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Arena di Verona celebra Carmen in versione kolossal

Arena di Verona celebra Carmen in versione kolossal

(Adnkronos) – L’Arena di Verona celebra Carmen, Bizet e Zeffirelli. Tre anniversari in un unico grande spettacolo in scena dal 4 luglio, a 150 anni dalla prima assoluta dell’opera e dalla scomparsa del suo autore Georges Bizet. E a 30 anni dal debutto areniano del maestro Franco Zeffirelli, proprio con questo allestimento che, nel 1995, vide nel ruolo di Micaela il soprano Cecilia Gasdia.

Una messinscena kolossal per numero di personale artistico e tecnico coinvolto che, anche quest’anno, vede una parata di stelle nel cast diretto da Francesco Ivan Ciampa. Protagonista della prima Aigul Akhmetshina con Roberto Alagna, Aleksandra Kurzak, Erwin Schrott. Tornano anche le storiche coreografie spagnole del Camborio, con il Ballo areniano e la Compañia Antonio Gades.

Un capolavoro che ha cambiato la storia della musica, dell’opera e, nel tempo, della società. Carmen, dalla novella di Prosper Merimée, fece scandalo già alle prove, per le innovazioni di scrittura e presto anche per la libertà della protagonista, disposta a morire pur di difenderla. Il 3 marzo 1875 debuttò alla presenza del mondo musicale parigino ma senza il pubblico abituale dell’Opéra Comique, allertato del “forte soggetto” da una campagna negativa dello stesso impresario. Georges Bizet (1837-1875) non visse abbastanza a lungo per vederne il successo: morì, tre mesi dopo, neanche trentottenne, e la consacrazione partì da Vienna, lo stesso anno, con le scene originariamente parlate messe in musica come recitativi dall’amico Ernest Guiraud, quindi in tutto il mondo. Dopo aver stregato il pubblico, illustri colleghi come Brahms e Čajkovskij e intellettuali come Nietzsche, Carmen arrivò in Italia e, nel 1914, fu il primo titolo ad essere rappresentato in Arena dopo il successo della prima Aida: protagonista allora Maria Gay, compagna del fondatore Giovanni Zenatello. È tuttora la seconda opera più ricorrente in Anfiteatro dopo il capolavoro verdiano: il 14 agosto 2025 è prevista la recita numero 300 da quella prima Carmen.

Tutti i grandi interpreti di ieri e di oggi sono passati dall’Arena di Verona e da Carmen in particolare: per citarne solo alcuni, Elena Nicolai, Fedora Barbieri, Giulietta Simionato, Grace Bumbry, Franco Corelli, Mario Del Monaco, Veriano Luchetti, José Carreras, Mirella Freni, Renata Scotto, Alida Ferrarini, Ettore Bastianini, Piero Cappuccilli, Tom Krause, Giorgio Zancanaro.

Nel luglio 1995, esattamente 30 anni fa, Carmen fu il primo biglietto da visita in Arena del regista e scenografo Franco Zeffirelli. Fiorentino, classe 1923, già dagli anni ’50 era attivo nel teatro, di prosa e d’opera, e nel cinema, acclamato internazionalmente. A lungo corteggiato dall’Arena, attese con un certo timore, quasi diffidenza, il suo debutto, avvenuto con le massime cure di allora, per un titolo che conosceva bene, messo in scena con una disponibilità di grandi masse per lui inedita. Fu l’inizio di una lunga storia d’amore con l’immenso palcoscenico areniano, sviluppatasi in altri 10 spettacoli altrettante inaugurazioni del Festival, compresa quella del 2022 che ha riportato questa Carmen in tutta la grandiosità immaginata ma non realizzabile trent’anni fa.

Nel primo cast di allora, quale Micaela, Cecilia Gasdia, dal 2018 sovrintendente di Fondazione Arena: «La prima volta che ho assistito ad uno spettacolo in Arena, con la mia famiglia, avevo 5 anni, mi portarono a vedere proprio Carmen. Nessuno poteva immaginare che trent’anni dopo sarei stata nel cast di quell’opera, esattamente su quel palcoscenico. Ogni volta che riprendiamo Carmen, e questo allestimento in particolare, l’emozione e la meraviglia sono sempre grandissime. Ho avuto l’onore di interpretare Micaela nel 1995, alla prima volta in Arena del maestro, e amico, Franco Zeffirelli, posso assicurare che quel senso di meraviglia è ancora vivo e cattura, di anno in anno, tanto il pubblico quanto gli artisti in scena».

Oggi come allora, all’appello sono presenti le voci più importanti della scena internazionale: sabato 4 luglio alle ore 21.15 protagonista è Aigul Akhmetshina, la Carmen più richiesta di oggi, mezzosoprano reduce dal trionfale debutto l’anno scorso e in Arena fino a settembre; accanto a lei l’appassionato Don José di Roberto Alagna e l’applaudita Micaela di Aleksandra Kurzak; Escamillo per antonomasia il basso-baritono uruguaiano Erwin Schrott, di casa in Arena.

A loro si alternano nelle diverse serate del Festival grandissimi interpreti di oggi: Anita Rachvelishvili fa il suo atteso ritorno come Carmen il 18 luglio, così come Alisa Kolosova 12 e (26/7). Parata di tenori per José: Francesco Meli, Yusif Eyvazov (per la prima volta), Piotr Beczała, Paolo Lardizzone, Vittorio Grigolo; Mariangela Sicilia è titolare di Micaela in tutte le recite successive, mentre come Escamillo si avvicendano Luca Micheletti, Alexander Vinogradov e Giorgi Manoshvili (altro debutto nel ruolo). Apprezzati artisti e giovani affermati anche nelle parti di fianco, come Sofia Koberidze (Mercedes), Daniela Cappiello (Frasquita), Jan Antem (Dancairo), Carlo Bosi (Remendado in alternanza con Francesco Pittari e Vincent Ordonneau), Gabriele Sagona (Zuniga) e Giulio Mastrototaro (Morales).

Alla guida dell’Orchestra areniana, il maestro Francesco Ivan Ciampa (che debuttò in Arena proprio con questo titolo nel 2018) che per la prima volta affronta lo spettacolo di Zeffirelli: in scena rivive una Siviglia da set cinematografico, più vera del vero e curata in ogni dettaglio, con centinaia tra solisti, artisti del Coro, voci bianche, figuranti e mimi di ogni età, nonché il Ballo dell’Arena, a cui si aggiunge la danza autenticamente spagnola della Compañia Gades sulle coreografie originali di El Camborio e nei costumi fedeli ai disegni di Anna Anni. Oltre al Coro di Fondazione Arena preparato da Roberto Gabbiani, nella piazza sivigliana cantano anche i monelli, interpretati dalle giovanissime voci bianche di A.Li.Ve. istruite da Paolo Facincani.

Repliche il 12, 18, 26 luglio alle 21.15, il 14, 23, 29 agosto e il 3 settembre ore 21. I biglietti per tutte le date sono già in vendita su arena.it, sui canali social dell’Arena di Verona e su Ticketone. Speciali riduzioni sono riservate agli under 30 e agli over 65.

All’interno del programma di sala del 102° Festival, Fondazione Arena ha dedicato nuovi approfondimenti a Carmen e a Bizet, con l’opera introdotta dalla giornalista e musicologa Valentina Anzani, un saggio inedito sul compositore a firma di Hervé Lacombe, oggi massimo studioso d’opera francese e di Bizet in particolare, e una gallery con immagini storiche di Carmen in Arena dal 1914 ad oggi.

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Palazzo Medici Riccardi, nuovo allestimento per il Museo dei Marmi

(Adnkronos) – A vent’anni esatti dalla sua apertura il Museo dei Marmi di Palazzo Medici Riccardi a Firenze si presenta al pubblico con un restyling dell’allestimento che valorizza la collezione. Il riallestimento, curato da Fondazione Mus.E in e finanziato dalla Direzione Cultura della Città Metropolitana di Firenze, ha interessato l’intero percorso espositivo inaugurato nel 2005 e la prima sala del percorso archeologico del palazzo. 

Il progetto ha visto un rinnovamento degli apparati espositivi integrando nuovi basamenti e definendo una nuova illuminazione pensata per esaltare la lettura plastica delle opere e degli ambienti. Prezioso anche l’aggiornamento dei supporti informativi, con didascalie e totem bilingue (italiano e inglese) che accompagnano il visitatore nell’approfondimento storico-artistico dei busti esposti. 

Uno degli interventi più significativi riguarda il posizionamento dei busti antichi, alcuni dei quali restaurati in occasione del progetto. Anche grazie alla consulenza di Fabrizio Paolucci, curatore della collezione di antichità classica delle Gallerie degli Uffizi, il percorso museologico segue criteri tematici che facilitano la lettura delle opere e la comprensione del contesto di provenienza: imperatori, filosofi, atleti e altre figure emblematiche sono infatti disposti in sezioni coerenti e narrative, utili a orientare il pubblico nella visita. 

Il rinnovamento ha coinvolto anche la prima sala del percorso archeologico di Palazzo Medici Riccardi, aperto nel 2019 con un progetto di allestimento a cura dello studio Palterer & Medardi. Anche in questo spazio sono stati inseriti nuovi apparati didattici e un video inedito che documenta le principali fasi e i risultati della campagna di scavo che ha condotto all’apertura del percorso. Il nuovo contenuto audiovisivo si affianca alla produzione multimediale realizzata nel 2019 dalla Soprintendenza Archeologia, belle arti e paesaggio della Città Metropolitana di Firenze e le province di Pistoia e Prato offrendo al pubblico un quadro ancora più completo della storia sotterranea del palazzo. 

Il Museo dei Marmi espone una selezione di opere scultoree provenienti dalle collezioni antiquarie della famiglia Riccardi, appassionati collezionisti di marmi antichi, qui trasferite dalla precedente villa di Gualfonda. Quando il palazzo, nel 1810, venne alienato al demanio, solo una parte della collezione Riccardi fu trasferita nelle collezioni pubbliche, mentre il resto rimase all’interno dell’edificio ed è oggi visibile tra il Museo dei Marmi e il percorso di visita al primo piano. Si tratta soprattutto di busti marmorei di età romana raffiguranti saggi, eroi, imperatori o dei: fra questi l’imperatore Caracalla, Vibia Sabina, Euripide, Anacreonte, Sofocle e il superbo busto di atleta. Vi sono anche i calchi in gesso dei busti di Augusto e di Agrippa, i cui originali furono donati da papa Sisto IV a Lorenzo il Magnifico nel 1471, e quelli di Caligola e Nerone, acquistati dai Riccardi nel 1669. 

L’area sotterranea di Palazzo Medici Riccardi dove si trova il percorso archeologico racconta circa duemila anni di storia del sito ed è stata oggetto di un’accurata campagna di scavi e di un suggestivo allestimento inaugurato al pubblico nella primavera del 2019. È osservabile una porzione dell’originario letto del torrente Mugnone (affluente del fiume Arno) oltre ai resti di una sepoltura tardo-antica, su cui si innestano porzioni di murature, pavimenti, pozzi, scale e cisterne che testimoniano le funzioni assunte da questi spazi nel corso dei secoli. Sappiamo che se in un primo tempo mediceo essi ospitarono le stalle, furono prevalentemente adibiti a cantine e luoghi di servizio, con continue manutenzioni e rinnovamenti; sono osservabili anche i resti di forni e condutture di caloriferi ottocenteschi. Ancora, è esposta – suddivisa per temi e cronologia – una pregevole selezione dei reperti rinvenuti durante le campagne di scavo, risalenti ai secoli scorsi e anche di epoca romana. 

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A Palazzo Pitti il Novecento in 40 abiti da sogno

(Adnkronos) – Un secolo di moda, dalla vivacità del Charleston agli scintillanti anni Ottanta di Enrico Coveri, passando per le creazioni mozzafiato di Elsa Schiaparelli, Yves Saint Laurent, Pierre Cardin e Roberto Capucci. A raccontarlo – attraverso 40 abiti simbolo della più elevata sartorialità mondiale (molti dei quali mai esposti), posti in elegante dialogo con opere di maestri della pittura del Novecento quali Galileo Chini, Felice Casorati, Alberto Burri – è il nuovo allestimento realizzato dal Museo della Moda di Palazzo Pitti a Firenze. 

A un anno esatto dalla riapertura totale della Galleria, interamente rinnovata, la selezione novecentesca esposta ‘gira’, per offrire al pubblico un nuovo capitolo da sogno della storia del costume. Forte di una collezione di 15.000 capi storici e accessori, dal Settecento a oggi, il Museo della Moda ha stabilito di rinnovare a cadenza annuale le collezioni in mostra, facendo riemergere a rotazione dai depositi abiti straordinari, inediti e accuratamente restaurati per poter essere offerti alla visione del pubblico. Restano invariate le sale della moda Sette-Ottocentesca e degli Abiti Medicei.  

Il primo dei nuovi spazi, dedicato alla ‘Moda Charleston’ tra avanguardie ed esotismo, apre la nuova selezione: lo straordinario Trittico di Galileo Chini trasforma la sala in un set scenografico di pucciniana memoria con l’abito indossato dalla moglie del pittore in occasione della prima di Turandot al Teatro La Scala di Milano il 25 aprile 1926. Altri abiti preziosi realizzati con sete pregiate arricchiti da motivi decorativi ispirati alla Cina, al Giappone e all’India rammentano come l’orientalismo si intrecciasse con il desiderio di emancipazione e sperimentazione tipico delle flapper, giovani donne dell’epoca che rompevano con la tradizione. 

Seguono due sale dedicate alla Moda tra le due Guerre: una infilata di abiti mozzafiato che spaziano dalla cultura Déco, a quella delle avanguardie, al razionalismo, al glamour cinematografico degli anni Trenta del Novecento. In tale contesto, il dipinto di Felice Casorati, Lo straniero, fa da controcanto a capi di Elsa Schiaparelli e Madeleine Vionnet. 

La rassegna continua con un viaggio nella Moda nel dopoguerra, con un rarissimo abito del giovane Yves Saint Laurent, nominato, dopo la morte di Christian Dior nel 1957, direttore creativo della prestigiosa Maison e tre abiti, tra cui un Gattinoni, appartenuti a Ingrid Bergman. A seguire tre sale interamente dedicate agli anni Sessanta e Settanta del Novecento, che culminano con una incursione nello Space Age Movement, caratterizzato da un’estetica futuristica e minimalista ispirata alle esplorazioni spaziali e alle innovazioni tecnologiche dell’epoca, grazie a designer iconici come André Courreèges, André Laug e Pierre Cardin, tutti rappresentati in mostra. 

Spazio poi a Roberto Capucci, uno dei protagonisti più audaci e innovativi della moda italiana. In un’epoca dominata dalla rivoluzione giovanile, dalla minigonna e dal prêt-à-porter emergente, rimase fedele a una visione quasi architettonica e scultorea dell’abito, che lo rese famoso sulla scena internazionale. Finale ‘esplosivo’ con Enrico Coveri, che a partire dagli anni Ottanta fece delle paillettes il simbolo del suo stile scintillante, ironico e anticonformista.  

Commenta il direttore delle Gallerie degli Uffizi, Simone Verde: “Questa nuova selezione di abiti del Museo della Moda e del Costume racconta la moda del Novecento come linguaggio visivo e culturale, in dialogo costante con la pittura e le arti. Dai ricami esotici delle flapper all’immaginario decorativo di Galileo Chini, dalla sintesi formale di Casorati e della moda degli anni Trenta fino al minimalismo dello Space Age, accostato ai bianchi e neri di Alberto Burri. La moda si rivela così non solo specchio della trasformazione del femminile, ma anche patrimonio di forme, materiali e visioni che affianca e arricchisce la narrazione figurativa dell’arte”.  

Spiega la curatrice del Museo della Moda e del Costume Vanessa Gavioli: “Nel Novecento la moda racconta la donna tra libertà ed eleganza. Dalle flapper degli anni Venti con abiti leggeri e accenti esotici, si passa agli anni Trenta, con una femminilità più classica e tradizionale. Chanel rivoluziona il tailleur, poi rielaborato da Galitzine e Schön. Negli anni Sessanta e Settanta esplodono minigonne, grafismi e subculture, mentre lo Space Age guarda al futuro e Capucci scolpisce l’abito. Negli anni Ottanta, Coveri esalta luce e colore con le paillettes”. 

(di Paolo Martini) 

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Mutazione genetica a rischio di morte improvvisa scoperta in un paesino campano 

(Adnkronos) – Una mutazione genetica a rischio di morte improvvisa è stata scoperta nella popolazione di Caposele, un paesino di poco più di 3.200 anime in provincia di Avellino. Per circa 2 anni la località campana è stata un laboratorio a cielo aperto, teatro di un programma di screening che ha coinvolto 234 abitanti appartenenti a un unico albero genealogico. L’analisi ha permesso di individuare nel gene Lmna una mutazione “mai descritta prima”, battezzata c.208del, “associata a una forma grave di cardiomiopatia e a manifestazioni neuromuscolari più lievi, ma clinicamente rilevanti”, descrivono gli autori dello studio pubblicato sul ‘Journal of the American College of Cardiology Advances (Jacc): Heart Failure’. A firmare il lavoro un gruppo di genetisti, cardiologi e neurologi dell’Irccs ospedale San Raffaele di Milano. Gli scienziati hanno identificato 30 portatori della nuova mutazione (pari al 12,8% del campione esaminato), di cui il 100% presentava anomalie cardiache in molti casi non note e quindi non trattate, e circa il 43% segni di coinvolgimento neuromuscolare.  

La storia dello studio-rivelazione comincia nel 2021, quando una giovane donna si presenta al San Raffaele nell’ambulatorio del cardiologo e aritmologo Simone Sala, riferendo alcuni episodi di alterazione lieve del ritmo cardiaco. A preoccupare il medico è però la lunga storia familiare di morti improvvise riportate dalla paziente: parenti giovani, apparentemente sani, colpiti da arresti cardiaci senza spiegazione. “Mi si accese così una lampadina – racconta lo specialista – Non era solo un’aritmia: c’era qualcosa che sembrava ricorrere nella famiglia di questa paziente, e questo qualcosa andava capito in fretta”. Dalle caratteristiche delle alterazioni cardiache della giovane, Sala sospetta una forma di laminopatia. Le laminopatie sono malattie causate da mutazioni del gene Lmna, che si manifestano con sintomi molto diversi, tra cui appunto anomalie cardiache e neuromuscolari. Grazie all’intuizione del cardiologo, sulla paziente scatta dunque l’indagine genetica che conferma l’ipotesi: la giovane è portatrice di una mutazione del gene Lmna, ma nuova, sconosciuta prima d’allora. La ‘paziente 0’ era stata trovata.  

Dal suo caso è partita una campagna di screening genetico-clinico iniziata nel 2022 e conclusa nel giugno 2024, portata avanti grazie alla straordinaria partecipazione della comunità civile e medica locale, spiegano dal San Raffaele. Sette gli specialisti dell’ospedale ‘registi’ del maxi-progetto, guidati da Sala in collaborazione con Stefano Previtali, neurologo dell’Irccs e associato all’università Vita-Salute San Raffaele, e con Chiara Di Resta, docente dell’ateneo e ricercatrice dell’Unità di Genomica per la diagnosi delle patologie umane del San Raffaele. “In alcuni soggetti” portatori della mutazione diagnosticati grazie allo studio, riporta l’ospedale, “la diagnosi precoce ha consentito interventi tempestivi salvavita, come l’impianto di un defibrillatore o l’indicazione al trapianto di cuore”.  

La prima a beneficiare della scoperta è stata proprio la donna che l’ha resa possibile. Poiché “questa mutazione c.208del comporta un rischio elevato di aritmie maligne e morte improvvisa – sottolinea Di Resta – il nostro primo obiettivo era chiaramente proteggere la paziente”. A scopo preventivo, Sala le ha impiantato un defibrillatore che si è poi rivelato determinante per salvare la vita della giovane, colpita da arresto cardiaco pochi mesi dopo. Successivamente un secondo paziente originario di Caposele, con una storia personale nota per aritmie cardiache severe, si è rivolto al cardiologo riferendo episodi di morti improvvise e casi familiari segnati da zoppia. Anche lui è risultato portatore della mutazione c.208del. L’uomo raccontò inoltre di avere ‘disegnato’ insieme al cugino, e con la collaborazione dell’intera comunità e di discendenti di caposelesi emigrati anche in America, un albero genealogico digitale di Caposele con quasi 3mila soggetti, recuperando notizie da fonti parrocchiali, atti notarli del passato e strumenti open source, per risalire così a un unico antenato nato nel 1689 e riscrivere 12 generazioni di storia familiare. 

Anche sulla base delle ricostruzioni genealogiche di Caposele, l’équipe del San Raffaele ha potuto individuare le persone viventi possibili portatrici della nuova mutazione. Sfruttando la caratteristica autosomico-dominante di c.208del, in virtù della quale basta ereditare una sola copia del gene alterato per sviluppare la malattia, il gruppo ha identificato precocemente i soggetti a rischio e li ha invitati a sottoporsi agli screening genetici e clinici, che in alcuni casi sono stati appunto fondamentali per intervenire tempestivamente e prevenire esiti infausti.  

Il lavoro di ricerca ha ‘arruolato’ anche l’intelligenza artificiale. Per ottimizzare la selezione e la valutazione dei portatori della mutazione Lmna, è stato infatti utilizzato un algoritmo di Ai che ha permesso di predire lo stato genetico dei partecipanti a partire da dati biometrici, elettrocardiogramma ed ecocardiografie, raggiungendo fino al 90% di accuratezza nella predizione. Questo approccio innovativo ha migliorato l’efficacia dello screening e la gestione personalizzata dei pazienti – evidenziano gli esperti – supportando la diagnosi precoce e le decisioni cliniche in un contesto di isolamento genetico unico come quello di Caposele. “La risposta della comunità è stata straordinaria: oltre il 90% delle persone rintracciate ha aderito volontariamente – rimarcano dall’Irccs del Gruppo San Donato – contribuendo a realizzare uno degli screening genetici più estesi mai effettuati in un contesto di isolamento geografico nel Sud Italia”.  

Ma cosa provoca esattamente la nuova mutazione genetica scoperta sull’asse Milano-Caposele? Per spiegarlo i ricercatori partono dalla biologia. Ci sono proteine dette lamine – illustrano – che sono fondamentali per la struttura e la stabilità delle cellule perché formano lo ‘scheletro interno’ del nucleo, deputato a proteggere il materiale genetico e a regolarne molte funzioni. Le mutazioni a carico del gene Lmna, che fornisce le istruzioni per produrre le lamine, sono di vari tipi: determinano la famiglia di malattie denominate laminopatie, e possono anche essere responsabili di patologie rare e gravi come la progeria di Hutchinson-Gilford che causa invecchiamento precoce fin dall’età pediatrica. Ne soffriva Sammy Basso, scomparso l’anno scorso, diventato ricercatore proprio per studiare la sua sindrome. Oltre alla progeria, le laminopatie comprendono cardiomiopatie familiari, distrofie muscolari e altre forme neuromuscolari complesse.  

“La nuova mutazione del gene Lmna identificata nel nostro studio – approfondisce Di Resta – consiste nella delezione di una singola base del Dna, che può portare alla sintesi di una proteina non funzionale. Questo provoca una fragilità strutturale delle cellule, che nel tempo può tradursi in una cardiomiopatia dilatativa: il cuore si dilata, perde forza nella contrazione con relativa alterazione del sistema di conduzione elettrico”. Non a caso, continua Sala, “in tutti i portatori della nuova mutazione abbiamo osservato un coinvolgimento cardiaco le cui manifestazioni iniziali possono essere lievi e sottostimate, con il rischio però di un peggioramento repentino. Queste alterazioni cardiache possono infatti comprendere disturbi nel modo in cui il cuore trasmette gli impulsi elettrici, senza causare iniziali sintomi evidenti, ma instaurando poi una vera e propria aritmia cardiaca severa”. Inoltre “la nuova mutazione, pur risultando principalmente in malfunzionamenti cardiaci – precisa Previtali – determina anche un coinvolgimento neuromuscolare in circa il 40% dei portatori. Le manifestazioni includono debolezza muscolare e difficoltà motorie, che possono variare in gravità e insorgenza”. 

“In un’epoca in cui la ricerca sembra appannaggio esclusivo dei laboratori – commentano Sala, Previtali e Di Resta – l’esperienza di Caposele ribalta la prospettiva: qui la scienza è nata dalla popolazione, grazie alla grande determinazione e collaborazione di una comunità intera. E’ stato l’incredibile lavoro di ‘memoria collettiva’ dei caposelesi a fornire la base per il tracciamento genetico. Famiglie intere si sono riunite per sottoporsi ai test, confrontarsi con i medici, comprendere rischi e opportunità di questa indagine. Questo modello di ‘citizen science’ – in cui cittadini, clinici e ricercatori collaborano alla pari – ha dimostrato che la conoscenza, quando condivisa, può generare un impatto reale. Il contributo della comunità non è stato solo logistico o numerico, ma profondamente umano: ha reso possibile un nuovo modo di fare medicina, fondato sulla fiducia, sull’identità e sulla memoria di un territorio”. 

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Ai Cancelli di Ostia chioschi e bagni ancora chiusi e zero bagnini

(Adnkronos) – Una spiaggia frequentata anche da diecimila persone ogni fine settimana, ma che ancora, a metà luglio, non ha quasi nessun servizio. Il mare di Roma ridotto a una distesa desolante di chioschi chiusi, serrande abbassate e strutture quasi del tutto abbandonate a loro stesse con nessuno spogliatoio, zero docce e giusto qualche toilette. Due chilometri di spiaggia, quella dei cancelli di Ostia, a due passi dalla tenuta presidenziale di Castelporziano, che, nonostante annunci e promesse del Comune di Roma, in piena estate ancora fatica a essere raggiunta dai minimi servizi, in una stagione, quella 2025 – anno del Giubileo – che si è aperta ufficialmente lo scorso 1 maggio. Almeno sulla carta.  

Già a fine giugno, l’Adnkronos aveva registrato una situazione caratterizzata da totale incuria e abbandono, con i servizi igienici chiusi e latrine di emergenza nascoste fra le dune o dietro le strutture stesse. Oggi, a 15 giorni dalla chiusura di un bando arrivato già tanto in ritardo, la situazione è migliorata, ma è ancora molto lontana da poter essere considerata risolta: i chioschi, pur assegnati, sono infatti tutti ancora deserti, privi di bar e bagnini, e i servizi igienici sono aperti solo in una piccola parte delle 8 strutture dislocate ai cancelli.  

Se gli edifici 1, 2, 3 hanno effettivamente bagni aperti e puliti, infatti, le strutture 5, 6, 7, 8 sono ancora chiuse con i lucchetti. A quanto apprende l’Adnkronos, “c’è stato un blitz e hanno cacciato via la gente che dormiva dentro alcune stanze degli edifici”: al numero 2, dove i bagni sono utilizzabili ma gli spogliatoi sono ancora chiusi a chiave, una porta è stata sradicata ed è stata buttata a terra dentro uno dei locali. Mentre un altro vano dello stesso stabile è stato dato alle fiamme di recente, come testimonia l’odore pungente di bruciato, con tanto di pareti annerite e lampade sul soffitto che si sono sciolte per il calore. La struttura numero 7 è allagata: “È al disotto del livello del mare – racconta chi conosce la situazione della zona – e c’è perfino il timore che possa essere terreno fertile per la malaria”.  

Il fango e l’acqua stagnante sono lì da talmente tanto tempo che alcune piante sono cresciute e hanno superato il metro di altezza: una delle stanze, raggiungibile con una passerella di fortuna sopra il guado, ha la porta spalancata. Al suo interno, una gran quantità di cianfrusaglie ammassate. Ma a Castelporziano, c’è anche chi decide di raccontare un’altra faccia del mare di Roma: “Da vent’anni le solite bande di ladri scorrazzano indisturbate saccheggiando le auto di chi viene ai Cancelli. La gente si difende come può, si arrangia come può, ricorrendo anche ai parcheggiatori abusivi pur di non trovare vetri delle loro auto sfondati. Fra le dune si vedono anche gruppi di spacciatori, che sono una novità di questa stagione, la peggiore che io possa ricordare qui. Di certo, senza bagnini né servizi, è un miracolo che non sia morto qualcuno”.  

Rispetto a due settimane fa infatti, l’unica differenza sono alcune luci dei chioschi, che sono accese. Ma null’altro sembra essere cambiato in questa estate desolata per il mare di Roma e per i tanti che, comunque, sperano di potersi godere una giornata sulle spiagge della Capitale d’Italia. (di Lorenzo Capezzuoli Ranchi) 

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