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Pass sanitari, tessere dello studente (di recente il governo ha promosso “Io Studio”), ID Pay: nel 2022 il governo vorrebbe premere l’acceleratore sul sistema di controllo burocratico e non solo. Così, lo SPID – il Sistema Pubblico di Identità Digitale – non è ancora entrato in regime che già si è sdoppiato in due. Non ce n’è, infatti, solo uno, ma anche uno destinato ai contesti lavorativi, chiamato “professionale”. Verrebbe incontro a specifiche necessità operative, differenziandosi dall’omologo professionale.

Le differenze tra i due tipi

Le caratteristiche dei due tipi di SPID sono state delineate nelle linee guida AGID. Lo Spid “classico” è “l’identità digitale che contiene gli attributi delle persona fisica cui sono state rilasciate credenziali di autenticazione”. Ma, attenzione, perché in realtà anche questo può essere a uso professionale. La differenza sostanziale, quindi, sta nell’utilizzatore, che può essere anche una persona giuridica (e qui subentra il secondo tipo).

Non è obbligatorio

Anche se il governo Draghi e il ministro per l’innovazione e la transizione digitale stanno tentando di estendere il più possibile il campo di applicazione dello SPID per dotare tutti di un ID controllabile, non esiste alcun obbligo reale per il suo utilizzo. A ben guardare, esiste sempre un’alternativa. Per esempio, dal primo ottobre del 2021 l’Agenzia delle Entrate lo ha indicato come mezzo per accedere al proprio cassetto aziendale, ma in realtà è possibile inoltrate le richieste tramite gli sportelli o utilizzando la carta di identità elettronica, che contiene meno dati personali.

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TECH

Pasticcio Ue
sull’AI Act

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Pasticcio Ue sull'Ai Act | Rec News dir. Zaira Bartucca

Il 13 marzo 2024 il Parlamento europeo ha approvato l’AI Act. Cosa cambierà? Secondo gli avvocati Lydia Mendola, Luca Tormen e Francesca Ellena, l’iter legislativo in realtà non è ancora completo e per la sua piena applicabilità ci vorranno alcuni anni, con la conseguenza che la norma nasca obsoleta.

“Il testo dell’AI Act – affermano gli avvocati – è tuttora soggetto a un controllo finale e manca l’approvazione del Consiglio europeo. Anche i tempi di entrata in vigore degli obblighi e delle sanzioni previsti dal testo di legge non sono immediati, posto che l’AI Act entrerà in vigore 20 giorni dopo la pubblicazione nella Gazzetta ufficiale e sarà pienamente applicabile solo 24 mesi dopo la sua entrata in vigore, ad eccezione di alcune previsioni che prevedono tempistiche ancora più lunghe: le previsioni sulle applicazioni AI vietate (6 mesi dopo la data di entrata in vigore); le previsioni sui codici di condotta (9 mesi dopo l’entrata in vigore); le regole AI di portata generale, compresa la governance (12 mesi dopo l’entrata in vigore) e gli obblighi per i sistemi AI ad alto rischio (36 mesi dopo l’entrata in vigore). E proprio questa scaletta temporale ha sollevato alcuni commenti negativi, perché la norma rischierebbe di nascere obsoleta.”

Chi sono i destinatari del Regolamento?

“Sono gli sviluppatori/fornitori (providers), i distributori, i produttori, gli importatori di sistemi di intelligenza artificiale, anche con sede fuori dall’Unione europea purché utilizzino dati di soggetti residenti nel territorio europeo o offrano servizi a questi ultimi (si parla di efficacia extra-territoriale del Regolamento). Ci sono poi previsioni anche per gli utilizzatori (deployers) di sistemi di intelligenza artificiale.”

Quali sono gli obblighi di natura tecnica in capo ai soggetti interessati?

Essenzialmente, la maggior parte degli obblighi sono posti a carico dei provider di sistemi di AI. Ad esempio, sono i provider di sistemi di general purpose AI a dover soddisfare gli obblighi di disclosure previsti dal Regolamento (e.g. pubblicazione dei contenuti usati per il training per le verifiche copyright, messa disposizione di documentazione tecnica e istruzioni per l’uso), così come sono i provider di sistemi di AI ad alto rischio a dover condurre valutazioni di rischio, assicurare supervisione umana dei sistemi e gestire le richieste di informazioni dei cittadini. Le sanzioni previste per Il mancato rispetto di questa normativa sono significative. A seconda della gravità della violazione, è infatti previsto che le sanzioni varino in un range tra 10 e 40 milioni di euro o tra il 2% e il 7% del fatturato annuo globale dell’azienda.”

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Amazon umanizza Alexa per l’8 marzo

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Amazon umanizza Alexa per l'8 marzo | Rec News dir. Zaira Bartucca

Ogni giorno Alexa – l’assistente vocale di Amazon – riceve diverse richieste e a quanto pare anche insulti. Un’indagine condotta nell’ambito di una partnership con ActionAid racconta che in molti oltre a interrogarla la fanno diventare bersaglio di frasi poco gradevoli. E, per quanto Alexa sia un oggetto inanimato privo di identità e coscienza, Amazon ha pensato di approfittare della ricorrenza dell’8 marzo per “farla rispondere alle offese”. Un’idea che a detta della Big Tech contribuirà ad arginare la violenza verbale contro le donne.

“Si parla di violenza verbale – dicono i promotori dell’iniziativa – quando gli attacchi rivolti a una persona diventano regolari e sistematici. La violenza verbale può essere agita nella sfera pubblica (in cui è compreso anche lo spazio online) e privata e può includere atteggiamenti umilianti, ridicolizzanti, uso di parolacce, insulti e minacce nei confronti della vittima e dei suoi cari, ma può avere come oggetto anche religione, cultura, lingua, orientamento sessuale della vittima. A seconda delle aree emotivamente più sensibili della vittima, l’autore di violenza sceglie consapevolmente quale argomento utilizzare per agire violenza”.

Da qui, l’idea di permettere ad Alexa di “rispondere” agli insulti. Succederà a partire da oggi, 8 marzo, quando “Alexa risponderà a tono”, fanno sapere da Amazon , “sottolineando come la violenza verbale sia in grado di lasciare un’impronta su chi ne diventa oggetto“. Non solo: pronunciando le parole “Alexa, dì la tua”, partiranno dei messaggi preimpostati per “ascoltare informazioni e approfondimenti legati al fenomeno della violenza”.

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L’orrore dentro Gaza e la tecnologia omicida. Così l’IA fabbrica 100 obiettivi militari al giorno

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L'orrore dentro Gaza e la tecnologia omicida. Così l'IA fabbrica 100 obiettivi militari al giorno | Rec News dir. Zaira Bartucca

L’uso dell’intelligenza artificiale in campo militare sta sollevando importanti questioni etiche, a partire dall’utilizzo da parte di Israele nei raid. Prima dell’utilizzo dell’IA nei conflitti, aveva spiegato lo scorso anno in una intervista ad Ynet il capo del personale delle Idf Aviv Kochavi, gli obiettivi militari generati erano circa 50 all’anno. Adesso si arriva senza difficoltà a 100 obiettivi militari al giorno. Questo aumento esponenziale e questo utilizzo fuori controllo della tecnologia sono la causa, rileva Lorenzo Forlani dalle colonne del Fatto Quotidiano, di una vera e propria “fabbrica di omicidi di massa“.

L’IA è uno strumento potente per la generazione di obiettivi militari sfruttato dalle intelligence di tutto il mondo. Attraverso complessi algoritmi di riconoscimento delle immagini e di analisi dei dati, i sistemi basati sull’Intelligenza Artificiale possono identificare in modo rapido e preciso possibili bersagli. Grazie alla loro rapidità di elaborazione, questi algoritmi possono generare una quantità impressionante di obiettivi militarmente sensibili ogni giorno. E’ chiaro, però, che l’IA non è in grado di tenere conto – né mai lo sarà – dei risvolti etici, di comprendere quali siano i risultati degli attacchi e di considerare i danni gravissimi e spesso letali che si infliggono a intere popolazioni.

L’uso dell’IA nella generazione di obiettivi militari solleva infatti preoccupazioni legate alla responsabilità e all’impatto umanitario. Le decisioni relative all’utilizzo di obiettivi militari generati tramite IA richiedono un’adeguata ponderazione delle conseguenze e delle implicazioni reali. Mentre l’IA può fornire informazioni utili per guidare le operazioni militari o prevenirle, la decisione di agire deve ancora appartenere agli esseri umani, in modo da garantire il rispetto per i diritti umani e dei trattati internazionali e la sicurezza dei civili.

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Il boomerang del politicamente corretto si ripercuote su Google

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Il boomerang del politicamente corretto si ripercuote su Google | Rec News dir. Zaira Bartucca

Nuova tegola sulla Big Tech Google, che dopo le multe per abuso di posizione dominante e per la mancata rimozione dei contenuti illeciti dovrà pagare un altro milione di dollari. Il motivo è paradossale, se si pensa che il colosso tecnologico arcobaleno – che sostiene di difendere i diritti delle persone – dopo una causa intentata nei suoi confronti dovrà sborsare questa cifra di tutto rispetto per aver discriminato una donna. Colpevole, forse, di non rappresentare le categorie che l’azienda gradisce maggiormente.

Si tratta di Ulku Rowe (nell’immagine) l’esecutivo di Google Cloud che ha citato in giudizio l’azienda per aver favorito l’ascesa degli uomini, “dando loro – scrive Player.it – maggiori stipendi e garantendo loro promozioni nonostante non fossero portati per i ruoli garantiti. La giuria che ha presieduto al processo ha dato ragione alla donna e per questo Google deve a lei sia i danni materiali, sia quelli emotivi. A peggiorare la situazione ci ha anche pensato la compagnia, che prima del processo pare l’abbia pure trattata male”.

Definitivo il commento della legale di Ulku Rowe, Cara Green, che ha sottolineato come “tante grandi aziende si siano create un’aurea di inclusione solo di facciata, che nel concreto si è rivelata completamente falsa”.

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