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Dell’universo lgbt ci siamo già occupati per quanto riguarda l’utilizzo dei minori per propagandare l’idea della fluidità di genere (secondo cui ognuno deciderebbe a quale sesso appartenere) e l’uso della triptorelina, sostanza ritenuta pericolosa dagli stessi medici utilizzata per la transazione verso l’altro sesso. Abbiamo dato conto anche dell’articolo di Open sulla chiusura parziale di Gayburg per quelle che Google ha classificato come “diffamazioni” verso la nostra responsabile. Oggi vogliamo ripercorrere la nascita dell’ideologia gay e del pensiero che da minoritario è diventato dominante. Proprio così: ideologia e pensiero dominante. E inclinazioni debitamente costruite in decenni di affannoso lavoro che in tempi più recenti toccano istituzioni e organismi italiani in grado di agire in maniera radicata e capillare contando sul supporto di determinate parti politiche.

Lo scandalo Unar. Nel 2017 il giornalista delle Iene Filippo Roma sdogana quello che fino a quel momento era considerato uno strumento di assistenza e consulenza per gay e un organismo di vigilanza. L’Ufficio Nazionale anti-discriminazioni razziali perde, in un attimo, tutta la credibilità che si era affannato a costruire nel corso delle costose campagne informative scolastiche, universitarie, istituzionali all’insegna del “gay è per forza bello e buono”. Non si tratta di un’esagerazione, ma il fulcro delle ideologie di cui si accennava e che vedremo meglio tra poco. Francesco Spano, l’allora 39enne avvocato toscano, è costretto a dimettersi con gran clamore quando si scopre che il governo Gentiloni (di cui faceva parte anche la renziana di ferro con delega alle pari opportunità Maria Elena Boschi) anziché svolgere le attività decantate, sovvenzionava con i soldi pubblici diverse attività socialmente degradanti e pagate con i soldi dei contribuenti. (sotto, il servizio di Filippo Roma – “Orge e prostituzione, e Palazzo Chigi paga”).

Integrazione, pari opportunità? All’Anddos sono ammessi quasi solo i gay. Ma l’Unar, non è l’unico organismo che è stato attraversato da aspetti controversi. L’Andoss è l’Associazione ricreativa circoli omosessuali. Stupirà, ma vi lavorano quasi solo persone lgbt, almeno stando ai dati pubblicati dall’Agi: a febbraio del 2017 l’Agenzia giornalistica italiana parla di “416 dipendenti gay, lesbiche, etero, trans e intersex”. Laddove si propugnano le idee della tolleranza, dell’integrazione, dell’uguaglianza tra gay e etero, i secondi sono insomma banditi. Lo stesso non si può dire dall’altra parte della barricata. La presenza di gay nel mondo del lavoro è ovviamente tollerata, ma quello che appare strano è che venga addirittura incentivata. E’ il caso dei canali televisivi, chiamati a riempire i palinsesti con presenze gay o ambigue a causa delle sollecitazioni degli organismi di settore.

Un “esercito” con tattiche di assalto, uomini, mezzi e teorici. Ma rimanendo alla sola Italia come è potuto accadere che una minoranza acquisisca un potere tale da imporsi – spesso prevaricando – l’universo eterosessuale, scrivendosi le proprie leggi, chiedendo l’abolizione di feste come quelle del papà e della mamma a favore della “festa della famiglia”, imponendo sui documenti di identità dei minori la definizione di genitore 1 e genitore 2? Merito indiscusso dell’informazione asservita e dell’attività politica di propaganda pro-gay (in genere fiore all’occhiello dei democratici nostrani e d’oltralpe), ma soprattutto delle idee di fondo che nell’ultimo cinquantennio consentono il coordinamento e il dispiegamento di “forze” e di “unità”. Perché l’universo gay, almeno quello delle frange più fanatiche, è equiparabile a un esercito. Ha tattiche di assalto, uomini e mezzi da utilizzare e, anche, i suoi testi fondativi (veri e propri “manifesti”) e i suoi teorici, tuttora apprezzati e spesso presi alla lettera.

Il lavoro censurato e fatto cadere nell’oblìo di Vance Packard. Prima di questo è necessario fare una premessa che crei contesto. Packard (apprezzato giornalista e sociologo americano) è il “padre” degli studi sull’utilizzo della psicologia nei mezzi di comunicazione di massa per influenzare la psiche. Nei suoi numerosi saggi sostiene che l’utilizzo delle scienze legate alla psiche sono state negli ultimi decenni la strada maestra per inculcare determinati messaggi subliminali, siano essi legati alla politica, alla società o alla pubblicità (famoso a questo proposito è il libro “I persuasori occulti”). La psicologia utilizzata per convincere di una cosa facendo leva sulle reazioni umane: la paura, il senso di colpa, i difetti e i pregi del genere umano. Packard ne scrive prima di morire nel 1996 in testi come “Il sesso selvaggio – i rapporti sessuali oggi”, o “I nostri bambini a rischio”, del 1983. Una data pragmatica: Packard è infatti un precursore di segnali sociali, una sorta di Orwell della psicologia, del capitalismo e della società commerciale: è ancora il 1964 quando scrive “La società a nudo”, in cui parla delle minacce alla privacy causate dalle nuove tecnologie, di automazione e ancora una volta di tecniche per influenzare il comportamento umano.

La declassazione a “vintage”, l’irreperibilità e il dimenticatoio. Una mole di esperienza e conoscenza che, stranamente, oggi si tende ad occultare. Le librerie online classificano il Packard autore come “Vintage”, quasi a voler sottolineare che le sue teorie siano scadute, desuete, sorpassate. Eppure sul lavoro dello studioso si basa tutto il marketing e l’universo pubblicitario per come lo conosciamo oggi. Informazioni custodite gelosamente da comunicatori, politici e aziende che il giornalista ha voluto “regalare” ai lettori per far capire come un’idea (anche un’idea di accettazione) possa essere costruita per debiti tornaconti. Ne “I persuasori occulti”, per citare un esempio, Packard scrive: “L’intervistato non sa, naturalmente, che tutte le persone ritratte presentano per un verso o per l’altro degli squilibri: ciascuna è affetta da uno di questi disturbi psichici: è omosessuale, sadico, isterico, paranoico, depresso o maniaco”. Proprio così: negli accreditati studi di Packard l’omosessualità è etichettata come “disturbo psichico”. Ancora fino al 1973, è inserita nell’Albo delle Malattie Mentali.

Tutto inizia dal linguaggio. Ma come si è passati dal considerare l’omosessualità una malattia alla situazione paradossale di oggi, con gay iper-protetti e eterosessuali quasi impossibilitati a parlare di famiglia naturale, a politici, giornalisti, normali cittadini zittiti dai componenti di quella che viene definita la “Lobby gay”? Dalle teorie che legano pensiero e azioni. Se fino agli anni ’90 era considerato ordinario l’utilizzo di termini provocatori o satirici come “pederasta”,”frocio”, “checca” e simili, oggi si rischia la gogna pubblica o un’azione legale nell’articolare una persona con simili epiteti. Eppure la società ammette che il figlio di un buon padre di famiglia possa essere chiamato “bastardo” (di padre ignoto), una donna morigerata “puttana” (di facili costumi) e simili. Tutto, ma riferirsi all’omosessualità è linguisticamente vietato. Il linguaggio serve storicamente anche a propagandare idee: un’aspetto che l’Ordine dei giornalisti dei seminari formativi sul “bello e corretto parlare” ha certamente compreso.

Il primo “Manifesto gay” e le idee di distruzione di etero e famiglie. Nel 1970 il Gay Liberation Front pubblica le sue prime teorie a firma di Carl Wittman (nella foto in alto, la copertina di un’edizione). Un testo radicale tuttora molto apprezzato dalla comunità lgbt internazionale (prova ne siano le numerose ristampe), infarcito di odio verso la famiglia tradizionale e l’eterosessualità, finanche verso la donna lesbica che, scrive Wittman, non può unirsi alle battaglie degli uomini gay perché “non è la stessa cosa”.
“Questo – scrive Wittman – è il tentativo di sollevare una serie di questioni, e la presentazione di alcune idee per sostituire quelle vecchie”.  L’eterosessualità – semplifica l’autore – è servita a garantire la sopravvivenza della specie, ma “la tecnologia cambia tutto. Il tabù che continua a esistere ci sfrutta e ci rende schiavi”.

“L’eterosessualità è una cazzata tipica delle persone che hanno paura del loro stesso sesso. Il sesso tra uomo e donna è aggressività nell’uomo infettato da prepotenza maschile e obbligo per la donna. Per noi diventare etero non è una cura, è una malattia”. E ancora: “Il matrimonio tradizionale è una marcia e opprimente istituzione” cui Wittman trova addirittura delle alternative tramite determinati appagamenti sociali. E’ lui forse il primo a teorizzare l’importanza del coming-out, e a leggerlo sembra di sentir parlare un attivista, un politico (o meglio un fanatico) di oggi. E’ lo stesso che parla della “guerra psicologica”, dei gay nelle istituzioni e del fatto che i bambini posseggono una sessualità. L’attivista non lascia da parte nemmeno gli animali affermando che la zoophilia non sia una depravazione: il testo, sconcertante, è ancora oggi stampato, acquistato, utilizzato e apprezzato come arma di proselitismo della comunità lgbt. Leggerlo per trovarvi tutti gli attacchi agli eterosessuali e le idee di distruzione degli ordinamenti sociali.

Il secondo “Gay Manifesto”. Un secondo testo che ha diffusione record viene sfornato nel 1987. Lo scrive Micheal Swift, forse uno pseudonimo che nasconde l’identità di un altro attivista gay. Emblematico l’incipit: “Sodomizzeremo i vostri figli, li sedurremo nelle vostre scuole (…) nei vostri Parlamenti, in tutte le circostanze in cui gli uomini staranno con altri uomini”. E ancora: “Tutte le leggi che bandiscono l’attività omosessuale saranno revocate. Al loro posto passerà una legislazione che consentirà l’amore tra uomini”. E’ il 1987 e le leggi sulle unioni civili o decreti come quello Cirinnà sono ancora impensabili.”Faremo dei film sull’amore eroico tra uomini che rimpiazzerà le squallide, superficiali, sentimentali, scialbe, infatuazioni eterosessuali (…)”.

Noi elimineremo i legami eterosessuali. La famiglia, luogo di menzogne, tradimenti, mediocrità, ipocrisia e violenza, sarà abolita. (…) A ogni uomo contaminato dalla passione eterosessuale sarà automaticamente sbarrata ogni posizione di influenza. Tutti i maschi che insistono nel restare stupidamente eterosessuali saranno condotti davanti alle corti di giustizia e diventeranno uomini invisibili”. Satira? Farneticazioni di un pazzo? No, un testo inserito nell’Archivio del Congresso Usa tuttora studiato, stampato e commercializzato, che ha goduto di una sorte ben migliore, per esempio, del testo sulla Paneuropa di Kalergi che rimane irreperibile e considerato parte della manualistica a sostegno delle cosiddette teorie del complotto.

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Ennesimo caso di malasanità all’ospedale di Vibo Valentia. Giuseppe Giuliano morto «solo e senza cure»

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Ennesimo caso di malasanità all'ospedale di Vibo Valentia. Giuseppe Giuliano morto «solo e senza cure» | Rec News dir. Zaira Bartucca

Il diritto al soccorso tempestivo e alle cure in Calabria non è poi così scontato. Essere ricoverati in questa regione, come abbiamo avuto modo di documentare, è spesso un terno al lotto. Vale un po’ per tutte le province, ma per Vibo Valentia e per l’ospedale Jazzolino – ormai al centro di innumerevoli fatti di cronaca, tutti rigorosamente senza colpevoli – vale di più. Lo sa bene la famiglia Giuliano, che da giorni si trova immersa nel dolore per la perdita prematura del loro caro.

Stando a quanto hanno riferito i familiari a Rec News, Giuseppe Giuliano – imprenditore della zona – il 14 settembre dopo un episodio di febbre e brividi inizia ad avere una gamba gonfia, arrossata e dolorante. La famiglia intorno alle 14 chiama il Pronto Soccorso dell’ospedale Jazzolino, ma viene a sapere che i tempi di attesa «sarebbero stati addirittura di tre ore».

Giuseppe viene quindi accompagnato al Pronto soccorso da uno dei figli e dalla moglie. Sta male ma, puntualizzano i familiari, riesce «a salire in macchina e a fare le scale di casa da solo, con le sue gambe». Nulla, insomma, che lasciasse presagire che da lì alle ore che sono seguite sarebbe accaduto l’irreparabile. All’arrivo al pronto soccorso, intorno alle 15, Giuseppe viene preso subito in carico, ma da lì a poco, suo malgrado, inizia un calvario fatto di abbandono e mancanza di interventi che porterà – nel pomeriggio – al decesso.

Il tempo perso per il tampone, alla ricerca del covid che non c’è

Giuseppe Giuliano, dunque, si reca all’ospedale Jazzolino di Vibo Valentia principalmente perché presenta una gamba gonfia, arrossata e dolorante. Giunto al nosocomio, però, il tempo destinato al primo soccorso di emergenza si perde tra il tampone e la ricerca del virus perduto, il covid: «Giuseppe – puntualizza la moglie – aveva una gamba molto gonfia e arrossata, dunque era andato in pronto soccorso per quei motivi». Dopo la sistemazione alla buona all’interno di una barella, inoltre, la famiglia viene allontanata «per i protocolli covid che non sono più in vigore». E’ l’ultima volta che la moglie Anna Maria e i figli Fabrizio, Stefano, TonyCristian e Dario vedono Giuseppe da vivo, anche se sono ancora convinti che al di là delle porte chiuse qualcuno si stia attivando per prestare tutte le cure necessarie.

Giuseppe lasciato morire da solo, al freddo e senza cure

Sono dunque ore drammatiche scandite da mancate risposte quelle che la famiglia Giuliano si trova a vivere dopo l’accettazione in pronto soccorso. Alle 17.15 un’infermiera riferisce che Giuseppe “è in attesa della TAC”, poco più tardi si susseguono le telefonate del figlio TonyCristian e della moglie Anna Maria. Giuseppe dice di avere freddo, racconta la famiglia, e solo la gentilezza di una ragazza che era lì vicino per un parente fa sì che si possa coprire. Tra gli infermieri, a quanto pare, non ci aveva pensato nessuno. Non sono ancora le 18 quando i familiari non riescono più a raggiungere telefonicamente Giuseppe. Verso le 19.15 una dottoressa e un’operatrice sanitaria si avvicinano ai parenti per comunicare la situazione. La famiglia Giuliano si ritrova così a a dover gestire un secco e improvviso «è morto». Lo hanno detto così, raccontano i familiari, «senza dare alcuna spiegazione o motivazione riguardo le cause della morte e rientrando immediatamente all’interno del Pronto Soccorso».

«Non aveva flebo né macchinari per il monitoraggio dei parametri vitali»

Giuseppe sarebbe rimasto tutto il tempo in barella senza essere sottoposto ad accertamenti. «Abbiamo notato – è quanto fa sapere la famiglia – che non aveva alcuna flebo né alcun altro macchinario per il monitoraggio dei parametri vitali, ad esempio per monitorare il battito cardiaco o la saturazione». Un abbandono totale che ha convinto la famiglia Giuliano ad allertare subito le Forze dell’Ordine. «I carabinieri sono giunti al pronto soccorso dopo circa mezz’ora – racconta la famiglia – ma si sono e chiusi con il medico Paolo Leombroni in un ufficio». Oltre il danno, poi, la beffa: «In serata mi è stato pure detto che la TAC era rotta» racconta Fabrizio, uno dei figli di Giuseppe Giuliano.

La denuncia sporta presso la Stazione dei Carabinieri di Spilinga

Nel dolore della perdita improvvisa subìta e nella consapevolezza di aver assistito a un caso di malasanità, la famiglia Giuliano il 15 settembre presenta una denuncia presso la Stazione dei Carabinieri di Spilinga per “Responsabilità colposa per morte o lesioni personali”. «Ora che abbiamo fatto partire le denunce – racconta uno dei figli di Giuseppe, Fabrizio – molte persone che spesso non trovano la forza di sporgere denuncia o che vengono avvicinate e scoraggiate, mi hanno contattato riportandomi le situazioni al limite dell’umanità che hanno subito all’Ospedale di Vibo Valentia. Sappiamo per chi facciamo tutto questo: lo facciamo per lui, per noi, per i tanti che non hanno la forza e incassano con rassegnazione e frustrazione. Lo facciamo perché non riaccadano più episodi di sciatteria e di menefreghismo sanitario».

La lettera al presidente della Regione Occhiuto: “In Calabria la vita umana sacrificata sull’altare della negligenza e della sciatteria sanitaria”

Coraggio e motivazione hanno spinto Fabrizio a rivolgersi direttamente al governatore Roberto Occhiuto tramite una lettera aperta: “La tragedia della sanità in Calabria con Vibo Valentia a portare la bandiera – scrive il giovane – continua a essere un’oscura e incivile pagina della storia della nostra Regione. Al pari delle altre regioni d’Italia, il diritto ad essere curati dovrebbe essere garantito, purtroppo tutto ciò a Vibo Valentia non è scontato. Ci troviamo di fronte a una realtà in cui la vita umana sembra essere spesso ignorata. È un sistema marcio, corrotto dall’indifferenza, dall’inerzia e dal malaffare, dove il valore di una vita umana viene spesso sacrificato sull’altare della negligenza, del menefreghismo e della completa sciatteria sanitaria”.

“Sì, proprio così – prosegue Fabrizio Giuliano – “sciatteria sanitaria” perché ogni qual volta si ha bisogno di curarsi si ha l’impressione di percepire un mix di adrenalina e ansia al pari di una puntata alla roulette russa. In Calabria, la morte sembra essere diventata una statistica, un numero tra i tanti. Le persone soffrono e muoiono senza ricevere le cure di cui hanno bisogno, mentre chi dovrebbe proteggerle e curarle sembra voltare lo sguardo altrove. Il dolore delle famiglie, costrette a vedere i propri cari andarsene prematuramente, è amplificato dall’impotenza di fronte a un sistema che non funziona, un sistema appunto marcio da dentro”.

“Questo – continua Fabrizio Giulianoè un appello alla coscienza di tutti noi, ma soprattutto alla vostra, che siete i nostri rappresentanti, affinché si metta fine a questa indifferenza verso la sofferenza umana. Oggi a morire inerme per mano di un’equipe di lestofanti e negligenti è stato il mio caro papà, ma le prometto che non ci arrenderemo di fronte a niente e nessuno pur di arrivare a far chiarezza sulle responsabilità di ognuno. Ogni vita conta, e nessuno dovrebbe morire come se niente fosse, a causa di mercenari sanitari perché i medici, quelli animati da vocazione alla missione, sono ben altro”. La famiglia di Giuseppe Giuliano, vittima di un caso di malasanità, è attiva sui social con l’hashtag #GiustiziaPerGiuliano.

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Viaggio nell’inferno della criminalità giovanile

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Viaggio nell'inferno della criminalità minorile | Rec News dir. Zaira Bartucca

“La mia maggiore aspettativa è sposare un camorrista”. “Eravamo tutti insieme. Un mio amico portò una borsa piena di armi e tutti prendemmo una pistola”. Io vedevo loro sparare e così ho iniziato anch’io”. E’ un viaggio denso e a tratti agghiacciante quello che Giacomo Di Gennaro – ordinario di Sociologia giuridica, della devianza e del mutamento sociale – e Maria Luisa Iavarone – ordinario di Pedagogia – compiono nel saggio “Ragazzi che sparano”, edito dalla casa editrice Franco Angeli.

Oltre duecento pagine in cui si scandaglia – dati alla mano – il tema della devianza giovanile grave, con le sue motivazioni, gli inneschi, la subcultura e tutto l’humus che l’ha fatta e la fa germogliare. Una ricerca, avvertono gli autori, che non è fine a sé stessa, ma che rappresenta il punto di partenza per trovare soluzioni al problema e per interloquire con i soggetti coinvolti: dalle Forze dell’Ordine alla Magistratura, da chi è deputato all’educazione e alla rieducazione a chi ha potere decisionale. Perché l’approccio consolidato, discontinuo e soppressivo, continua a mostrare limiti e debolezze, mentre a dover essere modificati – dicono i ricercatori – sono tutti quei fattori che portano i giovani a scegliere di essere criminali per poter, a conti fatti, permettere di avere uno status. Fosse anche quello di malvivente.

Ma perché si diventa criminali e perché in alcune zone e così facile che si inizi così presto? Iavarone e Di Gennaro rispondono alla domanda evidenziando le costanti dell’agire al di fuori della legalità. Due in particolare, che ricorrono nelle storie degli intervistati dell’IPM di Nisida: la condizione di indigenza e l’evasione scolastica. E’ su questa tabula di azzeramento sociale e intellettivo che le consorterie costruiscono il personaggio tipo utile al perseguimento di comportamenti criminosi che spaziano dai vari traffici all’uso di armi da fuoco, dalle cosiddette “stese” per far sfoggio della propria supremazia sul territorio agli annidamenti nella burocrazia. E’ pur vero che non tutti i poveri e non tutti quelli che non hanno studiato sposano determinati contesti: i due autori spiegano i motivi di questa dicotomia individuando e sondando altri fattori che nel giro di un quarantennio hanno portato al consolidamento della criminalità giovanile e finanche minorile.

Il volume di focalizza sul territorio napoletano raccontato dagli anni ’80 a oggi evidenziando due dati che forse possono stupire: l’ultimo sessennio ha visto un decremento di reati e non è la città partenopea ad avere il primato degli episodi attribuibili alla criminalità radicata tra le fasce di età più giovani, scalzata com’è da Bologna, Milano, Torino e Roma. Colpa del clima omertoso che impedisce di denunciare o merito di alcuni – rari e isolati – pm coraggiosi che distruggono altarini e demoliscono i miti cari ai clan, anche se la Camorra e le altre mafie alla lunga rimangono tutte lì. Perché cambia tutto ma non cambiano le condizioni che permettono al crimine di proliferare, anche se in maniera sempre più endemica, e di trasformarsi diventando quasi invisibile, normale, istituzionalizzato.

Certo, non ci sono bacchette magiche che permettono dall’oggi al domani di resettare tutto. Ma nel Paese che ha 5 milioni di poveri e un milione di minorenni che non hanno possibilità di studiare in maniera adeguata la prevenzione – osservano Di Gennaro e Iavarone – è l’arma che può permettere ai giovani di cambiare idea finché sono ancora in tempo e di capire che perseguire obiettivi leciti e costruirsi da soli, fosse anche con fatica, può permettere di vivere una vita più dignitosa. Lontana, a conti fatti, dai modelli distorti che si decantano in alcune fiction citate nel volume.

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La paghetta per i giornalisti che daranno “priorità alle questioni legate al clima”

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La paghetta per i giornalisti che daranno "priorità alle questioni legate al clima" | Rec News dir. Zaira Bartucca

Dopo i colpi inferti dal governo e dalla riforma Nordio alla Libertà di Espressione, un altro mal costume continua a minacciare l’autonomia di giornalisti e comunicatori. C’è chi tenta di silenziare quelli che fanno il loro lavoro a suon di querele temerarie e di campagne diffamatorie e chi, invece, vorrebbe ridurre i più manipolabili a meri burattini che ripetono a pappagallo gli slogan del politicamente corrotto in fatto di Sanità, di migranti, di Europa, di rapporti sociali. E di clima, ovviamente.

Su quest’ultimo terreno – squisitamente agendista – si concentrano ora le ansie del Centro europeo di Giornalismo, che periodicamente eroga delle paghette, sotto forma di premi, ai giornalisti che “si distinguono” in un determinato settore. Abbiamo già scritto dei finanziamenti da 7500 dollari da parte dello stesso ECJ e della fondazione Bill & Melinda Gates destinati a quei comunicatori che influenzano l’opinione pubblica in tema di Sanità.

Questa volta, invece, il premio – da 2000 euro ed erogato sempre dal Centro europeo di Giornalismo – è per coloro i quali daranno “priorità alla segnalazione di questioni legate al clima” in articoli o reportage pubblicati dal 14 al 17 giugno. Cosa significhi dare priorità non è dato saperlo, ma quel che è certo è che a dare man forte alle narrazioni costruite ci sarà anche Google News, il servizio della Big Tech già multata per propaganda e favoritismi, anche in Italia. In che modo e con quali toni, poi, i giornalisti parleranno e scriveranno di siccità, alluvioni e di “emergenze” climatiche (sapendo che ad attenderli ci sarà una ricompensa), c’è solo da immaginarselo.

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I rischi legati al consumo di insetti svelati dagli esperti. Le marche coinvolte e come riconoscere i preparati che li contengono

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I rischi legati al consumo di insetti svelati dagli esperti. Le marche coinvolte e come riconoscere i preparati che li contengono | Rec News dir. Zaira Bartucca

L’ingresso della farina di grilli nel mercato unico europeo ha suscitato un interesse crescente tra i consumatori. Tuttavia, i rischi legati al loro consumo alimentare non sono ancora stati sufficientemente esplorati. Secondo i suoi estimatori, la farina di grilli è ricca di proteine, minerali e vitamine, ma diverse preoccupazioni emergono quando si parla di introdurla nelle proprie abitudini alimentari. I principali rischi sono malattie dell’apparato gastrointestinale, allergie e intolleranze alimentari, già evidenziate dal nutrizionista e ricercatore Pietro Senette.

Il parere dell’esperto

“Il tallone d’Achille di questi preparati sta proprio in alcune delle loro proteine potenzialmente allergeniche. Al momento attuale come spesso succede le ricerche in materia sono quasi esclusivamente a firma dei produttori, un po’ come chiedere all’oste se è buono il vino che ci serve a tavola. Resta inoltre il nodo “chitina”, un polisaccaride contenuto negli insetti che oltre a non essere digeribile per il nostro apparato gastrointestinale è stato collegato da uno studio scientifico abbastanza recente a reazioni infiammatorie non proprio di poco conto. La mia raccomandazione – ha detto l’esperto a l’Unione Sarda – è che al di fuori del principio di precauzione che esige un’etichetta alimentare segnalatrice, si facciano comunque ulteriori studi da parte degli organi competenti in modo da far stare tutti più sereni».

Un rischio in più per gli allergici

Continuano infatti a essere assenti gli studi a lungo termine sull’impatto del consumo di farina di grilli sulla salute umana, mentre la comunità scientifica dà ormai per assodato che le persone con allergie alimentari possano essere colpite più seriamente da allergie agli insetti. Uno studio ha rilevato che la farina di grilli può aumentare la sensibilità del sistema immunitario a una serie di allergeni alimentari, inclusi il grano, la soia e il latte. Un altro rischio associato al consumo di farina di grilli è l’esposizione a sostanze chimiche dannose.

La presenza di metalli pesanti e la possibilità di incorrere in carenze nutrizionali

Alcuni grilli contengono tossine come arsenico, cadmio e piombo, che sono note per causare gravi danni alla salute. Inoltre è importante ricordare che, a causa della loro consistenza, i grilli possono essere più difficili da digerire rispetto ad altri alimenti. Ciò – dicono gli esperti – potrebbe causare problemi nell’assorbimento di nutrienti da parte dell’organismo, portando a carenze nutrizionali.

Un altro aspetto importante riguarda il diritto del consumatore a essere informato, soprattutto in un momento in cui manca un’etichettatura chiara e normata che faccia subito comprendere a chi acquista un prodotto che si rischia di mangiare degli insetti. Basterà la dicitura “polvere parzialmente sgrassata di Acheta domesticus” per far comprendere a tutti che si sta per mangiare degli insetti? Non serve, infatti, comprare un pacco di farina di grilli per trovarsela nello stomaco, perché questa può essere assunta tramite biscotti, gelati, salse, cracker, barrette e tutti i preparati a base di farina (pizza, pane, pasta, ecc.). In Italia l’azienda specializzata nella produzione di alimenti a base di insetti è Fucibo, mentre tra le importabili figurano la francese Agronutris e l’olandese Fair Insects B.V., che fa capo a Protix e ha ottenuto l’ok dalla Ue per la commercializzazione sia della farina proteica di grillo (Acheta domesticus) sia di grilli essiccati sia di locuste. 

L’Italia è anche il Paese che ospita una delle prime filiere in cui si alleva e sfrutta il grillo per scopi alimentari e commerciali. Se una volta i prodotti a base di farina erano tutti a base vegetale e provenienti dal grano altri cereali, oggi alcuni guardano a questi insetti indifesi come a un’alternativa alle farine ricavate dalla natura. Su questa idea è nata Alia Insect Farm, filiera che si propone di aumentare il consumo di massa di questi piccoli animaletti.

Cosa cambia con il Regolamento introdotto quest’anno dall’Unione europea

Dal 24 gennaio di quest’anno, inoltre, la società vietnamita Cricket One Co. Ltd è stata autorizzata a immettere sul mercato dell’Unione preparati che contengono grilli. E’ quanto precisa il Regolamento pubblicato nella Gazzetta Ufficiale Ue, che al contempo lascia spazio all’ipotesi che anche altre aziende possano richiedere – e ottenere- l’autorizzazione alla vendita di insetti per scopi cosiddetti alimentari.

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