
Shock economy, ora l’Ue chiede “più disoccupazione”
La “Funzione di stabilizzazione” permette agli Stati aderenti di ottenere contributi. In cambio, però, il gap lavorativo “deve crescere”. I governi? Accettano (anche il nostro) a testa bassa. E i cittadini sono strumentalmente impoveriti
“Con gli investimenti relativi alla Funzione di stabilizzazione dell’area euro, i Paesi che attraversano una fase di shock possono ricevere finanziamenti e contributi in conto interessi per il finanziamento di investimenti pubblici. E’, almeno, la proposta della Commissione per stabilizzare ulteriormente la zona euro”. Un “almeno”, quello prospettato dal Cep (Centrum für europäische politik), che però costa caro. Lo ammette lo stesso osservatorio, che dà – letteralmente – un semaforo rosso/giallo ai propositi europei di “stabilizzare” una moneta unica che attraversa una fase di declino, ma a caro prezzo.
Quello immediato per gli Stati che intendano aderire al quadro di “aiuti”, è un aumento del tasso di disoccupazione di almeno un punto percentuale. Che, calcoli alla mano, per gli italiani che lavorano o vorrebbero farlo (che si attestano sui 22 milioni circa), si tradurrebbe per esempio su una mancanza di lavoro per 220mila persone. Più di 200mila nuove vittime della crisi costrette a misurarsi con difficoltà, malattia, crescita dei figli, povertà anche estrema. Tutto, sembra fare sapere l’Europa, pur di mettere Stati e governi nella condizione di stabilizzare la moneta unica, sul cui altare va sacrificato anche (o soprattutto?) il benessere dei cittadini.
L’analisi del Cep a tal proposito è chiara: “Per ricevere la proposta di sostegno – scrive l’organismo – gli Stati membri devono, tra le altre cose, incontrare un “anno primo di criterio di ammissibilità”, che richiede un aumento del tasso di disoccupazione di almeno un punto percentuale. La cep su questo ha chiaramente definito che il criterio assicura i prestiti sono concessi solo in casi eccezionali. Non si può escludere, tuttavia, che la Funzione di Stabilizzazione possa dare origine a più lassi di politica fiscale, perché per i Paesi della zona euro non sarà più necessario un cuscino ammortizzatore, ma potranno contare sul fatto di essere salvati in caso di shock. Un altro problema è il fatto che la linea di credito cap, pari a un totale di 30 miliardi di euro, non sarà sufficiente a mantenere l’investimento pubblico in caso di shock, specialmente se più paesi dell’eurozona richiederanno tali prestiti”.
Riepilogando: l’Ue chiama a sacrifici limite i Paesi della zona euro offrendo in cambio un supporto finanziario che, addirittura, in caso di bisogno potrebbe non arrivare mai. Naomi Klein, del resto, ha messo i puntini sulle “i” molto meglio di prezzolati studiosi: in economia lo “shock” frutta molto più dei programmi di crescita. Almeno per governi e multinazionali, più interessati a rosicare cifre stratosferiche nel brevissimo tempo che a costruire su sviluppo e benessere. Peccato che la pratica, in concreto, generi miseria, disperazione, povertà. Perfino morte.
I dati emersi dall’analisi del commissario per i diritti Umani dell’Ue
Dunja Mijatović nel 2018 parlano chiaro: la Grecia costretta a svendere sè stessa, solo per citare un caso vicino che tra l’altro “vanta” il tasso di disoccupazione più alto d’Europa, i suicidi sono aumentati del 40 per cento. Si muore più di quanto di nasce (per il 2014 il tasso di mortalità infantile stando a quanto diramato dalla Banca centrale Greca era del 4 per cento, cioè quattro bimbi ogni cento), e del resto le politiche sono incentrate sulla sparizione più che sulla conservazione. Ai malati terminali non si danno più medicine, e l’assistenza a neonati e partorienti secondo gli ultimi dati disponibili è stata tagliata del 73 per cento. Ma è l’Europa, bellezza.
Ci è passata la Grecia e la Francia dello scatto d’orgoglio non è l’unica a rischiare situazioni simili. Anche l’Italia che si illude di cambiare l’Europa da dentro, rischia grosso. Ma la mela, se è marcia, non si può mangiare, solo buttare. Poi, non resta che coltivarne di buone.
ECONOMIA
PNNR e PMI, stanziati 4 miliardi con il Fondo 394
Cosa prevede, le condizioni di finanziamento e chi può accedere

Quattro miliardi alle imprese italiane, con un’attenzione per quelle piccole e medie che desiderano espandersi all’estero. E’ la dotazione del Fondo Simest 394 che è stato presentato questa mattina alla Farnesina alla presenza del vicepremier e ministro degli Affari Esteri Antonio Tajani. Nel corso dei lavori la firma del protocollo d’avvio da parte del presidente dell’Agenzia ICE Matteo Zoppas.

Cosa prevede il Fondo 394
Il fondo sostiene solo le filiere che si occupano di export e che sposano i programmi inerenti la transizione ecologica e digitale. Previste “condizioni dedicate” per le imprese che hanno interessi in aree quali i Balcani occidentali e nei territori alluvionati dell’Emilia Romagna. Nel dettaglio, il fondo 394 prevede finanziamenti a tassi agevolati fino allo 0,464% (tasso luglio 2023), a cui si aggiunge una quota di cofinanziamento a fondo perduto fino al 10%. Sei le linee di intervento: transizione digitale o ecologica, inserimento mercati, certificazioni e consulenze, fiere ed eventi, e-commerce e temporary manager.
ECONOMIA
“L’Euro digitale dovrebbe affiancare il contante, non abolirlo”

“Mentre i pagamenti stanno diventando sempre più digitali, per molte persone il contante rimane il re. L’euro digitale dovrebbe integrare il contante, ma non sostituirlo. Sono lieto di constatare che la Commissione sta pensando a come trattenere il contante come mezzo di pagamento.” Così l’eurodeputato Markus Ferber, portavoce del gruppo PPE nella Commissione affari economici e monetari del Parlamento europeo. Il commento è arrivato contestualmente alla presentazione in Commissione del pacchetto sulla moneta unica, che include un “quadro giuridico” sulla moneta digitale.
“Gli attuali elementi di progettazione suggeriscono che l’euro digitale sarà essenzialmente utilizzato solo per i pagamenti al dettaglio. I maggiori vantaggi, tuttavia, di una valuta digitale sarebbero nel mondo degli affari. Dobbiamo almeno mantenere aperta la possibilità di futuri aggiornamenti. Se introduciamo una versione digitale della moneta unica, deve essere pronta a cogliere le opportunità del mondo digitale”, ha concluso Ferber.
ECONOMIA
Istat: le famiglie italiane hanno sempre meno potere d’acquisto

Crolla, nel quarto trimestre del 2022, il potere d’acquisto delle famiglie italiane. Lo sottolinea l’Istat, secondo cui la crescita del reddito disponibile, accompagnata da un aumento dei prezzi al consumo particolarmente forte, ha comportato una significativa diminuzione del potere d’acquisto delle famiglie, pari a -3,7%. fsc/gtr
DOC
Istat, a picco i consumi delle famiglie italiane

Forte calo della spesa delle famiglie. Lo registra Istat nella nota sull’andamento dell’economia italiana di febbraio appena pubblicata. “Lo scenario internazionale – rileva l’Istituto Nazionale di Statistica – resta caratterizzato da un elevato grado di incertezza e da rischi al ribasso. Si inizia a profilare un percorso di rientro dell’inflazione più lungo di quanto inizialmente previsto. Il Pil italiano, nel quarto trimestre 2022, ha segnato una lieve variazione congiunturale negativa a sintesi del contributo positivo della domanda estera netta e di quello negativo della domanda interna al netto delle scorte”. In basso il report integrale