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Il piano sull’immigrazione lo presenterà oggi il ministro degli Esteri Enzo Moavero Milanesi a Bruxelles nel corso del Consiglio degli Affari esteri. Matteo Salvini sembra cedere il passo, forse a causa del polverone mediatico – sospetto nei tempi e nei modi – che lo sta interessando. Moavero sembra avere le idee chiare: corridoi umanitari (gli stessi a cui tiene il ministro dell’Interno, pur non essendoci in nessuno dei territori interessati reali emergenze dettate da conflitti) zone franche, modifiche nei visti e, soprattutto, investimenti. Quello che serve, dice, per dare (ulteriore) linfa all’Africa ed evitare l’immigrazione incontrollata. La verità lontana dai riflettori, però – lo abbiamo scritto tante volte – è un’altra.

L’UA si annaffia già troppo spesso

Non c’è solo l’Unione europea, insieme politico-commerciale che tutti conoscono. C’è, e cresce a velocità molto più sostenuta, anche l’Unione africana, che di recente è uscita rafforzata dall’accordo Afcfta. Povertà? Degrado? Guerre? Queste ultime riguardano 5 Stati su 54 (Fonte: Guerre nel mondo) e sempre meno persone. Le poche emergenze residue, tuttavia, ci si preoccupa di mantenerle ben vive: è così, infatti, che si alimenta il business dei vaccini, quello su malaria e HIV e, anche, quello legato alle associazioni caritatevoli o presunte tali. La classe media africana, intanto, è il cavallo impazzito che nel giro di un decennio cavalcherà sugli altri. Mentre molti paesi dell’Eurozona faticano a uscire dalla depressione e scontano una decrescita che è anche demografica, gli africani si moltiplicano e secondo le stime dell’Associazione dei Senati nel giro di qualche decennio diventeranno quattro miliardi. Sono i consumatori di domani, il pacchetto clienti preferito dalle aziende (e la pubblicità lo dimostra), mentre per gli altri la ruota si accinge a girare.

ABI e Project Qatar. Centinaia di miliardi per l’Africa “povera”

Chi lo conosce commercialmente lo sa: il Continente africano è terra ghiotta per gli imprenditori e per chi ama gli investimenti sicuri. Non ci sono più dubbi che sarà questa la terra dello sviluppo di domani, tanto che diverse aziende, anche italiane, sono ormai di stanza lì. Non è un caso se l’ABI, l’Associazione bancaria italiana che si è riunita proprio in questi giorni, abbia deciso di ignorare il panorama nazionale per incentivare l’ulteriore sviluppo di città come Abu Dhabi e Dubai. Per chi vuole investire negli Emirati, l’organismo ha pensato bene di stanziare un plafond miliardario che proviene dalle banche nostrane, e che servirà a finanziare le esportazioni e le attività imprenditoriali dei sette Emirati Indipendenti. Un’altra fetta di investimenti di un’Italia depressa solo per sé, ha preso e prenderà il largo contestualmente a Project Qatar, piano che si inserisce nel programma di sviluppo 2018-2030 del ricchissimo fazzoletto di terra del Nord Africa, anche in vista dei mondiali del 2022.

L’Unione europea partecipa ai finanziamenti con decine di miliardi l’anno

L’European development fund è il fondo che fa capo alla commissione europea e che è stato creato nel 1957 contestualmente al Trattato di Roma istitutivo della Comunità europea. Avrebbe dovuto dare man forte alle economie degli Stati membri – quelli che contribuiscono al suo mantenimento – in caso di necessità, ma nei fatti si è andato specializzando negli “aiuti” (più giusto dire sovvenzioni) ad Africa, Stati del Pacifico e ai non proprio depressi Caraibi. Per il periodo che va dal 2014 al 2020, ha già stanziato la cifra ghiotta di 30,5 miliardi. Tirando le somme, la possibilità di annullare le sacche di degrado e povertà e di evitare le migrazioni, esiste già fin da ora. Gli africani non hanno neppure bisogno di essere “aiutati a casa loro” perché, come dimostrato, contano su un mutuo soccorso che ha raggiunto cifre a nove zeri.

Ma c’entrano anche governi e partiti

Eppure i governi continuano a foraggiare il continente africano, spesso a dispetto delle necessità degli Stati nazionali. E’ successo alla Francia di Macron, ma succede anche all’Italia. Per comprendere le contraddizioni che aleggiano attorno al Belpaese serve scomodare il governo Gentiloni che chiudeva i porti africani aprendo quelli italiani, ma anche l’eesecutivo Conte. Nemmeno il premier avvocato e il suo vicepremier titolare del Viminale sono rimasti immuni da vistosi cambi di rotta rispetto a quanto annunciato in pompa magna in più occasioni, senza contare che l’arrivo dei migranti viene ancora dipinto come un male necessario, mentre – è chiaro – a motivare il viaggio è l’opportunismo economico più che la necessità.

L’assurda migrazione verso l’Europa: l’Africa ha Stati più ricchi dell’Italia

Un quadro paradossale che si alimenta dell’ignoranza comune, e che stride con l’emergenza raccontata (meglio dire inscenata) ogni giorno dai media mainstream. Ci si inserisce bene anche la politica, Lega compresa. E mentre l’Africa può contare sull’indotto di Stati come il Ghana – che cresce più della Cina, politicamente stabile e con un Pil migliore di quello italiano – il Belpaese soccombe. Stati europei vicini per far approdare gli africani che hanno bisogno di aiuto, come raccontato da Moavero? Il contenente africano ha, come detto, ben 54 Stati, molti dei quali ricchissimi. Raggiungere l’Europa, tirando le somme, non solo non serve a loro, ma danneggia gli Stati che tuttora fanno i conti con una disoccupazione selvaggia. I piani di Moavero e Salvini sono, tuttavia, concentrati sul far piovere sul bagnato. L’Italia, intanto, resta a secco.

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POLITICA

Piantedosi a Brdo
per la trilaterale
con Slovenia e Croazia

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Un protocollo d'intesa per la valorizzazione dei beni confiscati | Rec News dir. Zaira Bartucca

Giovedì 21 Marzo il ministro dell’Interno Matteo Piantedosi si recherà a Brdo, in Slovenia, su invito del Ministro dell’Interno Sloveno Bostjan Poklukar, per partecipare alla riunione trilaterale insieme all’omologo croato Davor Bozinovic. Alla fine dei lavori i tre Ministri dell’Interno terranno una conferenza stampa congiunta al Brdo Congress Centre di Kranj. Il Ministro Piantedosi il giorno successivo parteciperà anche ai lavori del “Forum of the Brdo Process” con i Paesi dei Balcani occidentali.

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POLITICA

Meno male che c’è Giorgia. L’Italia è il Paese che concede più cittadinanze agli stranieri

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Meno male che c'è Giorgia. L'Italia è il Paese che concede più cittadinanze agli stranieri | Rec News dir. Zaira Bartucca

Il ministro all’Agricoltura Francesco Lollobrigida a marzo dello scorso anno era stato chiaro: “In Italia – aveva detto – entreranno 500mila migranti”. Una promessa – una delle poche – che Fratelli di Flussi ha mantenuto egregiamente, come dimostra il rapporto recentemente pubblicato da Eurostat. E’ infatti proprio con l’insediarsi del governo meloniano che gli sbarchi hanno subìto un’impennata, quasi che la premier avesse deciso di rubare qualche triste primato ai governi a trazione sinistra.

In effetti è quello che ha fatto, se si pensa che nel 2022 – dicono gli ultimi dati Eurostat pubblicati – gli stranieri che hanno acquisito la cittadinanza italiana sono stati in totale 213.716. Il l 76% in più rispetto al 2021, quando la cittadinanza era stata concessa a 121.457 soggetti. Un segmento non poi tanto variegato se si pensa che è costituito in prevalenza da albanesi (38mila persone), marocchini (31mila) e rumeni (16mila).

La nuova linea della Meloni premiata dagli organismi che contano

Non stupisce, allora, che la nuova linea della Meloni venga costantemente vezzeggiata dai Think tank che contano. E che arrivi, addirittura, a ricevere premi come il Global Citizen Award, il premio atlantista di stanza a Washington che “celebra individui unici che incarnano la cittadinanza globale”. Altro che porti chiusi e invasioni, i (vecchi) termini da campagna elettorale con cui la global lady ha fatto incetta di voti a destra per poi cambiare, una volta diventata premier, completamente registro. Fa riflette che, prima della Meloni, il Global Citizen Award sia stato dato a personaggi come Mario Draghi e Volodymyr Zelensky.

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Scandali, presunti decessi, arrivi e partenze. Il lavorìo per far cadere la Monarchia in Gran Bretagna

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Scandali, presunti decessi, arrivi e partenze. Il lavorìo per far cadere la Monarchia in Gran Bretagna | Rec News dir. Zaira Bartucca

E’ un brutto momento per la corona britannica. E, si direbbe, nulla è casuale. L’elezione di Carlo III ha dato il “la” – oltre che a un regno a guida maschile – alle mire di chi non vede di buon occhio la monarchia. E’ infatti con Carlo – sovrano flemmatico e poco carismatico – che si stanno di giorno in giorno moltiplicando le manifestazioni di chi chiede – a torto o a ragione – una nuova forma di governo per la Gran Bretagna.

Un modo per farle pagare l’uscita dall’Europa? O la conseguenza prevedibile della scomparsa di Elisabetta II? Non si sa ma quel che è certo è che anche a quelle latitudini i burattinai si stanno dando un gran da fare. Pianificando e diramando un comunicato clamoroso dietro l’altro, poi ripresi a ruota dai social: la malattia di Carlo, il ritorno a Corte dell’amico di Epstein Andrea e, adesso, perfino il decesso di Kate Middleton.

Quanto ci sia di vero è difficile saperlo. Quel che è certo è che l’obiettivo delle fughe di notizie – vere o presunte tali – è quello di restituire l’immagine di un regno debole, che si smantella ogni giorno di più a colpi di esternazioni tutt’altro che casuali.

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POLITICA

Europee, è bagarre sulla raccolta firme

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Europee, è bagarre sulla raccolta firme | Rec News dir. Zaira Bartucca

“Abbiamo inviato una lettera al Presidente della Repubblica Sergio Mattarella, per chiedere il suo intervento istituzionale per fermare le norme liberticide contenute nella conversione in legge del decreto elettorale. Ci riferiamo all’emendamento, fatto approvare da Fratelli d’Italia, che restringe drasticamente le esenzioni dall’obbligo di raccogliere le firme per presentare nuove liste elettorali”. E’ quanto ha dichiarato Gianni Alemanno, Segretario nazionale del Movimento Indipendenza.

“Questo emendamento è chiaramente anticostituzionale perché modifica le regole del gioco a partita aperta, quando mancano solo 45 giorni (dei sei mesi previsti) al termine della raccolta delle firme per il deposito delle liste elettorale. In questo modo non solo si privano le nuove liste delle esenzioni previste da una consolidata legislazione, ma gli si impedisce di organizzarsi per raccogliere l’abnorme numero di firme necessarie per presentarsi alle elezioni europee se non si è già presenti nei parlamenti nazionale o europeo”.

“Questo numero di firme, invero – ha proseguito Alemanno – è stato dimezzato da 150.000 a 75.000 da un altro emendamento approvato successivamente, ma sempre troppo tardi per permettere alle nuove formazioni politiche di organizzarsi per la sottoscrizione”. Non a caso una recente Raccomandazione europea (n. 2829/2023 del 20/12/2023) sancisce che gli “elementi fondamentali della legge elettorale non dovrebbero poter essere modificati
a meno di un anno dalle elezioni” sia per garantire il rispetto delle regole democratiche che
per contrastare il fenomeno dell’astensionismo
“.

“L’emendamento inserito nel decreto elettorale è un vero e proprio attacco alla democrazia
che cerca di impedire l’accesso al gioco elettorale di nuove formazioni politiche, proprio in
un momento in cui il tasso di astensionismo in Italia ha raggiunto punte elevatissime e
preoccupanti. Per questo ci sono tutti gli estremi per un intervento correttivo del Capo dello
Stato, che è l’unica istituzione titolata ad un intervento preventivo per evitare di promulgare
norme di legge chiaramente contrarie al Dettato costituzionale”
, le parole di Alemanno.

La lettera al Presidente della Repubblica è stata inviata ieri con le firme di
Gianni Alemanno, del coordinatore calabrese di Indipendenza Franco Bevilacqua, del presidente del movimento Massimo Arlechino, di Michele Geraci e degli ex parlamentari Marcello Taglialatela, Fabio Granata, Michele Rallo e di Maria Grazia Martinelli.

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