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Trump: “Tregua a Gaza entro una settimana. Iran vuole parlarmi”

Trump: "Tregua a Gaza entro una settimana. Iran vuole parlarmi"

(Adnkronos) –
Donald Trump preannuncia il cessate il fuoco a Gaza e non esclude il dialogo con l’Iran, intanto però avverte Teheran e manda un messaggio durissimo all’ayatollah Ali Khamenei a cui ha “salvato la vita”. Il presidente degli Stati Uniti risponde alla raffica di domande che gli viene posta nello Studio Ovale nell’evento per la firma del trattato di pace tra Ruanda e Congo. Qualcuno accosta il nome di Trump al premio Nobel per la pace.

“Risolviamo problemi”, dice il presidente, snocciolando un curriculum di mediatore tra Europa, Africa e Asia. Si spinge fino alla Corea del Nord, lasciando intendere di aver ripreso i contatti con Kim Jong-Un: “Vado molto d’accordo con lui”, dice mentre glissa davanti ad una domanda sull’invio di una lettera al leader di Pyongyang.

“Qualcuno dice che c’è il rischio di un potenziale conflitto, risolveremo. Risolviamo problemi in luoghi molto lontani da noi. Abbiamo evitato un disastro tra Serbia e Kosovo. Alcuni paesi erano pronti ad andare in guerra contro i vicini. Sono felice di come sia andata tra India e Pakistan, hanno entrambi le armi nucleari”, dice muovendosi idealmente sul planisfero.

Risolta la crisi tra Israele e Iran con il cessate il fuoco, l’attenzione si sposta su Gaza. “La situazione a Gaza è terribile, pensiamo che avremo un cessate il fuoco entro la prossima settimana. Stiamo mandando denaro e cibo, bisogna farlo: la gente muore, non ha nulla lì”, dice Trump.

“Una parte degli aiuti viene rubata e rivenduta da coloro che dovrebbero prendersi cura della popolazione, vedete le file di persone per avere un pasto. Nessuno sta aiutando, noi stiamo mandando denaro e cibo”, dice Trump.

Per il resto della giornata, tra post e dichiarazioni sull’Iran, il presidente degli Stati Uniti oscilla tra apertura al dialogo e minacce velate dopo l’attacco ai siti nucleari iraniani e la fine del conflitto tra la repubblica islamica e Israele.

“L’Iran vuole un incontro dopo l’annientamento dei siti nucleari. Vogliono incontrarmi e vogliono farlo in fretta, non sono stupidi. Non torneranno al programma nucleare in tempo brevi, nulla è stato spostato dagli impianti. Il cemento armato che copriva il sito” di Fordow “è stato distrutto ed è crollato sugli impianti: ci sono milioni di tonnellate di rocce. I bombardieri hanno colpito un bersaglio grande come la porta di un frigorifero, incredibile”, dice Trump in una conferenza stampa mattutina alla Casa Bianca.

Valuterebbe di bombardare ancora l’Iran se l’intelligence affermasse che Teheran può puntare all’arricchimento dell’uranio? “Sì, senz’altro”, l’avvertimento.

“L’Iran è sfinito, Israele anche è sfinito. Noi abbiamo fatto un gran lavoro e loro sono sfiniti. L’ultima cosa a cui l’Iran vuole pensare ora è il nucleare”. C’è un dettaglio che a Trump va giù: “L’ayatollah Khamenei ha detto che ha vinto la guerra. Voglio rispondere alla sua dichiarazione (Video). Guardi, lei è un uomo di fede e una persona estremamente rispettata nel suo paese. Deve dire la verità, è stato battuto pesantemente. Anche Israele è stato colpito, entrambi i paesi volevano porre fine a tutto questo”.

Poi, il ‘siluro’ con il post su Truth: “Perché il cosiddetto ‘Leader Supremo’ dell’Iran devastato dalla guerra, l’Ayatollah Ali Khamenei, dovrebbe dire così sfacciatamente e stupidamente di aver vinto la guerra con Israele, quando sa che è una bugia?” (Video), scrive il presidente americano.

“Come uomo di grande fede, non dovrebbe mentire. Il suo Paese è stato decimato, i suoi tre malvagi siti nucleari sono stati annientati, e sapevo esattamente dove si nascondeva e non ho permesso a Israele, né alle Forze Armate statunitensi – di gran lunga le più grandi e potenti al mondo – di togliergli la vita”.

Il presidente rivendica un’escalation fatale: “Gli ho salvato la vita da una morte molto brutta e vergognosa, e non deve nemmeno dire ‘grazie, presidente Trump'”. Il numero 1 della Casa Bianca afferma che nell’atto finale della guerra ha “ordinato a Israele di far tornare indietro un grande gruppo di aerei che si stavano dirigendo direttamente su Teheran, pronti per un grande giorno, forse il colpo di grazia finale. Sarebbe stato l’attacco più grande della guerra, di gran lunga. Sarebbero seguiti danni tremendi e molti iraniani sarebbero morti”.

Insomma, per colpa di Khamenei e delle sue parole, si torna a rapporti tesi. “Negli ultimi giorni stavo lavorando alla possibile rimozione delle sanzioni e ad altre misure, che avrebbero dato all’Iran una possibilità molto migliore di recupero pieno, rapido e completo, le sanzioni stanno facendo male! – dice Trump – Ma no, invece ricevo una dichiarazione di rabbia, odio e disgusto, e ho immediatamente interrotto ogni lavoro sulla revoca delle sanzioni, e altro ancora”.

Per ‘altro ancora’ cosa si intende? “L’Iran deve rientrare nel flusso dell’Ordine Mondiale, altrimenti le cose peggioreranno ancora. Sono sempre così arrabbiati, ostili e infelici, e guarda cosa ne hanno ricavato: un Paese bruciato e distrutto, senza futuro, un esercito decimato, un’economia orribile e la morte tutto intorno. Non hanno speranza, e andrà solo peggio!”. Quindi, l’appello finale: “Vorrei che la leadership dell’Iran capisse che spesso si ottiene di più con il miele che con l’aceto”.

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Russia sferra attacco più duro da inizio guerra. Zelensky da Leone XIV

La Russia ha sferrato l’attacco più duro dall’inizio della guerra. Mosca ha lanciato questa notte 728 droni e 13 missili contro l’Ucraina. È il nuovo record del conflitto, rispetto al precedente record del 4 luglio, il numero di missili e droni è aumentato di 191 unità. Nel frattempo, il presidente ucraino, Zelensky, è a Roma per partecipare alla conferenza internazionale sulla ricostruzione dell’Ucraina in programma domani e venerdì presso la Nuvola all’Eur. E’ stato ricevuto da Papa Leone XIV a Castel Gandolfo, poi a seguire gli incontri con il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, e l’inviato americano per l’Ucraina, Keith Kellogg.

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Presenza delle Idf a Gaza, l’ultimo nodo nei negoziati Israele-Hamas a Doha

(Adnkronos) – La presenza delle Forze di difesa israeliane (Idf) nella Striscia di Gaza resta l’unico, ma cruciale, nodo ancora irrisolto nei negoziati indiretti tra Israele e Hamas in corso per il cessate il fuoco e il rilascio degli ostaggi. Fonti con accesso diretto ai colloqui a Doha, citate da Sky News, confermano che il punto più dibattuto resta la permanenza militare israeliana nell’enclave palestinese.

Secondo quanto appreso dall’emittente britannica, le delegazioni israeliana e di Hamas hanno trovato un’intesa su due punti chiave: la gestione degli aiuti umanitari e la garanzia degli Stati Uniti sul fatto che Israele non riprenda unilateralmente le ostilità allo scadere del cessate il fuoco previsto per 60 giorni.

Per quanto riguarda gli aiuti, le parti hanno concordato che a occuparsene sarà un soggetto terzo, né controllato da Hamas né da Israele. Questo escluderebbe dal processo la Gaza Humanitarian Foundation (Ghf), organizzazione controversa sostenuta da Israele e Stati Uniti, che non potrà operare nelle aree dove le Idf non presenti. L’intesa prevede un maggiore coinvolgimento delle Nazioni Unite e di altre organizzazioni internazionali.

Sulla garanzia americana, invece, l’emittente britannica rivela di una comunicazione inviata a Hamas da Bishara Bahbah, cittadino palestinese-americano ritenuto una figura chiave nei canali diplomatici non ufficiali, che avrebbe rassicurato i vertici della fazione palestinese sul fatto che l’amministrazione Trump si impegnerà a impedire una ripresa unilaterale della guerra da parte israeliana.

La questione della presenza israeliana a Gaza resta però irrisolta. Per Tel Aviv, il ritiro delle truppe potrebbe compromettere l’obiettivo dichiarato della guerra: l’eliminazione totale di Hamas come forza militare e politica. Al contrario, per Hamas qualsiasi permanenza delle Idf rappresenterebbe un’occupazione militare inaccettabile.

Una possibile via d’uscita, riferiscono fonti vicine ai negoziati, potrebbe essere rappresentata da garanzie internazionali su un percorso politico chiaro e realizzabile per il futuro dei palestinesi. Tuttavia, allo stato attuale dai colloqui non è ancora emerso alcun impegno concreto in tal senso.

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Dazi, cosa significano gli ‘accordi’ per Trump

Dazi, cosa significano gli 'accordi' per Trump

(Adnkronos) – Donald Trump minaccia dazi alle stelle, pubblica “lettere” su Truth, parla di “accordi”. Con Paesi da una parte all’altra del mondo. Anche ieri ha usato il termine “accordo” in riferimento a documenti che non hanno trovato il consenso di altri Paesi, le “lettere” pubblicate su Truth con i dazi ‘aggiornati’ in assenza di una qualche forma di intesa entro il primo agosto. Dal suo punto di vista “una lettera significa un accordo”. Oggi, ha evidenziato sul New York Times Ana Swanson che da anni si occupa di commercio ed economia internazionale, cosa si intenda per accordo commerciale è diventata una “domanda insidiosa” e per il presidente degli Stati Uniti “Dazi Trump, von der Leyen: “Lavoriamo a soluzione negoziata con Usa” sembra essere praticamente tutto ciò che vuole che sia”.

Le ‘storiche’ intese commerciali sono fatte da centinaia di pagine, messe a punto spesso dopo anni di negoziati. La seconda amministrazione Trump, si legge sul Nyt, ha dimostrato sinora poco interesse o poca pazienza per negoziati commerciali esaustivi. I tradizionali accordi di libero scambio, oltre alla complessità negoziale, richiedono anche l’approvazione del Congresso, evidenzia l’analisi ricordando quello che a maggio è stato annunciato dalla Casa Bianca come uno “storico accordo commerciale” con il Regno Unito, “poche pagine” e “molte promesse ancora da negoziare”. Un quadro per futuri colloqui, dicono alcuni osservatori.

E come “accordo commerciale” è stato presentato anche quello della scorsa settimana con il Vietnam. Su Truth il presidente ha scritto che “sarà un grande accordo di cooperazione tra i nostri due Paesi”, con la prospettiva di dazi al 20% sulle importazioni dal Vietnam, ma da allora – ha sottolineato ancora il Nyt – non è stato diffuso pubblicamente un testo o almeno una scheda per descrivere cosa sia stato concordato.

Dopo il Regno Unito, il 12 maggio la Casa Bianca ha presentato come “accordo” la tregua sui dazi concordata con la Cina. Trump, evidenzia il Nyt, ha anche iniziato a riferirsi alla tregua commerciale con il gigante asiatico parlando di “accordo commerciale”, pur trattandosi di un’intesa tra i due governi per fare marcia indietro sulle misure tariffarie e su altre misure che erano state adottate al culmine della guerra di dazi e controdazi. “In genere un accordo commerciale porta cambiamenti nelle regole del commercio, ma questa tregua ha solo riportato le relazioni allo status quo”, ha osservato Swanson nella sua analisi. “Abbiamo avuto un ottimo rapporto con la Cina ultimamente – ha detto ieri Trump in dichiarazioni rilanciate dai media americani dopo la riunione di gabinetto alla Casa Bianca – Sinceramente, sono stati molto onesti sul nostro accordo commerciale”.

Lunedì erano quasi tutte identiche le “lettere” pubblicate da Trump su Truth per informare Giappone e Corea del Sud per primi, ma anche Sudafrica e altri Paesi, dei dazi che potrebbero essere imposti sui loro prodotti. E il Nyt sottolinea come, dopo aver spostato dal 9 luglio al primo agosto la ‘deadline’ per accordi sui dazi con i singoli Paesi, Trump sia sembrato indicare che le future possibilità di negoziare potrebbero essere limitate. “Non possiamo incontrare 200 Paesi”, ha detto il tycoon.

Al Time ad aprile diceva che “l’accordo è un accordo che scelgo io”. E, conclude il Nyt, la principale ragione per cui i nuovi accordi dell’Amministrazione sono così limitati sta anche nei tempi ristretti. Per Nisha Biswal di Asia Group citata dal giornale semplicemente “pensare di arrivare a un accordo davvero solido e completo in poche settimane o mesi, credo sia davvero irrealistico, perché c’è molto da negoziare dal punto di vista del testo legale e questi negoziati, per la loro stessa natura, richiedono tempo”. Trump è il presidente delle “lettere” dopo il ‘Liberation Day’.

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Kate accanto a Macron, ritorno al banchetto di Stato dopo due anni

Kate accanto a Macron, ritorno al banchetto di Stato dopo due anni

(Adnkronos) – Circa 160 invitati, seduti attorno a una tavola lunga 50 metri nella St George’s Hall del castello di Windsor, per il banchetto di Stato in onore del presidente francese Emmanuel Macron e della premiere Dame Brigitte. Accanto al capo dell’Eliseo la principessa Kate, che da due anni non partecipava a un banchetto di Stato, l’ultimo quello del novembre del 2023 in onore del presidente sudcoreano. Era stata Kate, insieme al principe William, ad accogliere Macron e la moglie all’aeroporto Raf Northolt. Al banchetto, Kate ha brindato con spumante inglese con Macron, che appena arrivato a Londra le aveva fatto il baciamano. Un cocktail speciale è stato infatti creato per l’occasione, ‘L’entente’, che combina gin britannico con lemon curd e pastis francese, guarnito con fiordalisi francesi essiccati e rose inglesi. I principi del Galles, futuri regnanti, sono quindi stati impegnati in un passo in avanti per allinearsi ai doveri e agli impegni di re Carlo, anziano e malato. 

Molte le celebrità presenti per il banchetto di Stato che si è svolto al castello di Windsor, il primo dal 2014, perché Buckingham Palace è parzialmente chiuso per restauro e inadatto ad accogliere ospiti. Presenti alla serata anche Sir Mick Jagger, frontman dei Rolling Stones, insieme alla fidanzata Melanie Hamrick, e Sir Elton John, accompagnato dal marito David Furnish. Entrambi i musicisti hanno una casa in Francia e Sir Elton ne possiede una anche nella vicina Old Windsor. Tra gli altri volti noti figurano l’attrice Dame Kristin Scott Thomas, l’ex portiere dell’Inghilterra Mary Earps che ora gioca nel Paris Saint-Germain, Fred Sirieix di First Dates, il cantante Mika, lo scultore Sir Antony Gormley e gli autori Joanne Harris e Sebastian Faulks. 

La tavola, illuminata a lume di candela, è stata addobbata con fiori di stagione raccolti a mano dai giardini di Buckingham Palace e del Castello di Windsor, insieme a fiori e lavanda provenienti dal Savill Garden nel Windsor Great Park. Al menù ha collaborato lo chef francese Raymond Blanc, di recente nominato ambasciatore della King’s Foundation. Ha preparato la prima portata e il dessert “nello spirito dell’Entente Cordiale”, ha detto Buckingham Palace. Al termine della cena sono stati serviti il ​​Porto Vintage Taylor’s del 1977 e un Cognac Grande Champagne del 1948 di Frapin & Co, selezionati per ricordare gli anni in cui sono nati Macron e re Carlo. 

Dopo il banchetto gli ospiti si sono spostati nella Sala Musica per assistere all’esibizione della Bbc National Orchestra del Galles. Tra gli artisti che si sono esibiti il flautista Matthew Featherstone, di nazionalità franco-britannica, e il violoncellista Raphael Lang di nazionalità anglo-americana, ma nato e cresciuto a Parigi. 

internazionale/royalfamilynews

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