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La luce soffusa di Vermeer in mostra al Rijksmuseum di Amsterdam | Rec News dir. Zaira Bartucca La luce soffusa di Vermeer in mostra al Rijksmuseum di Amsterdam | Rec News dir. Zaira Bartucca

ARTE & CULTURA

La luce soffusa di Vermeer in mostra al Rijksmuseum di Amsterdam

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E’ una delle mostre più attese d’Europa quella che fino al 4 giugno sarà ospitata dal Rijksmuseum di Amsterdam, che riguarderà uno dei pittori olandesi del XVII secolo più apprezzati: Johannes Vermeer. Noto per le sue opere luminose e delicate che rappresentano scene quotidiane della vita borghese, la sua carriera artistica è stata breve, ma ha lasciato un’eredità duratura e ha influenzato molte generazioni di artisti successivi.

Vermeer nasce a Delft, nei Paesi Bassi, intorno al 1632. Non si sa molto della sua formazione artistica, ma è probabile che abbia studiato con il pittore Carel Fabritius, che ha influenzato il suo stile. Nel 1653 sposa Catharina Bolnes, che diventa la protagonista di molti suoi quadri, con soggetti spesso ricorrenti: dalla “Donna in azzurro che legge una lettera” alla “Lettrice alla finestra”, recentemente restaurato. Si stabilisce dunque a Delft, dove trascorre tutta la sua vita e svolge la maggior parte del suo lavoro artistico.

La luce soffusa di Vermeer in mostra al Rijksmuseum di Amsterdam | Rec News dir. Zaira Bartucca
Donna che legge una lettera davanti alla finestra

A partire dal 1670 comincia a diventare sempre più richiesto, e le sue opere – dimenticato lo stile un po’ grottesco degli esordi di “The Procuress” – vengono esposte in tutta Europa. Nonostante popolarità, decide comunque di rimanere riservato e discreto, scegliendo di trascorrere la maggior parte della sua vita lontano dai riflettori.

Vermeer è conosciuto soprattutto per le sue scene interne, in cui rappresenta persone impegnate in attività quotidiane, come la lettura – appunto – la musica o la conversazione. Quasi foto dell’epoca scattate di soppiatto mentre il soggetto non sa di essere visto, le sue “scene” sono caratterizzate da una luce soffusa che crea un’atmosfera interiore e serena, e dall’utilizzo di colori brillanti e vivaci. Uno dei suoi quadri più famosi è “La ragazza con l’orecchino di perla”, che ritrae una giovane donna con un turbante azzurro che emerge da uno sfondo scuro.

Vermeer ha anche dipinto paesaggi e ritratti, ma queste opere sono meno numerose rispetto alle sue scene interne. Tuttavia, sono ugualmente importanti per la sua carriera e il suo stile, e rappresentano una sfida artistica diversa rispetto alle sue opere più famose. La sua abilità nell’utilizzare la luce per creare effetti drammatici e tridimensionali ha reso le sue opere molto apprezzate e ammirate dai contemporanei.

La mostra del Rijksmuseum di Amsterdam rappresenta un’occasione unica per ammirare le opere principali di Vermeer in un unico luogo. La personale riunirà per la prima volta 28 sue opere, provenienti da musei di tutto il mondo, tra cui il Louvre di Parigi, il Metropolitan Museum of Art di New York e il Museo del Prado di Madrid.“The Milkmaid”, “Girl with a Pearl Earring” e “The Love Letter” saranno esposte insieme per la prima volta.

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L’orma di Botero? Un puro caso

di Paolo Battaglia La Terra Borgese*

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L'orma di Botero? Un puro caso | Rec News dir. Zaira Bartucca

Il Boterismo nasce per un puro caso stilistico. Esso, infatti, altro non è che un’evoluzione di un punto strategico – come vedremo più avanti – trasformata in un’arte del tutto personale nell’ambito delle espressioni contemporanee, cioè l’arte sviluppata per puro caso dal pittore e scultore colombiano Fernando Botero appena scomparso (Medellin, 19 aprile 1932 – Monaco, 15 settembre 2023); assai noto in campo internazionale e spesso ingiustamente criticato in malo modo.

Piero della Francesca, Tiziano e l’avanguardia francese

Ventunenne, Botero, si reca a Firenze per approfondire lo stile artistico italiano. Ad attirarlo sono soprattutto le opere di Piero della Francesca e quelle di Tiziano, il cui fascino influenzerà i suoi quadri che, tuttavia, non riscuoteranno il successo sperato. Immeritatamente, ma questa è un’altra faccenda. Infatti quando Fernando, qualche tempo dopo, decide di tornare in Colombia, dove tiene un’esposizione che mostri chiaramente la sua influenza italiana, le sue opere non sono per nulla bene accolte; anche perché, giusto a quel tempo, gli ambienti artistici colombiani sono sotto l’influenza dell’avanguardia francese.

Botero va in Messico e – dal caso – nasce il Boterismo

Nel 1956 Fernando Botero si reca a Città del Messico con la prima moglie Gloria Zea (collezionista d’arte e mecenate che per più di quattro decenni, fino al 2016, ha diretto il Museo de Arte Moderno di Bogotá). Lì incontra il movimento artistico del muralismo messicano, e s’interessa particolarmente all’uso esagerato del colore da parte dell’artista Rufino Tamayo. Epperò col tempo Botero si allontana dal muralismo, e ritorna alle sue influenze italiane. Ed è giusto a Città del Messico che avviene l’incredibile: inizia a creare le figure e gli esseri voluminosi che noi tutti conosciamo. È, infatti, mentre vive in quella capitale, che Botero dipinge un mandolino con una buca insolitamente piccola, permettendo allo strumento di assumere improvvisamente proporzioni esagerate. Da allora, il suo lavoro ruotò attorno al gioco dei volumi, partorendo il Boterismo.

Il linguaggio di Botero e l’esordio a New York

È in realtà da questa indagine che Botero scopre il proprio linguaggio, evidente per la prima volta negli oggetti delle sue nature morte. Ed è in seguito che inizia a creare personaggi umani che interagiscono con i suoi oggetti, cosa che lo porta ad esporre a New York.

Le polemiche lavoro di Botero

Ciò che dipingeva Botero è dunque volume, e la forma ne è la sensualità, come lui stesso affermava. Bacchetto volentieri quegli autori, ahinoi, di testi scolastici, che intravedono nell’obesità dei soggetti boteriani una sarcastica critica alla moderna civiltà dei consumi statunitensi, caratterizzati da eccessi alimentari di cibo spazzatura.

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This is Wonderland a Roma, tra limiti e alto potenziale

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This is Wonderland a Roma, tra limiti e alto potenziale | Rec News dir. Zaira Bartucca

This is Wonderland – allestimento itinerante e luminoso – quest’estate è sbarcato anche a Roma. Praticamente identico all’Alice in Wonderland – Garden of Lights che nel 2020 ha illuminato Cracovia, tanto da far pensare a una sorta di riciclo dello spettacolo. Niente di male, tanto più che la cornice romana – quella del laghetto dell’Eur con il giardino delle cascate e 40.000 metri quadri di parco verdeggiante – è di per sé inimitabile.

Un giro conviene farlo, anche perché This is Wonderland doveva finire oggi e invece è stato prorogato per tutto ottobre. Può, dunque, essere visitato e vissuto da chi non ha potuto andarci in estate. Con la consapevolezza che comunque non è tutto oro quello che luccica. Per starci bene, infatti, bisogna fare pace con il concetto di attesa. Attesa per entrarci, divisi in serpentoni umani spartiti in base agli orari di ingresso, con turni ogni 15 minuti. Attesa per controllare il biglietto (cartaceo o online, si attende comunque) e attesa per comprendere un percorso che è tutt’altro che lineare.

All’interno quello che si trova è discretamente suggestivo, ma non mozzafiato come si potrebbe desumere dal sito ufficiale dell’evento. Un limite evidente è che quasi ovunque manchino spazi di condivisione, anche solo per fare una foto o sedersi. Il luogo, inoltre, nonostante il tentativo di regolare gli ingressi, rimane affollato a tutti gli orari, con la conseguenza che avvicinarsi alle installazioni luminose è un’impresa. Altra pecca è che non sembrano esserci, come afferma l’organizzazione, centinaia di artisti di calibro provenienti da tutto il mondo, ma solo una manciata di performers da photo opportunity.

Tutto sommato, pur considerando i limiti, se ci si trova a Roma non si può non andarci, se non altro perché il laghetto dell’EUR e la sua atmosfera regalano in ogni caso un panorama di tutto rispetto, che rende la location scelta vincente rispetto a quelle delle altre capitali europee che hanno ospitato lo spettacolo itinerante.

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Caccia ai talenti. Attesa per il verdetto del “Je so pazzo” Music Festival

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Comunicato stampa

Radio Roma, la prima radio televisione di Roma e del Lazio, sempre presente nei grandi show edeventi musicali dell’estate. Il prossimo sabato 9 settembre alle ore 20 su “Radio Roma Television” (LCN 14 DTT) e in contemporanea sul canale nazionale “Radio Roma Network” (LCN 222 DTT) sarà trasmessa la Finalissima dell’ultima edizione di JE SO PAZZO Music Festival, organizzata dallo staff di Dreaming the Future Srl e svoltasi domenica 23 luglio a Grottaferrata con il patrocinio del Comune: una programmazione intensa di esibizioni e spettacoli che si sono alternati nel corso della settimana dal 17 al 23 luglio, lungo 7 giorni di divertimento, passione e talento che hanno tenuto catalizzato un caloroso pubblico di oltre 4mila persone, in trepidante attesa del verdetto finale.

Giunta alla sua ottava edizione, la Manifestazione si pregia della Direzione Artistica del Maestro Adriano Pennino, noto produttore e direttore d’orchestra che vanta numerose presenze sul palco del Festival di Sanremo. A decretare i vincitori una giuria di altissima qualità formata, oltre al Maestro Pennino, dal carismatico rapper Clementino che ha coinvolto i presenti scendendo tra la folla, dal cantautore Nello Daniele (fratello dell’amatissimo Pino), dal Producer multiplatino Fausto Cogliati e dalla soprano Sabrina Messina.

Tanti gli artisti presenti sul palco, oltre alla pregevole giuria: i cantautori NakayLorenz SimonettiNamidaAsia del PreteFrancesca RussoBenedetta Catenacci, e il Duo Polo/Perrone.  Ad aprire la serata, la coreografia di ballo realizzata dalle danzatrici dell’Ateneo Arte e Danza di Grottaferrata di Francesca Raponi.

JE SO PAZZO Music Festival si conferma dunque come una grande occasione di divertimento per grandi e piccini, ed inoltre per tutti i telespettatori di Radio Roma, Radio ufficiale Media Partner dell’evento, grazie al contributo irrinunciabile di tutta la squadra tecnica e alla preziosa partecipazione della speaker in prima linea Eleonora Pezzella.

Nel corso della Finalissima si sono esibiti i vincitori delle varie categorie e dei premi speciali, che si sono contesi il titolo del vincitore assoluto. E poi, molti altri riconoscimenti, tra cui: il Premio Social, il Premio Internazionale, il Premio Presenza Scenica, il Premio Main Sponsor, il Premio Miglior Testo Inedito, il Premio della Critica, il Premio Interpretazione e il Premio Je So Pazzo. Un’ulteriore giuria di professionisti del settore musicale, composta da Rosa BulfaroBenedetto d’AguannoMariangela RizzaJohanna PezoneMariaTotaro e Cristian Gallana, ha decretato il Premio Onda di JE SO PAZZO Music Festival, mentre sabato 22 luglio è stata la volta delle Finali Nazionali del Premio Musicale Milleculture, dedicato proprio a Pino Daniele e che ha visto la commissione artistica impegnata in una selezione difficilissima, data l’eccezionale qualità delle proposte in sfida.

Ma per rivivere sul piccolo schermo le emozioni della finale e ripercorrere le imperdibili performance dei protagonisti, non mancate all’appuntamento su Radio Roma: un’esperienza e un’opportunità unica per entrare nel vivo dell’atmosfera di una serata magica fatta di voci e di note, di spettacolo, sogni e talenti, grazie ai tanti speciali interpreti – ospiti big e cantanti emergenti – che hanno trasformato il palco in una cornice di puro intrattenimento e passione musicale.

Radio Roma è la prima radio tv di Roma e del Lazio: la serata finale sarà trasmessa sabato 9 settembre alle 20 sul canale 14 di Radio Roma Television e in tutta Italia su Radio Roma Network, canale 222 del Digitale Terrestre. Dopo la messa in onda, la versione integrale dello spettacolo sarà inoltre disponibile su www.radioroma.it.

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Venduta Villa Selva a Firenze. Appartenne a una principessa russa

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Venduta Villa Selva a Firenze. Appartenne a una principessa russa | Rec News dir. Zaira Bartucca

E’ stata venduta una delle magnifiche ville storiche di Via San Leonardo a Firenze, conosciuta come Villa Selva e Guasto o Villa Dolgoroukoff, dal nome della misteriosa principessa russa a cui appartenne agli inizi del Novecento. Situata in una delle più prestigiose zone di Firenze, a due passi da Piazzale Michelangelo e a soli dieci minuti dal centro della città, la villa è stata venduta tramite trattativa riservatissima un cliente che è riuscito ad acquistare tutta la proprietà, complessivamente di 2 mila mq di interni e 20 mila mq di esterni, dopo che nel secolo scorso era stata suddivisa in più appartamenti.

Benché la maestosa facciata presenti le caratteristiche architettoniche tipiche delle ville del XVII secolo, ricche di decorazioni barocche, la sua origine è più antica: ai primi del XV secolo risulta di proprietà della famiglia Galilei, che la venderanno nel 1480 a Bernardo di Simone Canigiani, personaggio noto nella Firenze del tempo per aver rivestito ruoli di governo, nonché amico intimo del filosofo e umanista Marsilio Ficino.

Nel 1562 la figlia di un altro Bernardo Canigiani la portava in dote alla nobile famiglia dei Rucellai. Seguiranno nei secoli numerosi passaggi di proprietà fino ad arrivare agli inizi del Novecento alla principessa russa Dolgoroukoff e poi nel 1919 per via ereditaria ai Costa de Suarez.

Ma chi era la misteriosa principessa russa proprietaria della villa? Di lei si conosce solo il cognome Dolgoroukoff. Potrebbe trattarsi di Ekaterina Michajlovna Dolgorukova (14 novembre 1847 – 15 febbraio 1922), la giovane principessa russa appartenente ad una famiglia nobile decaduta di cui si innamorò lo Zar Alessandro II di Russia. Dolgoroukoff e Dolgorukova sono, infatti, due versioni dello stesso cognome.

Dopo avergli dato tre figli, lo Zar la sposerà nel 1880 facendola moglie morganatica. Ma neanche un anno dopo Alessandro II verrà ucciso in un attentato e Ekaterina sarà costretta ad andarsene dalla Russia e trasferirsi con i figli in Francia. La loro storia d’amore è diventata il soggetto di due film. Quello del 1959, “Katya, regina senza corona”, per la regia di Robert Siodmak, sarà interpretato da una giovane Romy Schneider, reduce dal grande successo nel ruolo di Sissi.

Sicuramente la principessa, a cui appartenne la villa a Firenze agli inizi del Novecento, non è tra quelle, con lo stesso cognome, costrette a lasciare la Russia per lo scoppio della Rivoluzione e vissute tra Italia e Francia a partire dal 1917. Il mistero dunque continua.

La scenografica facciata della villa, rivolta verso via San Leonardo, presenta una scala in pietra a doppia rampa a tenaglia che consente di raggiungere il piano nobile, mentre, a livello di terreno, un portone immette nella corte centrale attorno a cui si sviluppa l’edificio.

Al centro della facciata si trova uno scudo ottocentesco in pietra con l’arma della famiglia Castrucci (tra quelle a cui appartenne la villa) con il motto “Maiora resurgunt”. La villa è circondata da un parco con sul fronte e su un lato giardini all’italiana. Fa parte della proprietà una cappella in stile tardo seicentesco, separata dal corpo della villa, con la facciata e l’ingresso su via San Leonardo.

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