I concerti in live streaming non sono concerti. Non è una provocazione in stile Magritte, ma un dato di fatto. Manca soprattutto il contatto umano (come si fa a “pogare” da soli, al chiuso, attaccati a uno schermo?), mancano…
Articolo scritto il 25/10/20 e aggiornato il 05/01/21
I concerti in live streaming non sono concerti. Non è una provocazione in stile Magritte, ma un dato di fatto. Manca soprattutto il contatto umano (come si fa a “pogare” da soli, al chiuso, attaccati a uno schermo?), mancano le luci, i suoni in presa diretta, le città che si animano e respirano. Tutte cose che nessuno smartphone, abbonamento di digital ticket o un domani visore per la realtà aumentata, può restituire. Lo sanno bene anche i lavoratori dell’indotto artistico, che vanno reclamando certezze su un futuro che qualcuno vorrebbe stravolgere, anche attraverso l’utilizzo di un passaporto orwelliano che abiliterebbe alla vita pubblica e all’aperto.

Già è un fiorire di piattaforme che promettono (illusione) un divertimento pari a quello di un concerto dal vivo, complici le misure restrittive che stanno interessando l’Europa e l’Italia in particolare. C’è chi dice che gli streaming online sono “i concerti del futuro”, chi fa leva sul costo esiguo dei biglietti e sulla possibilità di accedere a backstage e contenuti extra. Fuffa, perché la vita interamente vissuta dietro uno schermo, senza uscite e senza vita sociale, non è vita. Anche se tentano di farla passare come la panacea per tutti i mali, anzi per l’ultimo male rimasto (secondo loro).
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