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“La corsa per le prossime tornate elettorali – è quanto si afferma dai palazzi – vedrà la stretta di più di un accordo trasversale. A farne parte saranno i berlusconiani e i renziani più convinti che vantano una “formazione” comune, e con buone possibilità alcuni esuli confluiti in partiti minori”. E’ quanto scrivevamo a inizio di quest’anno in un articolo intitolato, non a caso “Prove tecniche di alleanza“. A metterci sul chi va là era stata la gita pro-migranti tra Fratoianni di Leu e Stefania Prestigiacomo, ministro in tre governi Berlusconi. Sul chi va là perché il pensiero è corso a una soffiata piuttosto “sicura”, che ci aveva anticipato la volontà delle lobby di intavolare un governo Renzi-Berlusconi. Mancata l’occasione con il primo governo Conte, quel momento è arrivato. A meno che la (vera) opposizione non si metta al lavoro.

C’è chi minimizza e chi finge sussulti di stupore

Non c’è, infatti, ancora nulla di ufficiale, ma la marcia verso Italia viva, il nome del nuovo soggetto politico capeggiato da Renzi con dentro decine di fuoriusciti del Pd e di altri partiti, procede a grandi passi. A destra si tende (ufficialmente) a minimizzare. Ed è un atteggiamento che ha un che di auto-lesionistico. O di asservito alla causa comune. A sinistra c’è chi finge sussulti di stupore. La verità è che la scissione che ha cominciato a prendere forma nel pomeriggio di ieri non solo era nell’aria, ma fa parte di un piano articolato ordito all’interno delle sale dei bottoni e, soprattutto, in un altro tipo di sale. Proprio quello che ci era stato raccontato e che abbiamo menzionato in apertura.

Il tentativo di arginare Salvini o di fagocitarlo in un grande centro diluito

Si tratta di un’alleanza cercata da tempo – prima delle formazione del governo gialloverde – dai fautori di una politica illuminata che vedono nell’unione e conseguente diluizione tra centro-destra e centro-sinistra l’unico modo per dare il colpo di grazia a quel Salvini che, un po’ da solo un po’ aiutato, ha lasciato il ministero chiave per quanto riguarda la gestione dei migranti. E’ questa, assieme alla manovra economica, una delle due questioni che il futuro governo (messo in buon conto che questo, viste le “doti” di Renzi, sarà più che provvisiorio) dovrà gestire in maniera quanto più aderente possibile a Bruxelles. I migranti che ora si inizia ad ammettere siano “economici”, diventeranno ben presto “climatici”: tali li renderà il controllo artificiale del clima (di cui Trump continua a discutere pubblicamente senza che il mainstream nostrano faccia filtrare una parola), e come tali saranno infine accettati da chi è stato bombardato dalla propaganda incoerente sul cambiamento del clima.

Nonostante l’uomo “neutro” al posto giusto, col primo governo Conte le cose non sono andate come sperato

Ma non solo di questo si tratta. Messe da parte le “Agende” europeiste, le eminenze grigie nazionali vedono di buon occhio l’apertura di Renzi – che nasce notoriamente democristiano – a quel che rimane del centro-destra storico. Così come male non sarebbe per loro l’unione tra un fratello “sicuro” (che ha già passato il testimone agli eredi in segno di assoluta abnegazione) e la vecchia guardia riconducibile a Propaganda 2. Col primo governo Conte le cose non sono andate come sperato, e i lobbisti che pure ci hanno messo l’uomo neutro che sta bene su tutto come un capo grigio, hanno dovuto rimandare. A frenare il tutto, l’incognita Lega, partito che, pur essendo inserito in diverse logiche, in alcune occasioni ha dimostrato di agire come una “scheggia impazzita”. Cioè con un grado di autonomia che certamente spiace a chi all’Italia vuole cucire il vestito (funerario) su misura.

Una manovra che pesa almeno quanto quella economica

L’idea di Renzi e Berlusconi insieme è stata preparata nel pensiero comune in vari modi. A legittimarla, più che a svelarla, ci hanno pensato articoli allusivi, libri, persino spettacoli di giornalisti megafono del sistema. Eppure c’è chi continua a essere scettico, sia nelle basi dei partiti che ai piani alti, dove non si vuole ammettere una manovra che pesa almeno quanta quella economica che presto l’Italia sarà chiamata a fare. Le prossime mosse di Renzi, allora, potrebbero essere non solo quella di inglobare la vecchia guardia del centro-sinistra (tra cui quel Bersani che non a caso oggi si è appellato a una “nuova sinistra allargata” affermando che l’operazione ridisegnerà anche i confini della destra) ma anche quella di aprire a Calenda che fin da subito si è detto disposto a collaborare con Forza Italia. Il Pd? Non sarà nemico, ma il tempo e i giochi di palazzo diranno se l’amicizia sarà come quella intercorsa col defenestrato Letta.

Il bacino di Renzi è potenzialmente vasto e variegato

Il processo, probabilmente, sarà lento e farraginoso, vista l’ovvia necessità di ricavarsi prima fette importanti di elettorato e di riconquistare una credibilità ormai andata: anche perché gli italiani hanno la memoria più lunga di quanto si pensa. Messe da parte le nuove alleanze con i fuoriusciti (e Renzi potrebbe attingere non solo dai forzisti, ma anche tra i pentastellati che hanno buttato lo zainetto e la t-shirt nel secchio da anni e, per citare la Meloni, sono diventati il tonno chiuso nella scatoletta che un tempo dicevano di voler aprire. Proprio la presidente di Fratelli d’Italia ha fatto sapere nella giornata di ieri che “il centro-destra non deve stare insieme per forza”, forse fiutando una spiacevole aria di renzismo che giunge dalle fila del suo padre politico, Berlusconi. Anche lui, si vocifera in ambiente politico, starebbe lavorando a un nuovo soggetto politico.

La “manovrina” mieterà più di una vittima politica. Dividere i presidi di euro-scetticismo, allora, potrebbe essere letale

Ma, mentre dall’altro lato uniscono e inglobano, dividere gli ultimi presidi di euro-scetticismo potrebbe essere letale, anche perché la “manovrina” mieterà più di una vittima politica. I primi a cadere saranno Di Maio e quelli che si sono dimostrati reticenti al culto di Grillo nel corso della formazione del Conte bis. Poi seguirà Salvini. Il leader della Lega è sicuro di poter correre da solo e forse confida nell’occhio corto di sondaggi e sondaggisti che lo danno al 30 per cento, ma sembra non considerare che molti italiani non abbiano digerito il fatto di lasciare andare la vecchia esperienza di governo.

A un Salvini che si vuole isolato non restano che le alleanze strategiche

Una Lega isolata è, certamente, un qualcosa di cui sia Renzi che Berlusconi – dopo l’esclusione dal primo governo Conte – intendono approfittare. E in questo i due sono accomunati più di quanto non lo siano con i rispettivi colleghi di partito. Sta al Carroccio mettere insieme i pezzi senza chiudere e valutare, per esempio, accordi di ferro con la Meloni e l’entrata in famiglia di partiti rigidamente a destra e attualmente minoritari, ma che potrebbero acquistare peso crescente proprio grazie alla nausea verso le manovre di palazzo e i governi imposti che si fa sempre più forte nell’elettorato.

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OPINIONI

Non convince il presidenzialismo, né il premierato

“In una democrazia l’importante non è la governabilità, ma la rappresentanza” – di Vincenzo Musacchio

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Né presidenzialismo, né premierato. In una democrazia l'importante non è la governabilità ma la rappresentanza | Rec News dir. Zaira Bartucca

L’Italia è una Repubblica parlamentare con una forma di governo dove gli elettori votano i rappresentanti del Parlamento, i quali poi nomineranno il Presidente della Repubblica. Quest’ultimo nomina il Presidente del Consiglio dei Ministri, che presiede il Governo. Nella Repubblica presidenziale gli elettori (cioè il Popolo) eleggono direttamente il Presidente della Repubblica, il quale diventa sia Capo dello Stato, che del Governo. Un tipico esempio di questa forma di governo è in vigore negli Stati Uniti. Il Premierato è una “pseudo-forma di governo” non ben definita basata sulla legittimazione popolare del Capo di Governo (Premier).

Quale che sia il metodo di designazione di quest’ultimo e la qualificazione costituzionale del ruolo, ciò che determina la natura della sua leadership (e degli assetti di regime politico che ne conseguono) è il tipo di rapporti di potere che lo legano al Governo, da una parte, e al Parlamento, dall’altra: per cui si parla di premierato “forte” o “debole”, a seconda del modo e del grado di autonomia e di supremazia nel rapporto Governo-Parlamento. In Italia una forma di premierato forte l’abbiamo vissuta già più volte.

Quale delle tre forme di governo, presidenziale, parlamentare o premierato, sia più idonea ad avvicinare l’Italia ai Paesi in cui la democrazia funziona da secoli? La mia scelta cade sulla forma parlamentare. È l’opzione più democratica e più italiana anche se non ha espresso mai a pieno le sue potenzialità per le degenerazioni dei partiti che da centro di interessi pluralistici sono divenuti poi partitocratici originando una precaria governabilità e crisi politiche frequenti.

Una democrazia rappresentativa, per funzionare, potrebbe anche essere bipartitica. Del tema, del resto, ne discussero anche i nostri Padri Costituenti con l’obiettivo di semplificare il quadro politico frammentario. Mi appello a tal proposito a Piero Calamandrei che in sede Costituente così disse: «Come si fa a far funzionare una democrazia che non possa contare sul sistema dei due partiti, ma che deve funzionare sfruttando o attenuando gli inconvenienti di quella pluralità di partiti la quale non può governare altro che attraverso un governo di coalizione?».

Ora il centrodestra, forte di un ampio consenso popolare, ci riprova con l’opzione presidenzialista, ma senza porre pregiudizi o preclusioni su altri modelli di riforma che mettano comunque i cittadini al centro delle scelte. Io sono per il legame diretto tra elettore ed eletto con le preferenze e con un bipartitismo alla inglese per superare definitivamente la stagione degli esecutivi che sovrastano il potere legislativo. Se riforma ci sarà spero sia con una maggioranza dei due terzi del Parlamento, evitando il rischio della demolizione con i referendum confermativi. La vera forza di una democrazia a mio parere non si gioca sulla governabilità ma sulla rappresentanza.

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La storia recente ci insegna che i poteri del premier vanno limitati, non ampliati

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La storia recente ci insegna che i poteri del premier vanno limitati, non ampliati | Rec News dir. Zaira Bartucca

I condizionatori di Draghi (da posporre alla Pace), gli inseguimenti di chi fa jogging promossi da Conte e i nostalgici vicini alla Meloni avrebbero dovuto quantomeno insegnarci una cosa: non bisogna ampliare i poteri del premier ma, semmai, limitarli. Invece l’azione dei governi che si succedono è tutta tesa a limitare le prerogative del Parlamento, di fatto annullando la rappresentanza politica. Dimenticando, spesso, che la divisione dei poteri è condizione necessaria in democrazia, come racconta lo scacchiere internazionale messo a ferro e fuoco in Paesi che hanno un uomo solo al comando.

Aspetti che non sembrano sfiorare il governo, che ha annunciato che sul premierato andrà avanti comunque, opposizione o non opposizione. Ma allora a che servono i tavoli che si apriranno domani? E perché consegnare la parola ai cittadini solo alla fine di tutto l’iter, per giunta per mezzo dell’ennesimo Referendum farsa?

Si tenta di concentrare nelle mani di un unico soggetto un potere sempre crescente, e per fare cosa? Non per emanciparsi dall’Unione europea, tantomeno per ridare al Paese la sua sovranità – concetto che Fratelli d’Italia ha dimenticato una volta giunto al governo – o la crescita economica che merita. La preoccupazione è che il semipresidenzialismo, il premierato o il sindaco d’Italia – comunque si chiami il tentativo di mettere da parte la Repubblica parlamentare – possano essere solo l’occasione per calcare la mano su tutta una serie di cose che non si riescono ad attuare per una serie di (ovvie) resistenze da parte della società civile.

Fa pensare – e discutere – che a volere più poteri sia un governo che ha un ministro dell’Interno che crede ciecamente nei presunti pregi del riconoscimento facciale, e che ha un sottosegretario all’Innovazione che lavora alacremente per portare a termine quanto avviato dai governi Conte e Draghi. Che, per di più, ha finanziato la corsa agli armamenti di uno Stato estero, violando quel “L’Italia ripudia la guerra” di costituzionale memoria. Cosa succederebbe in un ipotetico futuro in cui la Camera e i parlamentari saranno acqua passata, in cui gli enti come Regioni e Comuni saranno simulacri svuotati di significato e basterà una firma del super-premier (magari con la contro-firma del super-presidente della pseudo-Repubblica) per prendere le decisioni che contano davvero? Come sarebbero gestiti eventuali periodi di emergenza, che già di per sé consegnano nelle mani del premier prerogative ampliate? Domande che ancora non sono entrate nel dibattito ma da cui si dovrebbe partire – a modesto parere di chi scrive – prima di giungere a decisioni drastiche e affrettate.

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Un altro atto di vandalismo compiuto dai cosiddetti attivisti per l’ambiente

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Un altro atto di vandalismo compiuto dai cosiddetti attivisti per l'ambiente | Rec News dir. Zaira Bartucca

Palazzo Vecchio, simbolo dell’architettura civile trecentesca fiorentina, imbrattato di arancione e la Fontana della Barcaccia di Roma inquinata con del liquido nero. Si difenderebbe così l’ambiente secondo gli “attivisti” di un collettivo che da settimane compie atti di vandalismo in giro per l’Italia. Attacchi ai beni culturali nazionali che con la protezione delle risorse non c’entrano nulla, come dimostra lo spreco di acqua e solventi che segue questo tipo di azioni dimostrative e che serve a ripristinare – per quanto possibile – i monumenti oggetto di deturpazione.

“Difendere l’ambiente”, dunque, inquinando le fontane, proteggere il paesaggio rovinando i palazzi storici, magari per fare in modo che le nuove generazioni (quelle che si scomodano tanto spesso) non ne possano fruire affatto. Una schizofrenia generalizzata che fa il paio con un ambientalismo fanatico e pericoloso che sta provocando danni tangibili e presto quantificabili, pensando sul bilancio di Comuni già in rosso. Dopo i danni provocati alla Fontana della Barcaccia, i cosiddetti attivisti rischiano ora una denuncia per danneggiamento.

Sulla vicenda si è espresso il ministro della Cultura Gennaro Sangiuliano: “L’ennesimo, gravissimo, episodio di questa mattina che ha colpito uno dei monumenti simbolo di Roma, la Fontana della Barcaccia di Piazza di Spagna, è la goccia che fa traboccare il vaso. È ora di dire basta: siamo davanti ad una sistematica azione di vandalismo del nostro patrimonio artistico e culturale che non c’entra assolutamente nulla con la tutela dell’ambiente. Chi danneggia i nostri beni culturali non può passarla liscia e va punito severamente. Anche per questo stiamo studiando una norma che faccia pagare ai responsabili di questi danni gli interventi necessari per il ripristino dei luoghi, spesso costosi perché richiedono specialisti e attrezzature adeguate”. Dello stesso tenore quanto affermato dal sindaco di Roma Roberto Gualtieri: “Queste persone dovranno rispondere di quanto hanno fatto. Un atto illegale, dannoso e sbagliatissimo. E’ giusto che rispondano sulla base della legge e bisogna essere severi”.

Le reazioni della politica, comunque, rimangono piuttosto timide, e nessuno che si domandi com’è possibile che si riesca a compiere gesti simili eludendo la sorveglianza di chi è preposto al controllo dell’integrità dei monumenti storici.

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Quello di Mollicone in realtà è un assist ai sostenitori dell’utero in affitto. Se non peggio

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Quello di Mollicone è un assist ai sostenitori dell'utero in affitto. Se non peggio | Rec News dir. Zaira Bartucca

“L’utero in affitto è un reato più grave della pedofilia”. Lo ha detto questa mattina il presidente della commissione Cultura della Camera ed esponente di FdI Federico Mollicone, ospite di Omnibus di La7. La frase ha scatenato aspre polemiche sia tra i sostenitori della mercificazione del corpo della donna e sia, di contro, in chi ci vede un qualcosa di assolutamente ambiguo e fuori luogo. Per quanto infatti Mollicone si sia affrettato a chiarire che lo sfruttamento di minori indifesi sia “un reato gravissimo”, rimane il mistero dell’utilità del paragone utilizzato.

Si può scomodare un reato che continua a mietere un sacco di vittime – con la compiacenza di tutti i governi che si succedono, compreso quello di Giorgia Meloni – e, in qualche modo, sdoganarlo e quasi scusarlo nell’ottica che ci sia qualcosa di “più grave”? Non sarebbe invece il caso che Fratelli d’Italia, oltre alla lecita battaglia sull’utero in affitto, cominciasse a dissociarsi da uscite assolutamente fuori luogo come quella di Mollicone e Nordio e iniziasse a rispondere a quella parte (tanta) dell’elettorato che anziché dichiarazioni ambigue chiede la punizione immediata di tutti i colpevoli di reati ai danni di bambini e minorenni? Perché fare una cosa non esclude l’altra, e bisognerebbe informare il presidente della Commissione Cultura che non ci sono reati migliori di altri.

Che poi dire una frase come quella pronunciata da Mollicone è come fare un clamoroso autogol, o meglio come dare un assist – cosa che in effetti ha fatto – ai sostenitori della pratica dell’utero in affitto. Messa così, l’ascoltatore medio chiamato a decidere quale reato sia più grave, è quasi tentato a provare più simpatia per la maternità surrogata se dall’altro lato della bilancia ci sono le violenze a danno di malcapitati minori. Insomma secondo gli ideatori di dichiarazioni di questo tipo – ovviamente riprese da tutta la stampa mainstream – il risultato in un modo o nell’altro è sempre garantito, se con risultato si intende il tentativo di normalizzare delle pratiche abominevoli e disumane, oltre che illegali.

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