costa de Suarez.
Ma chi era la misteriosa principessa russa proprietaria della villa? Di lei si conosce solo il cognome Dolgoroukoff. Potrebbe trattarsi di Ekaterina Michajlovna Dolgorukova (14 novembre 1847 – 15 febbraio 1922), la giovane principessa russa appartenente ad una famiglia nobile decaduta di cui si innamorò lo Zar Alessandro II di Russia. Dolgoroukoff e Dolgorukova sono, infatti, due versioni dello stesso cognome.
Dopo avergli dato tre figli, lo Zar la sposerà nel 1880 facendola moglie morganatica. Ma neanche un anno dopo Alessandro II verrà ucciso in un attentato e Ekaterina sarà costretta ad andarsene dalla Russia e trasferirsi con i figli in Francia. La loro storia d’amore è diventata il soggetto di due film. Quello del 1959, “Katya, regina senza corona”, per la regia di Robert Siodmak, sarà interpretato da una giovane Romy Schneider, reduce dal grande successo nel ruolo di Sissi.
Sicuramente la principessa, a cui appartenne la villa a Firenze agli inizi del Novecento, non è tra quelle, con lo stesso cognome, costrette a lasciare la Russia per lo scoppio della Rivoluzione e vissute tra Italia e Francia a partire dal 1917. Il mistero dunque continua.
La scenografica facciata della villa, rivolta verso via San Leonardo, presenta una scala in pietra a doppia rampa a tenaglia che consente di raggiungere il piano nobile, mentre, a livello di terreno, un portone immette nella corte centrale attorno a cui si sviluppa l’edificio.
Al centro della facciata si trova uno scudo ottocentesco in pietra con l’arma della famiglia Castrucci (tra quelle a cui appartenne la villa) con il motto “Maiora resurgunt”. La villa è circondata da un parco con sul fronte e su un lato giardini all’italiana. Fa parte della proprietà una cappella in stile tardo seicentesco, separata dal corpo della villa, con la facciata e l’ingresso su via San Leonardo.